martedì 29 marzo 2011

Ampasilava News

Informazioni sulle attività svolte nel 2010 dai volontari dell'ospedale di Andavadoaka, Madagascar
Sito intenet: http://www.amicidiampasilava.com

venerdì 25 marzo 2011

Il Falso non ha Senso

Questo il titolo dell’esposizione dedicata al prestigio e alla tutela del Made in Italy, allestita a Roma, promossa da Ministero dello Sviluppo Economico e Unioncamere
La contraffazione è un danno per tutti, per l’economia del Paese, un furto per le imprese italiane e per l’immagine del Made in Italy, un rischio diretto per la salute dei cittadini e la sicurezza dei consumatori. Con la contraffazione perde tutta l’Italia: per questo è importante sensibilizzare e informare cittadini e imprese su questo fenomeno.
Da queste constatazioni, ha preso vita “Il Falso non ha senso”,prima esposizione dedicata al prestigio e alla tutela delMade in Italy,allestita a Roma, nella prestigiosa cornice di Palazzo Ruspoli.
La mostra, promossa dal Ministero dello Sviluppo Economico in collaborazione con Unioncamere, punta dunque a sensibilizzare e far conoscere il fenomeno della contraffazione, evidenziandone le conseguenze sia sul sistema produttivo che per i consumatori, valorizzando al contempo l’originalità dei prodotti.
Protagoniste del percorso espositivo sono le aziende leader del Made in Italy particolarmente colpite dalla contraffazione. Fashion, luxury, motori, design, prodotti per l’infanzia, il mondo del beautycare e make-up, oltre all’agroalimentare, sono le categorie merceologiche coinvolte, unite da unconcept artistico pensato per esaltare i prodotti e marchi in un innovativo percorso sensoriale. In ogni sala viene infatti privilegiato un senso diverso: l’udito, con i motori; il tatto, con i tessuti, il fashion, il luxury; la vista, con le linee, il design industriale e artigianale, i giocattoli; l’olfatto, con le fragranze e i prodotti di bellezza; il gusto con i sapori e la cultura del cibo.
Tra le aziende coinvolte: Lamborghini, Cavalli, Gucci, Fendi, Versace, Dainese, Artemide, Trudi, Bticino, Luxottica, Safilo, Asiago, Ferrrero, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma.
L’evento è organizzato dal Ministero dello Sviluppo Economico e da Unioncamere e vedrà inoltre la presenza di Agenzia delle Dogane, Guardia di Finanza, Istituto Poligrafico Zecca dello Stato e Cattid - Università Sapienza di Roma. (ItalPlanet News)

Il “mozzarella sushi” conquista il Giappone: successo della bufala DOP al Foodex di Tokyo

È "bufalamania" nel Paese del Sol Levante. Risultati eccellenti per il Consorzio della Mozzarella di Bufala Campana Dop nella prima missione in Giappone, dove migliaia i visitatori e gli operatori di settore, in questi giorni, durante il Foodex di Tokyo, hanno visitato lo stand campano e degustato l’oro bianco italiano.
Il 4 marzo si è tenuta la cena di Gala conclusiva della visita in Giappone del Consorzio, a cui hanno preso anche l'ambasciatore italiano in Giappone, Vincenzo Petrone, il presidente Ice, Umberto Vattani, il presidente della Commissione Agricoltura della Camera, Paolo Russo, e il deputato giapponese Hirotami Murakoshi.
Nella prestigiosa location del ristorante XEX di Nihonbashi dello chef italo-giapponese Salvatore Cuomo, è stato presentato, con la collaborazione di Rosanna Marziale, prima donna chef d'Italia secondo il sito a tavola.net, un inedito menù di cucina fusion a base di mozzarella di bufala dop ricco di elementi della tradizione italiana e quella giapponese.
Costituito nel 1981, il Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala ha reso possibile l’ottenimento e la registrazione della denominazione di origine, necessaria alla tutela del prodotto. È il solo organismo riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali per la tutela, vigilanza, valorizzazione e promozione della DOP Mozzarella di Bufala Campana.
La Bufala è l’unica mozzarella in commercio ad aver ottenuto il riconoscimento europeo della DOP. Il disciplinare di produzione – approvato sia dal Ministero Italiano dell’Agricoltura sia dall’Unione Europea - prevede l’utilizzo, oltre al caglio e sale, di solo latte intero di bufala proveniente da allevamenti presenti nella tradizionale zona di origine (Campania - province di Caserta e Salerno, parte della provincia di Napoli e Benevento; Lazio - comuni delle province di Latina, Frosinone e Roma; Puglia - piccola parte della provincia di Foggia; Molise - il Comune di Venafro).
Nel 2010 sono state prodotte circa 36.000 tonnellate di Mozzarella di Bufala Campana, di cui il 20% esportato. Le province di Caserta e Salerno rappresentano circa il 90% della produzione certificata nell’intera area DOP. (aise)

Air Madagascar incrementa l'offerta da Parigi Roissy



Dal 27 marzo Air Madagascar passerà da 4 a 5 voli settimanali sulla rotta Parigi (Roissy)-Moroni-Antananarivo e da 5 a 6 voli settimanali sulla rotta Parigi (Roissy)-Antananarivo (dal 4 luglio). Tutti i voli sono operati con aeromobili B767 configurati con due classi. Da Antanarrivo Air Madagascar assicura comode coincidenze per le più importanti città dell'isola. Dallo scorso 1° settembre Air Madagascar ha siglato con Air France un accordo per assicurare coincidenze da Malpensa e Fiumicino unitamente ad un accordo code share da Parigi che vedrà due ulteriori frequenze su Antananarivo per l’estate 2011.

Le icone del made in Italy in cucina secondo “Alice Cucina”

Per il cibo made in Italy non c’è federalismo che tenga. Dal tacco alla cima dello Stivale, nonostante le peculiarità regionali, gli spaghetti, conditi nei più svariati modi, sono i protagonisti indiscussi dell’unità di tavola. A decretarlo è uno studio condotto dalla rivista "Alice Cucina" (Sitcom Editore) su un campione di 640 lettori (di età compresa tra i 28 e i 65 anni ed equamente ripartiti tra Nord, Centro e Sud) in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
Per il 22% degli intervistati, dunque, è fuori discussione che gli spaghetti rappresentino il simbolo per eccellenza della gastronomia tricolore. Un primato insidiato prepotentemente dalla pizza margherita, che ottiene il 19% delle preferenze. Si difende bene con il 16% anche il prosciutto crudo di Parma, punta di diamante della vasta e pregiata offerta di prodotti della Food Valley italiana, che annovera anche il parmigiano reggiano, indicato dal 10% come il must dell’italianità a tavola. Per l’11%, invece, a mettere d’accordo tutti i buongustai della Penisola sono le lasagne. Con il 7% dei consensi del panel, poi, nella speciale classifica stilata da Alice Cucina irrompe prepotentemente la nutella, che distanzia di due punti percentuali la mozzarella di bufala campana. Per il 4% è il gelato a sedurre il palato di tutti gli italiani al di là degli steccati regionali. Percentuali ancora più basse, infine, per la bistecca fiorentina (3%) e il tartufo (2%), specialità tipiche di determinati territori, ma che comunque hanno travalicato i confini delle rispettive zone di provenienza per occupare un posto di tutto rispetto nel gusto italico.
"I risultati dello studio – spiega Luisanna Messeri, volto del canale televisivo Alice e Accademica della cucina - non ci sorprendono.


La pasta, insieme alla pizza, rappresenta il nostro piatto simbolo, che unisce da sud a nord le famiglie italiane. Di qui la scelta di dedicare proprio a spaghetti e dintorni un piccolo volume, dal titolo "Spaghetti & Co. – Passione tricolore", allegato al numero di marzo 2011 di Alice Cucina, in cui suggeriamo dei condimenti più o meno tradizionali associati ai tre colori della nostra bandiera. Qualche esempio? I broccoli, le zucchine e i carciofi, se si vuole optare per il verde, vongole o uno dei nostri innumerevoli formaggi italiani, se si sceglie il bianco, e infine ragù, magari con i porcini o una semplice, ma mai banale, "pummarola", per chi preferisce il rosso. Insomma ce n’è per tutti i gusti. Del resto quando, dopo una bella serata, qualche amico tiratardi si autoinvita a casa nostra, è alla classica spaghettata aglio, olio e peperoncino che pensiamo come soluzione non impegnativa, ma d’effetto. Di fronte a un bel piatto di spaghetti cadono le barriere, ci si libera di tante ‘sovrastrutture’ e possono persino nascere amori all’ultimo filo".
Tra le mille varianti, tuttavia, è sempre la semplicità a trionfare. Il 19% del campione interpellato da Alice Cucina è convinto che un buon piatto di spaghetti al pomodoro sia la ricetta più italiana in assoluto tra i primi piatti che si possono ordinare al ristorante oppure preparare tra le mura domestiche.
Tra i secondi, invece, sono decisamente i piatti di terra ad ottenere la palma dell’italianità. La bistecca alla fiorentina domina incontrastata in cima alla classifica con il 22% delle preferenze, incalzata dalla parmigiana di melanzane (18%), dalla cotoletta alla milanese (15%), dall’insalata caprese (14%) e dal bollito misto (11%), che si impone sulla carne alla pizzaiola (8%) e sul cotechino (5%). Solo ottava, con il 3% dei consensi, l’impepata di cozze, unica pietanza a base di pesce a rientrare nella top ten dei secondi più rappresentativi della tradizione gastronomica made in Italy.
Ma non c’è menù che si rispetti senza il dolce. E anche in questo campo l’Italia ha le sue icone dal sapore assolutamente unico e inimitabile. Al primo posto, secondo lo studio di Alice Cucina, si attesta la nutella, commercializzata ormai su scala mondiale, ma tutta italiana, su cui convergono il 21% degli intervistati. Per il 19%, invece, la migliore espressione del talento italico in pasticceria è senza dubbio il gelato, che precede, anche se di poco, il tiramisù (14%) e il cannolo siciliano (11%). (aise)

Premio Laurentum-Italiani nel Mondo, terza edizione

Possono parteciparvi poesie in lingua italiana o in dialetto, composte dagli Italiani residenti all'estero e dagli oriundi. Iscrizioni entro il 31 luglio 2011


Diffondere la lingua e la cultura italiane e rinsaldare il legame delle nuove generazioni con il Paese d’origine. È l’obiettivo del Premio Laurentum-Sezione Italiani nel Mondo, giunto alla terza edizione. Possono concorrere al Premio, poesie in lingua italiana o in vernacolo (con riferimento ai dialetti italiani), composte dagli italiani residenti all'estero e dagli oriundi.

Il Premio Italiani nel Mondo, ideato dal Centro Culturale Laurentum con il patrocinio del Ministero degli Affari Esteri, ha raggiunto l’obiettivo di estendere i confini geografici del Premio Laurentum anche in ambito internazionale, consentendo non solo di incrementare ulteriormente il numero dei partecipanti ma anche di far uscire sempre più il tema della poesia italiana dai cenacoli di nicchia delle élite intellettuali, per diffondere il valore della cultura anche a pubblici forse meno specialistici, ma non per questo meno bisognosi dell'arricchimento interiore che la poesia può dare.

La poesia vincitrice sarà selezionata dalla qualificata Giuria, presieduta da Gianni Letta e composta da eminenti protagonisti del panorama culturale italiano: Angelo Bucarelli, Corrado Calabrò, Mariella Cerutti Marocco, Gianluca Comin, Maurizio Cucchi, Stas Gawronsky, Simona Izzo, Raffaele La Capria, Mauro Mazza, Francesca Merloni, Mauro Miccio, Maria Rita Parsi, Davide Rondoni, Roberto Sergio e Maria Luisa Spaziani.

Per partecipare è necessario leggere attentamente il regolamento, disponibile sul sito del Premio Laurentum(www.premiolaurentum.eu/Premi/PremioItalianiNelMondo/Default.aspx).La partecipazione è gratuita. La scadenza è il 31 luglio 2011. Per informazioni: italianinelmondo@premiolaurentum.eu . (ItalPlanet News)

SADDAM DOCET

Ci risiamo! Siamo di nuovo in guerra! Meno male che l’Italia la ripudia. Ma chi sono gli ipocriti, i padri costituenti o i politici attualmente in carica? Propendo per la seconda ipotesi. Se si riferiscono ai pacifisti con l’affettuoso appellativo di “pacifinti”, come minimo significa che non hanno capito niente, a voler essere gentili con loro, ma è più probabile che, viceversa, abbiano capito tutto. Cioè, abbiano capito che il motore dell’economia è la guerra e infatti gli Stati Uniti, che ne fanno una via l’altra, hanno un’economia che va forte. Anche i loro vassalli italiani si adeguano e cercano di piazzare i loro prodotti: armi e armamenti. E giustificazioni per usarli. Bisogna riconoscere che hanno una fervida immaginazione e una spiccata dialettica. Riescono a contrabbandare l’occupazione di un paese straniero con il concetto di esportazione della democrazia e a far passare il bombardamento aereo di una città con l’idea di un intervento umanitario.
Quest’ultimo pretesto, per esempio, come sta avvenendo in questi giorni, in pratica significa che la cosiddetta comunità internazionale, dietro cui si nascondono sempre i soliti noti, si arroga il diritto di intervenire nelle faccende politiche di un paese sovrano, minacciando, ponendo ultimatum e alla fine bombardando il suo esercito regolare. E ciò per il solo fatto che ha i mezzi per farlo e l’autorizzazione fornita da un organismo internazionale come l’ONU. Il che mi fa pensare che, come Dio è stato creato dall’uomo per avere la giustificazione morale di uccidere gli animali, uomo compreso, così le Nazioni Unite sono state create affinché gli USA avessero l’autorizzazione a intervenire nelle faccende degli altri paesi. E infatti, se vediamo quando gli eserciti agli ordini dell’ONU intervengono e quando no, si capisce che le vere motivazioni non sono quelle che vengono propagandate ufficialmente. In Ruanda, infatti, non è intervenuto nessuno e c’è stato un milione di morti. Altrove, dove invece ci sono risorse minerarie, l’ONU interviene speditamente. Questo lo sanno ormai anche i bambini!
Quando gli oppositori di un governo – e ce ne sono ovunque – manifestano la propria contrarietà, il regime mette in campo le proprie forze e interviene per sedare gli animi. Noi siamo abituati a vedere scene di guerriglia urbana, in cui poliziotti in assetto antisommossa manganellano di santa ragione giovani scalmanati. E lo troviamo normale. Ci sembra fisiologico che le forze di polizia facciano cariche di….alleggerimento per disperdere le folle urlanti. I manganelli, non dimentichiamolo, si chiamano anche sfollagente. Com’è bello il silenzio e la quiete! Com’è preferibile la piazza sgombra di persone, piuttosto che una calca di esagitati che scandiscono slogan incomprensibili! Perciò è preferibile alleggerire le turbe che si accalcano inutilmente per strada. E’ sacrosanto mettere ordine e pulizia: nessun borghese potrebbe sollevare obiezioni. Si dà il caso che non in tutti i paesi ci si ferma alle manganellate. Se l’Italia e gli altri stati occidentali si autodefiniscono civili, attuano periodiche repressioni a forza di botte e ciò nonostante possono continuare a fregiarsi del titolo di civili, il governo consolidato di un paese africano come la Libia, posto di fronte alla minaccia di veder crollare il proprio regime, usa metodi sbrigativi e spara direttamente sulla folla. Lo fece anche Marc Ravalomanana nel 2009 servendosi di mercenari, anche se non gli servì. Pure Gheddafi ha mercenari, ma il grosso del lavoro di repressione glielo fa l’esercito regolare, chiamato, per l’occasione, lealista. E’ un metodo sbrigativo, quello di sparare sulla folla, perché si evita di perdere tempo a catturare i dissidenti e a ucciderli in prigione. Certo, si deve rinunciare al piacere di torturarli, ma non si può avere tutto dalla vita e in certi casi manca anche il tempo. Inoltre, con i cadaveri nelle prigioni bisogna pensare allo smaltimento, a fornire giustificazioni legali per i familiari e versioni ufficiali per quei ficcanaso dei giornalisti, che non mancano mai. Quanto meglio ammazzare i dimostranti direttamente in strada e lasciare che….i morti seppelliscano i loro morti, tanto per fare una citazione originaria di quelle parti. Medio Oriente, zone calde e assolate, frequentate da oziosi dromedari ed erranti pastori meditabondi, mangiatori di datteri. Zone calme e quiete, tranne quando gli animi non si riscaldano. Ah, come siamo molto più ragionevoli e pacati noi che viviamo in climi freddi! Chi ha voglia di scendere in piazza a combattere con cinque gradi sotto zero?
A Genova, nel luglio 2001, si sparse la voce che il governo aveva predisposto qualche centinaio di bare, stoccate in misteriosi magazzini. Il numero preciso non si conosceva, perché nessuno le aveva viste, ma la notizia era verosimile. Chi l’avrà messa in giro, quella voce? Berlusconi ospitava il G8 e non voleva fare brutta figura. Voleva fare il bravo padrone di casa e aveva fatto vietare che nel centro storico di Genova la gente mettesse a stendere i panni sui balconi. Fu così che nacque, spontanea, la rivolta delle mutande, esposte in bella mostra. Poi, di morti, ce n’è stato uno solo. Un ragazzo di nome Carlo Giuliani. Ma, colpisci uno per educarne cento, non era uno slogan delle Brigate Rosse? Vuoi vedere che quel gruppo terroristico fu messo in piedi dal governo, con l’aiuto dell’immancabile CIA? Perché avrebbero dovuto fare una cosa del genere? Semplice! Per indirizzare l’opinione pubblica verso un nemico interno, così da creare manicheisticamente una fittizia contrapposizione tra Bene e Male e apparire agli occhi della gente come i custodi del Bene. Come risolutori di problemi. Di passaggio, il governo si è tolto una spina nel fianco, Aldo Moro, che guarda caso non era per niente simpatico agli americani.
E’ una tecnica ormai collaudata e anche con Gheddafi è stata messa in opera. I servizi segreti creano il problema, per esempio attentati terroristici, e i regimi offrono la soluzione: misure di sicurezza e leggi repressive. I cittadini sono contenti. Spaventati, ma contenti (il bastone e la carota), sollevati nell’animo dall’avere un governo così premuroso che li protegge. Se solo sapessero chi è, in realtà, che mette le bombe!
Che cosa ha di diverso Gheddafi dalla regina Elisabetta II? Lui probabilmente è stato messo su dai servizi segreti occidentali, perché a quell’epoca faceva comodo. Lei si è ritrovata ad essere regina per discendenza di sangue: non ha fatto un grande sforzo per occupare quel posto, ma se lo è trovato fra le mani senza colpo ferire. Agli inglesi piace così. Noi, i nostri savoiardi, li abbiamo fatti filare nel secondo dopoguerra, con un plebiscito. Personalmente aborro il concetto stesso di monarchia, ma devo prendere atto che a milioni di uomini, invece, fa piacere sapere di essere governati da un monarca. E, in ogni caso, abbiamo un lungo passato storico in tal senso. Anche se pure la democrazia non scherza, come vetustà, se è vero che è stata inventata nell’antica Grecia. In fondo, nonostante i quasi sette miliardi di esseri umani e l’accresciuta cultura tecnologica, siamo rimasti alla forma mentis tribale e tutti noi vogliamo un re, come le famose ranocchie della favola. Infatti, il più delle volte ci capitano re travicelli. Di modo che, nel bene o nel male, Gheddafi e famiglia potevano continuare a occupare quel posto e i libici dovevano rassegnarsi, poveretti, come noi ci siamo rassegnati a tenerci Berlusconi. Solo con la morte degli interessati, qualcosa potrebbe cambiare, anche se il principio di supremazia di pochi eletti sulle masse resterà per sempre. Mors omnia solvit, non sempre risolve ogni cosa. Anzi, quasi mai lo fa.
E così ci risiamo! Basi militari e aerei messi a disposizione delle forze occidentali. Avranno ancora il coraggio di chiamarla “missione di pace”? Se prima i magrebini scappavano dalla miseria, ora scapperanno anche dalle nostre bombe. Di sicuro, non attraverseranno l’Atlantico per chiedere asilo politico agli Stati Uniti. Indovinate dove i profughi cercheranno rifugio? A me sembra una punizione per l’Italia, con un Premier che ha scontentato i suoi padroni americani e non se ne vuole andare, per tacere dell’arroganza francese con cui Sarkozy ha voluto entrare in guerra a tutti i costi, senza neanche sapere se Berlusconi, ex amico di Gheddafi, era d’accordo. Noi ci facciamo la solita figura barbina: inaffidabili e traditori. I tedeschi anziani ancora si ricordano dell’otto settembre.
Tuttavia Gheddafi sbaglia a pensare che si tratti di una guerra di religione, anche se lo fa per motivi propagandistici, per chiamare il mondo arabo alla guerra santa. A noi occidentali della religione non importa un fico secco e di sicuro viene molto dopo il campionato di calcio. Lo si vede dentro e fuori gli stadi. Piuttosto, bisognerebbe che qualcuno spiegasse al leader libico che i suoi nemici non sono i cristiani, ma massoni ebrei petrolieri e banchieri che hanno come unico vero dio il Denaro. Una specie di Moloch che, come Crono, divora i suoi figli. Un dio geloso che va assecondato in tutti i modo possibili: distruggendo la natura, scatenando crisi economiche, spargendo virus e pandemie fittizie, accendendo focolai di guerra, facendo sparire i dissidenti e in mille altri modi che possano portare soldi nelle loro tasche. Quella maledetta cricca di guerrafondai non guarda in faccia a nessuno. E il Papa del Vaticano può strillare quanto vuole!
In Occidente, i politici in carriera, quando cominciano a puzzare, con la data di scadenza passata da un pezzo, vengono fatti cadere con gli scandali: Craxi con la corruzione, Andreotti con la mafia, Berlusconi con le minorenni. Negli USA, per tradizione, ai presidenti sparano. Ma nei paesi del Terzo Mondo – e la Libia ne fa parte – si usano pochi riguardi, si va per le spicce e una bella guerra civile ben orchestrata, con tanto di processo finale ed esecuzione capitale del leader, è di solito la procedura usata. Saddam docet.

Freeanimals

Insonnia: ecco cosa mangiare nel caso non si chiuda occhio

Scritto da Silvia Bellucci

Secondo i risultati dello studio Morfeo, più del 40% degli italiani soffre d’insonnia, due su tre sono donne e il disturbo aumenta con l’età.
Il cattivo sonno ha ripercussioni sulle attività diurne, altera la capacità di reazione, diminuisce il livello di attenzione, con conseguenze più o meno gravi, come errori sul lavoro o incidenti stradali.
Diverse sono le cause dell’impossibilità di dormire, e non sempre sono facili da individuare.
Il sonno è un bisogno primario dell’uomo, ma, per quanto riguarda la durata, è molto soggettivo. Ci sono persone che per sentirsi bene hanno bisogno di dormire almeno 10 ore, mentre altre poco più di 3 ore. Il sonno può essere disturbato sia da fattori psicologici (come lo stress, l’ansia, la paura o la depressione), o da fattori fisici ( scompenso cardiaco, l’iper e l’ipotiroidismo, la menopausa).
Consultare il medico è sicuramente la prima cosa da fare se l’insonnia vi accompagna da troppo tempo, ma se è un fenomeno sporadico, provate semplicemente a cambiare alimentazione!
Per evitare passeggiate notturne su e giù per il corridoio, o censimenti di pecore immaginarie, è preferibile una cena a base di cibi che contengono triptofano e serotonina ed evitare quelli che contengono caffeina, teina, tiramina e taurina.
La nostra dieta potrà essere comunque molto varia, i cibi che conciliano il sonno sono tantissimi e potremo sbizzarrirci in ricette golose. I legumi e i cereali contengono triptofano e, se assunti di sera, hanno un effetto calmante. Quindi sì a tutti i tipi di zuppe e paste a base di ceci, fagioli, lenticchie, piselli, fave, farro o avena. Potete ingolosire il piatto con dei crostini di pane integrale o ai cereali e un filo d’olio extravergine d’oliva.
La cena proseguirà con un secondo a base di tacchino, magari cotto alla piastra e condito con il limone. Lo stato di “coma” tipico del giorno dopo il Ringraziamento, raccontato dai film americani, non è dovuto solo alle grandi quantità di cibo, ma anche dalla presenza di triptofano nel tacchino.
Sono banditi dalla tavola tutti i formaggi stagionati, parmigiano, grana, pecorino, asiago e simili, gli affettati e le carni insaccate, che contengono un alto livello di tiramina, che ci fa tiene svegli.
Accompagniamo il tutto da una buona bottiglia di vino o meglio ancora di birra! L’alcol, in piccole quantità (1 bicchiere a pasto) ha un potere sedativo, ma se eccediamo, può avere l’effetto opposto, impedire al corpo di rilassarsi e di abbandonarsi alle fasi profonde del sonno.
Un bel piatto di frutta non può mancare, ma per riposare bene, dobbiamo preferire banane, arance e castagne durante l’inverno, pesche, ciliegie e uva durante l’estate. Sì anche a tutta lafrutta secca, mandorle, pistacchi, pinoli, anacardi, noci e nocciole, alle quali non possiamo rinunciare soprattutto durante le feste natalizie!
Ci concediamo anche un dessert, che ci rende sempre di buon umore. Sì al cioccolato, ma solo fondente! Infatti, il cioccolato al latte scatena l’irrequietezza (contiene tirosina, coinvolta nel processo di sintesi dell’ adrenalina), mentre quello fondente, ricco di serotonina, aiuta a rilassare il corpo.
E per questa sera niente caffè!
Dopo un paio d’ore, prima di coricarci, beviamo una tisana rilassante. Non esiste solo la camomilla, ce ne sono di tanti tipi e per tutti i gusti! Quella al finocchio aiuta la digestione, l’infuso di fiori d'arancio, menta e melissa sono un ansiolitico naturale, la valeriana ha effetti positivi sull’insonnia e sui disturbi da stress. Dolcificate la tisana con un cucchiaino di miele, che, contenendo glucosio, è in grado di spegnere l’orexina, molecola responsabile del ciclo sonno-veglia.
Ma se proprio non andate d’accordo con le tisane, le nonne insegnano che una tazza di latte caldo con un cucchiaino di miele ha lo stesso effetto!
Un ultimo consiglio, ma non per questo meno importante, moderate sempre e comunque le quantità di cibo. Se è vero che un pasto abbondante provoca sonnolenza, non possiamo impegnare troppo il nostro apparato digerente durante la notte senza pagarne le conseguenze. Altro che passeggiate!
Buon appetito a tutti... ops... Buona notte!

Il mondo ne parla, Parma tace


La Marsigliese qui è di casa, si fa per dire. Sarà colpa di Maria Luigia, della grandeur da petite, piccolissima, capitale. Ai rapporti tra Apppennino e Oltralpe hanno dedicato fior di libri e il principale è quel capolavoro intitolato “Parma e la Francia”di Henri Bèdarida. Poi ci è messo un poco il rugby ed ultimamente l’economia.
La principale banca cittadina Cariparma è di proprietà di Crèdit Agricole e per quelle regie che solo la provincia sa mettere in campo, ora l’istituto di credito si trova faccia faccia con un altro colosso, quell’Intesa San Paolo guidata da Corrado Passera che non solo ha messo gli occhi e le mani sull’ultima banca locale, Banca Monte.
No, Intesa sta anche guidando la cordata italiana per “salvare” la Parmalat dall’assalto dello straniero, e in particolare dal colosso Lactalis, guarda caso, decisamente francese e con non poche operazioni patrocinate Crèdit. Uno scontro epico che potrebbe cambiare la geografia dell’alimentare in Italia e in Europa. Il mondo si scorna, si esprime, si coalizza e Parma tace. Un silenzio assordante.
Eppure Parma è la capitale dell’agrolimentare e questo settore ha salvato la provincia dalla crisi, Crèdit Agricole è di fatto il principale azionista delle Fiere e di Cibus. Eppure sul valzer (delle liste) Parmalat tutti tacciono: istituzioni, grandi industriali locali, cooperatori, economisti. Eppure le ripercussioni positive o negative potrebbero essere tante.
E’ una battaglia che sta a cuore al mondo ma qua si tace, nemmeno un’analisi, una scellta di campo.
Con la scusa che tanto decideranno gli altri, nessuno si esprime. Un silenzio -provincialmente furbetto?- che ricorda tanto un’altra vicenda targata Parmalat, quando, poi, zitti zitti tutti scesero dal carro del… perdente. (antonio mascolo)

« Essere o non essere (italiani) "Voltafaccia all’italiana"

E’ significativo e appropriato che, nel momento delle celebrazioni dell’Unità d’Italia, gli italiani, o almeno i rappresentanti istituzionali da loro liberamente eletti, soffino sulle candeline della torta confermando una delle nostre doti più caratteristiche: la capacità di fare i peggiori voltafaccia a cuor sereno, adducendo le motivazioni più false.
Il più vergognoso di questi voltafaccia è forse quello nei confronti di Gheddafi e della Libia. Un anno fa abbiamo dovuto assistere all’accoglienza da terzo mondo riservata al colonnello, col quale Berlusconi aveva addirittura firmato un trattato d’amicizia fra i popoli libico e italico. Durante lo scoppio della crisi, silenzio. E ora siamo pronti non solo ad assistere silenti all’invasione del paese, ma a parteciparvi attivamente, fornendo basi e truppe.
Forse che Gheddafi è diverso oggi, da com’era un anno fa? Ovviamente no. Il voltafaccia ha motivazioni molto terra terra, benchè il ministro della Difesa abbia coraggiosamente assicurato che nelle operazioni i nostri non metteranno piede sull’ex paese amico. Queste motivazioni sono che gli Stati Uniti e la Francia hanno deciso di intervenire, e c’è il rischio che ci sostituiscano nello sfruttamento commerciale del paese.
Naturalmente, le motivazioni di Obama e Sarkozy non sono molto più elevate. In fondo, presiedono entrambi paesi che sono ancora letteralmente coloniali: nel senso di possedere letterali colonie, che vanno da Puerto Rico alla Nuova Caledonia. E si tratta di paesi che hanno sempre avuto interessi in generale nel Nord Africa, e in particolare in Libia: ad esempio, il primo intervento armato che gli Stati Uniti effettuarono al di fuori del continente americano fu appunto un bombardamento su Tripoli, nel … 1804!
Ma restiamo ai nostri voltafaccia. Un altro è seguìto agli incidenti nucleari causati dal terremoto del Giappone. Mentre tutto il mondo faceva un esame di coscienza e meditava sull’energia atomica, il governo italiano continuava a dichiarare imperterrito che avrebbe mantenuto in vita il programma di costruzione delle centrali nucleari. Salvo accorgersi che la cosa poteva danneggiarlo dal punto di vista elettorale, come si è lasciata scappare “fuori onda” l’ineffabile ministro per l’Ambiente. E allora, marcia indietro, senza nessun problema.
Naturalmente, non possiamo dimenticare che è proprio grazie a questa nostra dote naturale che siamo risultati i veri vincitori della Seconda Guerra Mondiale. Gli unici, cioè, che sono sempre stati dalla parte dei vincitori, pertutto il conflitto: prima con l’asse, e poi con gli alleati. All’epoca si diceva che eravamo il doppio di quanti sembravamo, cioè 90 milioni: 45 milioni di fascisti prima della guerra, e 45 milioni di antifascisti dopo.
D’altronde, a proposito di fascisti, cos’altro era il Concordato del 1929, se non un altro storico voltafaccia? Personale, dell’ateo Mussolini. E nazionale, dell’Italia risorgimentale che aveva sconfitto lo Stato Pontificio ed era sorta sulle sue ceneri. Per 68 anni, dal 1861 al 1929, appunto, quell’Italia era rimasta laica e libera, e da un giorno all’altro si era ritrovata clericale e coatta.
Eppure, nelle celebrazioni di questi giorni quell’Italia è assente. Perchè dovunque, in prima fila tra le autorità alle cerimonie, si vedono vescovi e cardinali. Quando non avviene il contrario, e ad essere in prima fila sono invece le autorità alle celebrazioni religiose. Addirittura, il 17 marzo, alla solenne messa celebrata dal Segretario di Stato e conclusa con il canto delTe Deum: che i preti, naturalmente, hanno ragione a cantare, per ringraziare Dio di aver reso così malleabili e generosi i governanti italiani.
Naturalmente, tra i cantanti del coro ce n’erano molti che stavano facendo anch’essi il loro bel voltafaccia. A partire dal presidente della Repubblica, (ex) comunista e ateo come il miglior Togliatti: responsabile, quest’ultimo, dello storico voltafaccia alla Costituente che causò il recepimento del Concordato clerico-fascista nell’articolo 7 della Costituzione laico-repubblicana.
Noi italiani siamo fatti così. E questo ci infonde speranza, perchè presto o tardi faremo un nuovo voltafaccia, e gireremo le spalle anche a Berlusconi. Non si troverà più uno che ammetterà che l’aveva votato, così come una volta non si trovava uno che ammettesse di aver votato la Democrazia Cristiana, che pure era il partito di maggioranza relativa. A festeggiare l’Italia dei voltafaccia, io aspetterò quel momento, anche se sarà ormai troppo tardi per gioire.
Piergiorgio Odifreddi

Accendiamo un sorriso, lunedì a Perugia Beppe Carletti dei Nomadi


Ci sarà anche il fondatore dei “Nomadi” Beppe Carletti, da sempre impegnato in iniziative sociali e umanitarie, alla conferenza stampa di presentazione di “Accendiamo un sorriso”, che si terrà a Perugia, nella Sala Fiume di Palazzo Donini . L’iniziativa, di cui Carletti è testimonial, è finalizzata a raccogliere fondi a sostegno del Centro riabilitativo per minori disabili di Umbertide e per il progetto “Madagascar” di Beppe Carletti e i “Nomadi”. A promuoverla è il Comune di Umbertide con la collaborazione della Regione Umbria e il coinvolgimento di altri Comuni umbri, enti nazionali, associazioni sociali, sportive e culturali di Umbertide e scuole del territorio.
Scuole coinvolte Gli alunni delle scuole, in particolare, saranno invitati a realizzare decorazioni natalizie che il 3 e 4 dicembre, in occasione dell’accensione dell’albero di Natale in piazza Matteotti a Umbertide, verranno offerte nello stand allestito insieme alle associazioni del territorio, alla presenza di Beppe Carletti. Finalità e modalità del progetto verranno illustrate, insieme a Carletti, dal sindaco e dal vicesindaco di Umbertide, Giampiero Giulietti e Maria Chiara Ferrazzano.

Tre mogli in Marocco "Voglio portarle in Italia"

Vive da vent'anni a Genova, gestisce una catena di macellerie islamiche nel centro storico. si è sposato una prima volta nel suo Paese, poi una seconda e adesso è al suo terzo matrimonio. Come per le due precedenti consorti, ha chiesto in Questura l'autorizzazione al "ricongiungimento familiare"
di WANDA VALLI
Lui, Mohamed, 44 anni, cittadino marocchino, da una ventina in Italia dove ha scelto Genova per vivere, rispetta tutte le leggi. A partire da quelle della sua religione, l'Islam che consente a un uomo di avere più mogli. A patto di garantire il loro benessere. E il benessere a Mohamed è arrivato grazie al suo lavoro: nel centro storico ha aperto macellerie per islamici dove vende la carne "lecita" macellata secondo quanto prevede quella religione e dopo ogni negozio aperto e avviato, si è sposato. E ha portato la moglie in Italia.
Adesso siamo al matrimonio numero tre, con relativa richiesta in attesa di esame presso la Questura di Genova, mentre il macellaio si prepara, assistito dall'avvocato Mario Iavicoli, a tentare una nuova strada: chiedere che la terza moglie possa, comunque, venire a vivere con lui in Italia dove la legge vieta la bigamia e l'harem.
Partiamo dagli inizi. Mohamed è molto giovane quando con la famiglia arriva in Italia, si sistema a Genova, impara a macellare carne, finché decide di aprire un negozio tutto suo nella città vecchia. Il commercio ha successo e Mohamed va in Marocco, si sposa torna a Genova e con la moglie mette al mondo due figli.
Intanto, vista la buona riuscita degli affari, apre una seconda macelleria e, poiché l'Islam lo permette, va in Marocco e si sposa per la seconda volta. Come fare per portare la consorte a Genova a vivere con lui? Quella volta Mohamed sceglie una strada "all'italiana": divorzia dalla prima moglie, consenziente e consapevole, la sistema con i due figli con un appartamento e così può, senza problemi, far arrivare in Italia la nuova sposa. Anche lei mette al mondo due figli, il marito la accudisce e vive con lei, ma non dimentica la prima signora e gli altri figli.
Gli affari continuano a migliorare, fino al punto da convincere il giovane commerciante- imprenditore che è arrivato il momento del grande salto: non più una, neppure due, ma tre macellerie islamiche. Neanche a dirlo, anche il terzo negozio trova molti clienti affezionati e, neanche a dirlo, Mohamed vuole celebrare il tutto con un terzo matrimonio. Così torna a casa, incontra l'ultima fanciulla prescelta e, naturalmente, la sposa.
Ora, però, vuole portarla a vivere con lui in Italia. Ma senza divorziare dalla seconda moglie. Spiega l'avvocato Iavicoli: "Nessuno chiede che il matrimonio venga riconosciuto in Italia questo è ovvio, ma esiste un atto, tra due cittadini del Marocco, legale in quello Stato che li dichiara marito e moglie. Noi vorremmo che, sulla base di questo atto, la signora fosse riconosciuta, in Italia, come convivente".
E la seconda e, per ora, unica legittima consorte? Tace e acconsente, garantiscono. Non si sa come farà la Questura a risolvere questo rebus. Se dovesse respingere la richiesta, Mohamed è già pronto per un ricorso al Tar.

Madagascar: i vescovi esprimono grande preoccupazione per la crisi nel Paese

Preoccupazione dei vescovi del Madagascar per la grave crisi politica che da circa due anni rende dura e difficile la vita del popolo malgascio. Mon. Benjamin Marc Ramaroson, vescovo di Farafangana - intervistato dal Catholic Relief Services - dipinge un quadro fosco della situazione sull'isola. “Il popolo malgascio - sottolinea il presule - è stanco delle molteplici preoccupazioni quotidiane (come la mancanza di accesso alle cure e ai farmaci, la disoccupazione, la diffusa povertà) e delle continue calamità naturali, compresa l’ultima dello scorso febbraio, che ha causato la morte di oltre 34 persone e lo sgombero di oltre 216mila abitanti dalle proprie abitazioni”. Il Madagascar, ricco di materie prime, è uno dei Paesi più poveri del mondo. La crisi politica scoppiata all’indomani delle dimissioni del presidente Marc Ravalomanana – riferisce l’Osservatore Romano - ha aggravato le già precarie condizioni economiche del Paese. Altro problema che patisce il Madagascar sono le sanzioni della comunità internazionale che ha tagliato, dal 2009, il proprio aiuto, mentre il bilancio dello Stato dipende in gran parte proprio da finanziamenti internazionali. “Il fatto che lo Stato non riceva più aiuti internazionali – ha spiegato mons. Ramaroson - ha accentuato ulteriormente la difficile situazione socio-politica già precaria a causa della crisi”. Per larga parte, il popolo malgascio riesce a sopravvivere per gli aiuti umanitari, per l'attività incessante della comunità ecclesiale locale attraverso la Caritas e le associazioni, gruppi e movimenti di ispirazione cattolica. Secondo mons. Ramaroson, i pur lodevoli sforzi umanitatri non possono costituire “la soluzione a tanti gravi problemi”. Il vescovo, nell'auspicare un nuovo, condiviso cammino verso il bene comune in Madagascar, pone la sua speranza nelle elezioni presidenziali e parlamentari di quest'anno, anche se ammette che c'è ancora molta strada da percorrere per appianare le frequenti tensioni e i contrasti nella vita politica malgascia. “Fin dall'inizio – ricorda il presule - i vescovi hanno sottolineato che l'esito della crisi politica sono proprio le elezioni”. “Stiamo lavorando nella nostra diocesi - ribadisce - per conformarci di più allo Stato di diritto”. “La Chiesa - ribadisce il presule - è chiamata a svolgere un ruolo determinante in vista delle prossime elezioni, non schierandosi politicamente, ma indicando nelle scelte quei candidati che nei loro programmi politici abbiano a cuore il rispetto della persona, della vita in tutte le sue fasi, dal concepimento fino alla morte naturale, la libertà di educazione e di espressione religiosa, la solidarietà”. (M.I.)

Il Card. Pengo chiede maggiore impegno per l’evangelizzazione in Africa

Il Presidente del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM), il Card. Polycarp Pengo, Arcivescovo di Dar es Salaam, ha rivolto un appello a tutte le Conferenze Episcopali africane perché dimostrino concretamente il loro impegno per rendere la Chiesa in Africa all'altezza della sua missione evangelizzatrice. Il Cardinale ha inoltre invitato i Segretari generali del SECAM a presentare suggerimenti pratici o raccomandazioni per l'attuazione dei risultati del secondo Sinodo africano, con particolare riferimento al Messaggio e alle Proposizioni del Sinodo, in attesa dell’Esortazione Apostolica post sinodale.
Queste esortazioni sono contenute in un messaggio letto, a nome del Card. Pengo, dal Segretario generale del SECAM, P. François-Xavier Damiba, durante la cerimonia di apertura di una riunione di cinque giorni dei Segretari generali che si è svolta a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), dal 17 al 20 marzo. L'incontro, organizzato dal SECAM e ospitato dalla Conferenza Episcopale della Repubblica Democratica del Congo, aveva come tema: “Il ruolo dei Segretari generali per l'attuazione del Messaggio Finale e delle Proposizioni della Seconda Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l'Africa”.
Diversi relatori si sono succeduti nei giorni di lavoro. Tra questi il Segretario Generale della International Catholic Migration Commission, Johan Ketelers, che ha sottolineato la necessità per la Chiesa in Africa di considerare seriamente le sfide incontrate dagli africani che emigrano verso i Paesi occidentali. La Chiesa, ha detto Ketelers, dovrebbe incoraggiare i governi africani a creare un ambiente favorevole per la popolazione, soprattutto per i giovani, per farli rimanere nei loro Paesi, invece di emigrare in altri Stati in cerca di pascoli più verdi o per lavori che spesso non sono a loro disposizione. (L.M.)

L'eterno scandalo de La Dolce Vita

Forse non molti sanno che nel 1960 quando La Dolce Vita di Federico Fellini uscì nelle sale italiane, oltre che durissime critiche preventive da ogni parte politica (il parlamento ritenne opportuno riunirsi per decidere sul valore morale dell'opera), religiosa e istituzionale - dalle colonne infuocate dell'Osservatore Romano, il futuro presidente della Repubblica Italiana, Oscar Luigi Scalfaro, sferzò con toni apocalittici il film; gesto di cui Fellini si ricorderà con grande ironia in un episodio di Boccaccio 70, dove Peppino De Filippo mette alla berlina un episodio della vita di Scalfaro assurto alle cronache per aver fatto coprire una signora vestita con abiti troppo audaci -, la pellicola, il suo autore e il suo protagonista Marcello Mastroianni subirono un vero e proprio boicottaggio per l'alto contenuto di scandalo al limite del "pornografico". Il Vaticano ordinò il divieto di visione ai cattolici con il titolo definitivo di "esclusa per tutti", provvedendo con la minaccia di scomunica per Fellini.

Significativo delle reazioni irrazionali suscitate dal film (soprattutto prima o senza mai vedere la pellicola) restano "lo sputo e gli insulti" a Fellini e Mastroianni alla prima al Capitol di Milano, in un vero clima oscurantista. Tuttavia nulla fermò il volo di Fellini per raggiungere il firmamento internazionale tra i più grandi autori, aggiungendo pochi mesi dopo alla sua precedente lista di premi internazionali (due Oscar rispettivamente per La Strada, 1954 e Le notti di Cabiria, 1957) la Palma d'Ora a Cannes, avendo dalla sua parte alcuni supporter di primissimo livello, quale il presidente della giuria, Georges Simenon e il giurato Henry Miller. Un anno dopo il film avrebbe vinto ancora di tutto, compreso il prestigioso New York Film Critic Circle Award, puntando a varie nomination per l'Oscar l'anno a seguire. Di Oscar alla fine ne arrivò uno solo nel 1962, al grandissimo scenografo Piero Gherardi per i "costumi in bianco e nero", ma il riconoscimento planetario per quel film non era più questione di una o 10 stagioni, perché del film si sarebbe tornati ancora a parlare mezzo secolo dopo fino ai giorni nostri.
Per capire come mai tanta ferocia e ostracismo politico e religioso, non resta che vedere il film, dinanzi alla cui grandezza è molto facile che a qualunque spettatore attento possa sempre accadere di fare vere e proprie scoperte, tanta la visionarietà di Fellini.
A me ne è capitata una tanto eccezionale quanto paradossale, quale quella di aver rivelato per la prima volta al mondo, nella pur vastissima letteratura critica internazionale su Fellini (la fellinologia!), nientemeno che la presenza e la centralità estetica di una natura morta di Giorgio Morandi, rimasta ignota fino ai giorni nostri. Grazie alla retrospettiva di Giorgio Morandi allestita al Metropolitan Museum of Modern Art di NYC nel 2008, su invito del co-curator, Renato Miracco, ho avuto l'occasione di pubblicare la mia intuizione in un libro illustrato da Piero Roccasalvo-RUB: La Natura Morta de La Dolce Vita - A Mysterious Morandi in the Matrix of Fellini's Vision (Bloc-notes Edition - Istituto Italiano di Cultura di NYC, 2008).
Ma una tale rivelazione non deve fare pensare a una mera questione archeologica da Accademia - in fondo ho solo visto e sentito quello che nel film si mostra, nessuna teoria di interpretazione esterna - per cui lo scrissi nella forma quasi di un giallo; un mistero per l'appunto alla ricerca di unanatura morta, che però è davanti a tutti nella sequenza colonna centrale del film: il salotto di Steiner. Si tratta della presenza inquietante di una natura morta nel cuore del più mostruoso film-rotocalco della storia del cinema sul fallimento del giornalismo (il fallimento di Marcello Mastroianni-Rubini) risucchiato nell'abisso del gossip, del cinismo da paparazzi e dello sciacallaggio mediatico, che nel film si traduce in un momento lirico e di meditazione incarnato da Alain Cuny-Steiner: un vero e proprio "silenzio nel frastuono" (Gianni Canova, Sky Cinema) o per meglio dire, la più semplice e straordinaria raffigurazione della vanità di tutta la fiera della vanità.
Ora - ci si chiederà - cosa centra tutto ciò con l'attualità di oggi? Vado al dunque, dicendo subito che tutto quanto di imbarazzante riguarda in questo momento l'Italia -vale per gli italiani all'estero e gli abitanti dello Stivale, e chiunque altro al mondo ormai segue le avventure erotiche della vita pubblico-privata del premier italiano ("bunga bunga Italian Job", come dicono i tassisti a NYC, massima espressione internazionale di quando una news ha superato sua la massa critica in America) - risulta essere una versione pallida e in miniatura dei "mostri" dipinti da Fellini in quel fiume marcio e privo di valori de La Dolce Vita mezzo secolo fa.Se ne ricava ancora una volta che l'arte di certo anticipa i tempi, soprattutto quelli del giornalismo. Un'opera d'arte degna di questo nome, per l'appunto un classico e un monumento come La Dolce Vita, non sta certo dietro i ritmi effimeri di una cosiddetta notizia, che scade entro poche ore, è per l'avvenire. Fellini ha descritto meglio di chiunque altro al mondo la categoria spirituale e universale della dolce vita, che dal microcosmo marcescente dei paparazzi e del jet set people di via Veneto (rifatta in studio a Cinecittà dal premio Oscar, Piero Gherardi) oggi ha contaminato il mondo intero. Esattamente come un untore o un medico che va per mettere il termometro all'ammalato, Fellini fu però imputato di portare lui quella febbre, quella peste sull'immagine dell'Italia. Come a dire una vera e propria tradizione di grandi anti-italiani che va da Dante a Pasolini passando per Leopardi. Ma cosa è il vero amore se non tagliare via chirurgicamente la parte del corpo devastata dal cancro per salvare la vita del corpo? Critica e clinica di una passione autentica, altro che anti-italianità!
Alla fine della fiera - comunque la si pensi politicamente -, non si può più nascondere che fa un certo effetto questa volta atterrare a JFK, dopo tanti anni di vita da pendolare migrante tra il vecchio e il nuovo Continente (roudtrip lo chiamano adesso questo tipo di emigrato, per non dire schizofrenicamente cotto sull'acqua pazza dell'Atlantico), e vedere che su tutti i monitor dell'aeroporto, in una surreale quanto vera atmosfera da Grande Fratello - in USA tutto è un reality, purché ci sia da guardare qualcuno: si tratti di morire o di avere un orgasmo, di diventare miliardario o di perdere tutto, vedendosi confiscare i beni e la vita sotto le luci delle telecamere; mentre tu, spettatore ipocrita, fai l'happy hour-, si ha l'impressione nonostante 9-10 ore di volo di non essersi mai spostati dall'Italia.
Perché l'argomento più battuto con stile proprio da puro entertainment, show e gossip - fino a relegare in un deciso secondo piano la rivoluzione anti-dittatoriale, scoppiata lo scorso dicembre con un uomo che si da fuoco per la disperazione e la fame, su tutta la vasta linea della Cirenaica tra il Nord Africa e il Medio Oriente, e che ora ha raggiunto la Libia di Gheddafi, guarda caso stretto amico di tenda del premier italico - è nientemeno che lo "stile di vita spericolato" e altamente compromettente che il presidente del Consiglio italiano conduce ormai da anni, nonostante sia la prima carica del governo a 75 anni suonati.
L'argomento, che da qualche mese o più precisamente da un paio di anni scotta in un'inarrestabile crescendo mediatico internazionale, va ora verso il suo culmine, il sublime e il grottesco a teatro: un processo per "concussione e prostituzione minorile".
In tutto ciò la stampa italiana e straniera sembrano tuttavia accusare un fuori frequenza e un fuori tempo cronico, risultando anche come "una stampa esagerata", sia in un verso, sia nell'altro. Il linguaggio e il registro dell'iperbole del gossip e della pubblicità sono l'arma prediletta delle due parti. E, a quanto pare sia dai media vecchi, sia da quelli nuovi, questa è la dimensione su cui ci si è schiacciati definitivamente.
Non è un caso che la stampa finisca per riprodurre pur sempre una politica e una visione di governo, così come una di opposizione: da una parte il servilismo al caudillo (populista) italico dei media; dall'altra il completo fallimento di una alternativa politica e peggio ancora intellettuale. Perché non si può dichiarare all'estero, nella fattispecie in Israele, mancando assolutamente di tatto e di delicatezza umana, in virtù della cultura che: "Berlusconi è come Hitler". Con un simile bizzarro paragone (la diabolica proprietà simmetrica dell'uguaglianza) si compie un doppio falso storico: minimizzare il secondo dinanzi alla Shoah; esagerare iperbolicamente e a torto il primo, che proprio di esagerazione retorica non ha bisogno, essendo indubbiamente il più esagerato anchorman e commerciante degli ultimi 150 anni dell'Italia.
Alla vigilia del G8 a L'Aquila (8-10 luglio 2009), il NYT, come scommettesse per una soffiata dell'intelligence (wikileaks docet!), titola sbagliando emblematicamente la definizione di dolce vita, scrivendo: Silvio Berlusconi. The End of La Dolce Vita; invece di, The Acme of La Dolce Vita. Giorni dopo l'FT, elogiando invece l'operato, certo come chi conosce i risultati dell'organizzazione dell'evento appena avvenuto, tenta un endorsement come portavoce di Londra e Washington, sostenitori dell'idea del trasferimento all'ultimo minuto dalla Maddalena all'Aquila, titolando: Berlusconi the statesman, not the playboy.
A pensarci oggi viene in mente Ovidio, come si legge in un passaggio della sotterranea di Manhattan: gutta cavat lapidem. Ma parlando di goccia perforante si potrebbe dire più appropriatamente di questi tempi, come citando i graffiti del mondo, per l'appunto, Julian Assange. Guarda caso i media, per scegliere l'uomo dell'anno 2010 hanno confluito tutti su Mark Zuckerberg (l'inventore del teatrino dell'FB-I della comunicazione democratica: oggi mangio, poi digerisco! Oppure: che noia, il cielo è grigio; e così via citando tra i migliori i post quotidiani della rete facebook). Un titolo più corretto ed eloquente in chiave dolce vita si è potuto invece leggere di recente a firma di Michael Leeden sul WSJ, con un'osservazione umoristica: Berlusconi. Undone by La Dolce Vita? Imagine Dick Cheney being judged by three women from the Yale Law faculty. L'elenco sarebbe quasi infinito, quanto grottesco, tuttavia se ne ricava, come si dice in gergo, che il giornalismo, così come la politica, non sta proprio sul pezzo: è il fallimento di un intero sistema. A guardare come vanno le cose, la storia stessa sembra essere fallita come scienza (verum ipsum factum, Vico-Dewey), dal momento che tanta informazione non riesce a formare alcuna coscienza, nonostante l'ininterrotto, superpotenziato e aggiornato flusso informatico a tutte le ore e ovunque ci si trovi (mobile media device).
Come temeva Walter Benjamin: "Le quotazioni dell'esperienza sono crollate". E' la svalutazione totale della memoria nella borsa dei valori. Ma non si tratta tanto qui della grande memoria, lontana, piuttosto della piccola e vicina, in quanto appena trascorsa e già persa nell'oblio dell'informazione. Non si tratta di sapere cosa avvenne 200 o 1000 anni fa (che non guasterebbe mai), ma di ricordare quello che è trascorso nelle ultime ore, settimane, mesi, pochi anni per tentare di capire. Nulla invece, solo informazione su informazione. Esattamente come avviene nell'anziano, tale è la velocità di invecchiamento del cervello di questa società dello spettacolo e dell'informazione (che alla fine macabramente coincidono), magari si ricorda e si ripete ossessivamente da una parte e dall'altra quello che avvenne durante la campagna di Russia; mentre non si sa nulla di quello che si è mangiato la scorsa settimana e che ci ha fatto ricoverare in ospedale per una grave intossicazione virale al fegato.
A vedere quello che succede in Africa - chissà perché l'ultimo visionario Pasolini indicasse, prima di morire, l'avvenire del mondo proprio nell'antico continente africano?! -, viene da chiedersi se forse è questione di qualità e di stile di vita occidentale? Qui in Occidente le lucciole sono veramente scomparse, mentre in Africa c'è ancora una resistenza di questo fuoco fatuo nella notte dell'umanità? Significativo a tale proposito un piccolo recente saggio scritto da Gorges Didi-Huberman in merito alla scomparsa di queste lucciole dall'Occidente.
La potenza dell'informazione luminescente nel palmo della tua mano: comodamente tutto dentro il tuo iPad appoggiato sulle gambe alle 6.45 del mattino mentre sei seduto sulla tazza del tuo regno. E nonostante ciò nulla o poco che sia?
E' esattamente come il 3D al cinema: la gente si mette in fila e consuma, poco importa cosa, basta che possa mettersi sulle gambe accanto ai popcorn e alla coca cola un leone o un elefante tridimensionale, e spegnere il cervello.
Ma per tornare al capolavoro di Fellini: si può indubbiamente dire, alla luce di quanto viviamo a livello globale e non solo italiano, che a segnare il miglio di una coscienza sulla deriva attuale ci aveva dunque pensato, più di mezzo secolo fa, ancora una volta un artista, il maestro del cinema, par excellence. Il quale piantò nel corpo sociale italiano dell'epoca una pietra miliare dello scandalo, al costo di una feroce e cieca scomunica da parte di una borghesia politica e religiosa, tartufa e bigotta, che non tramonta mai.
La Dolce Vita - termine degli anni '30 per definire una vita abietta e cinica, priva di ogni valore di dignità; altro che la traduzione per l'internazionalizzazione dell'Italian Life Style come passeggiare per le viuzze vestiti alla moda, caffè e cappuccino al Patheon e conversare in amenità della primavera che tarda ad arrivare - oggi è più che mai un fiume cancerogeno universale, che privilegia e sfregia il corpo del sistema dell'Italia in maniera specifica ed eccezionale.
Sulla sua superficie oscura (l'opacità della poesia di un film di 50 anni fa) noi tutti possiamo e dobbiamo specchiarci senza paura - come indicò paradossalmente controcorrente in encomio per l'opera di Fellini l'austero Cardinale Siri rispetto alla parola d'ordine di boicottaggio del Vaticano, il cui maggiore portavoce fu nientemeno che il progressista e moderato Arcivescovo Montini, futuro Papa del Concilio Vaticano II - per riappropriarci del senso sacro della vergogna (Primo Levi) per il nostro totale fallimento. Grazie a quell'insuperabile mago di Fellini, il quale aveva saputo fare tesoro di una lezione di Pasolini sulla pittura di vanità (natura morta, still life, vanitas) di Giorgio Morandi, noi ora non possiamo più dimenticare, né ignorare, se vogliamo provare a capire e non solo ad informarci dell'ultima informazione.
E' da un simile memento mori che bisognerebbe ripensare, nel 150° dell'unificazione dell'Italia, una nuova Giovane Italia (ancora: fare gli italiani sul merito e non sul nepotismo e la politica di veto) per resistere e risalire i gironi dell'Inferno di questa Dolce Vita universale e raggiungere non dico il Paradiso, ma per lo meno il purgatorio terrestre della dignità umana.
MAURO APRILE ZANETTI

Università di Padova : prima conferenza del ciclo legato alla Biodiversità

Dal 22 marzo fino al 17 maggio, ogni martedì alle ore 16.30, al Teatro dell’Orto Botanico dell’Università di Padova, via Orto Botanico 15, si terranno gli incontri, con i massimi esperti italiani, legati al tema della biodiversità. I seminari vogliono stimolare il visitatore all’approfondimento di ciò che si intende per mondo vivente, dall’ambiente domestico al territorio regionale fino a quello globale, con lo scopo di avvicinare il più possibile il pubblico, sia adulto che quello delle nuove generazioni, al tema vasto della biodiversità. Il ciclo, che si articola in tre sezioni i cui temi richiamano quelli della mostra “Biodiversità: Ieri oggi domani”, propone un fitto calendario che tratterà l’unicità del sito fossile di Bolca, l’alimentazione e le culture, il “caso” Madagascar, il verde urbano e gli strumenti genetico-molecolari avanzati per lo studio della biodiversità.
Martedì 22 marzo Guido Roghi, Istituto di Geoscienze e Georisorse CNR del Dipartimento di Geoscienze, alle ore 16.30 nel Teatro botanico dell’Orto Botanico dell’Università di Padova, via Orto Botanico 15, aprirà il ciclo di seminari con la conferenza “Bolca un tuffo nella biodiversità del passato”
Il prossimi appuntamenti saranno con Giovanni Bittante, Università di Padova, “Alimentazione e culture”, Lorenzo Rook, Università di Firenze e di Padova, “Biodiversità nel record dei primati del Neogene”, Franco Andreone, Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, “Dinamiche di perdita della biodiversità dovute all’antropizzazione: il caso del Madagascar”, Augusto Zanella, Università di Padova, “Biodiversità del verde urbano: breve fondamento teorico, esempi di interventi e suggerimenti per una gestione sostenibile”, Gianni Barcaccia, Università di Padova, “Strumenti genetico-molecolari avanzati per lo studio della biodiversità: DNA Barcoding”, Mauro Negri, Università di Milano-Bicocca, Un viaggio in Tailandia. Biodiversità ed evoluzione delle faune a molluschi, ieri e oggi: cinque case-histories nel Sud Est asiatico, e Carlo Andreoli, Università di Padova, “L’Orto Botanico: ieri oggi domani”.
La mostra “Biodiversità: ieri oggi domani” allestita nelle Sale del CAM, il Centro di Ateneo per i Musei dell’Università di Padova in via Orto Botanico 15, si snoda attraverso un percorso che inizia con una definizione di biodiversità e si articola attraverso alcuni focus che esaminano gli ambienti marini, costieri, le praterie alpine e i sistemi agricoli.
Di seguito il visitatore ha modo di approfondire l’aspetto temporale della biodiversità attraverso l’analisi di alcune aree geografiche che hanno subito cambiamenti climatici. Infine nell’ultima sezione viene sottolineata l’importanza della biodiversità e il concetto, sempre più attuale, della sua perdita intesa come cancellazione irreversibile di specie vegetali e animali dovuto sia ai mutamenti del clima, ma anche al sovra sfruttamento del territorio.
Informazioni: Informazioni: tel. 049/8272135 Mail: mostrabiodiversita@unipd.it

Le origini del Kenaf

Il kenaf, secondo il Murdoc, fu domesticato nel 3500 a.C. nel Nuclear Mande, una regione agricola dell'Africa Occidentale ove l'agricoltura si sviluppò indipendentemente da quella egiziana. Quest'ultima infatti, a partire dal 5000 a.C., aveva ottenuto le prime specie domesticate, vegetali ed animali, per migrazione dalle regioni collinari dell'Irak Centrale. Se la valorizzazione del kenaf si originò nell'Africa Occidentale a nord dell'equatore, più controversa presso i ricercatori si presenta l'identificazione del centro di origine della specie. Tre sono le aree africane ove si trovano forme selvatiche:
• le valli superiori del Niger e del Bani: è la zona più vicina al centro di domesticazione;
• il territorio Angolano, che presenta le specie più primitive. Da qui la specie avrebbe migrato verso oriente per poi rientrare ad occidente, una volta superata la fascia tropicale umida, rappresentante una barriera naturale per le migrazioni dirette nord-sud e/o viceversa;
• il territorio Tanzaniano: da qui il kenaf sarebbe potuto migrare con direzione sud-occidentale, verso l'Angola e con direzione nord-occidentale, verso il territorio del Nuclear Mande.
Prive di fondamento sono invece le ipotesi di una origine asiatica della specie poiché sul territorio asiatico non esistono specie selvatiche. La migrazione verso l'Asia è avvenuta probabilmente insieme al karkadé per via marittima oppure con le carovaniere attraverso il territorio mesopotamico.
La scoperta in tale area, da parte di una missione archeologica italiana, di manufatti con fibra di kenaf risultati databili al 2400-2800 a.C. sembrerebbe confermare tale ipotesi.

Prime utilizzazioni
La prova della prima utilizzazione di questa malvacea come specie da fibra tessile è stata annunciata soltanto recentemente.
Nel 1972, una équipe di archeologi dell'ISMEO - Istituto per il Medio e l'Estremo Oriente dell'Università di Roma, in uno scavo effettuato a Shahr-l-Sokhta, nel Sistan Persiano, ha rinvenuto una cordicella di kenaf risalente al III millennio e che risalirebbe al 2400-2800 a.C. (Comunicazione personale del Prof. Costantini - ISMEO - Roma). Trattasi dunque di un manufatto tessile.
In periodo storico, il primo impiego del kenaf è avvenuto ad opera delle popolazioni del continente indiano che - per la più ampia adattabilità della specie in rapporto alla juta - lo hanno da sempre utilizzato nelle aree marginali al bacino monsonico del continente asiatico.
E' dunque in quest'area che dalla seconda metà del 1700 molti ricercatori inglesi si interessarono a questa specie ed alla sua coltivazione: ciò avvenne sia con prove di comparazione sperimentale, come quelle condotte a Madras dal 1784 al 1815 da Sir William Roxburgh, sia e successivamente a Calcutta, nei giardini della East Indian Company, sia descrivendone la diffusione allo stato spontaneo o la coltivazione nelle differenti parti dell'India da parte delle popolazioni locali.
Secondo Dustan, come riportato dal Dempsey, la fibra di kenaf fu presentata per la prima volta in Europa sul mercato di Londra agli inizi del XX secolo (1901-1902) con il nome di "Bimlipatam jute".
Tale nome prende origine dal villaggio di Bimlipatam ove - come segnalato nel 1910 dai due fratelli Howard, i primi che procederono alla classificazione del kenaf nei cinque fenotipi a tutt'oggi riconosciuti, - era localizzato un impianto di filatura ed una manifattura sacchi con differenti fibre.
La prima fabbrica di sacchi, che abbia utilizzato esclusivamente fibra di kenaf e che secondo il Dempsey restò funzionante fino al 1958, era localizzata a Nellore.
Utilizzo industriale
Successivamente, il kenaf quale fibra tessile da sacchi si diffuse in altri paesi del continente asiatico fino alla Cina, in Russia, in Persia e - dopo l'inizio della II Guerra Mondiale - nel continente americano.
Furono infatti gli USA che, necessitando di trovare un'alternativa nella fornitura di fibra da sacchi per l'impossibilità di approvvigionarsi di juta a seguito dell'invasione del bacino monsonico dell'Asia da parte delle armate giapponesi, classificarono le fibre tessili da sacchi come "materiale strategico" (*); a partire dal 1942 - iniziarono una vasta ricerca sul kenaf, prima in collaborazione con Cuba e poi con il Guatemala.
Con la fine della guerra e con il ritorno sui mercati internazionali della fibra di juta, tali programmi vennero abbandonati dagli americani ma continuati a scopi tessili da molti paesi del Sud America e dell'America Centrale, dell'Africa (principalmente dai francesi, per i loro territori coloniali, e dai sudafricani) e dall'Australia.
Ma è soprattutto alle ricerche condotte dagli Stati Uniti negli anni '40 che si debbono ancora oggi la maggior parte delle varietà selezionate esistenti.
http://www.kenaf-fiber.com/it/
(*) "Strategic and Critical Materials Stock Piling Act" end il "Defense Production Act" del 1950.
Fonte: "Il kenaf, non solo una nuova materia prima cellulosica" - G. Mignoni
Nel prossimo numero vi parleremo delle “Utilizzazioni e prodotti del kenaf” e della “Coltivazione del kenaf”

Madagascar, gruppo tessile alla conquista del sud

Il piu' grande Gruppo malgascio del comparto del tessile-abbigliamento, Socota Textiles, prevede di mettere a segno quest'anno ricavi pari a 63,3 milioni di euro, il 39 per cento in piu' del 2010. Lo ha annunciato l'amministratore delegato, Salim Ismail, che ha attribuito il consistente aumento alle previsioni di un forte aumento dell'export nell'Africa australe. "I mercati dei Paesi aderenti alla Comunita' degli Stati dell'Africa meridionale", ha rilevato Ismail in un'intervista pubblicata dai media locali, "sono in forte crescita e rispetto alla concorrenza internazionale noi abbiamo il vantaggio della vicinanza geografica". Socota Textiles ha una manodopera di 4.340 addetti e tra i clienti figurano grandi nomi della vendita al dettaglio, come la britannica Marks & Spencer e la spagnola Inditext, che detiene il marchio Zara. (AGIAFRO) –

L'oro verde del Madagascar

Alla scoperta delle foreste del Madagascar: l'impegno di una ONG italiana per la salvaguardia dell'ambiente e il benessere delle popolazioni locali. In una terra speciale dove il il 90% della flora e della fauna è endemico e le sue foreste racchiudono un immenso patrimonio di biodiversità

Testo e foto di Gianluca Falsi
A cura di Latitudeslife.com
Il Madagascar è la quarta isola al mondo per superficie, dove circa il 90 per cento della flora e della fauna sono endemiche e le sue foreste racchiudono un immenso patrimonio di biodiversità. Il tasso di crescita della popolazione è uno dei più alti di tutta l'Africa ed il contrasto tra la ricchezza della terra e la povertà dei suoi abitanti aumenta di giorno in giorno. Per questo il Madagascar è considerato un punto caldo della biodiversità; il fragile equilibrio tra uomo e natura è minacciato in parte dallo sfruttamento delle risorse minerarie, quasi interamente in mano a società straniere, in parte per la diffusa pratica del tavy (taglia e brucia) per l'agricoltura di sussistenza ed infine dal taglio illegale del legname pregiato.
Oltre alle devastanti conseguenze ambientali a lungo termine della spoliazione della foresta, gli effetti secondari del saccheggio del legno di palissandro si sentono già da ora. Dove gli uomini abbandonano le attività legate ai campi e alla pesca, per andare in foresta, si è iniziato a notare l'aumento dei prezzi di pesce, riso e altri generi d'uso quotidiano. Nel 2002 con l'ascesa al potere di Marc Ravalomanana sembrava che per il paese le cose potessero cambiare. L'ex presidente, infatti, rafforzò il bando contro l'agricoltura "taglia e brucia" ed annunciò un piano di salvaguardia della biodiversità impegnandosi a triplicare le aree protette dell'isola.
In realta i "piani d'azione" furono di tutt'altro genere. Ravalomanana è stato accusato di aver confiscato ai baroni del legname legno da rivendere per profitto personale e di pretendere ingenti percentuali dalle compagnie straniere sui profitti delle estrazioni minerarie.
Dal colpo di stato che nel 2009 portò al potere il trentaquattrenne Andry Rajoelina, non riconoscendo l'attuale governo, la comunità internazionale, Banca Mondiale, ONU, USAID ed altri donatori hanno revocato i finanziamenti. Alcuni paesi occidentali hanno cominciato a sconsigliare ai propri cittadini di recarsi nel paese, e a quel punto la "svolta verde" di Ravalomanana ha subito una netta inversione di tendenza: il nuovo governo non aveva più fondi da investire per applicare le norme in vigore nelle aree protette e la foresta non era più protetta. Il governo, sotto la pressione dalla comunità internazionale, ha rimesso in vigore il divieto di esportazione di legno pregiato, ma senza veri risultati.
E' in questo difficile contesto che a Vohidahy si inserisce il progetto di riforestazione di RTM (ONG italiana di Reggio Emilia che opera in Madagascar; Kosovo, Brasile, Palestina e Ucraina). Il progetto si sviluppa a 250 Km a Sud–Est della capitale Antananarivo, nella zona della popolazione Zafimaniry (nota per la sua grande abilità di lavoro del legno), e si pone l'obiettivo di fornire gli strumenti per una gestione forestale sostenibile alle comunità locali che utilizzano il legno come risorsa o che vivono di agricoltura di sussistenza.
Dal 2008 sono stati realizzati due vivai di circa 5.000 piantine, uno per le attività di sensibilizzazione ed uno per la piantumazione in foresta, sono stati formati 50 tecnici e operai specializzati per effettuare la riforestazione e si è appoggiata la comunità di base, in risorse e conoscenze, nello studio e gestione della foresta nonché nella pratica di un'agricoltura sostenibile.

giovedì 24 marzo 2011

Da Hitler a Saddam, la caduta dei dittatori: Foto

In fuga verso la Svizzera dopo la disfatta della Germania nazista, il Duce viene riconosciuto da alcuni partigiani e fucilato il 28 aprile 1945.
Il Fuehrer si suicida nel suo bunker, il 30 aprile 1945, poco dopo l'ingresso a Berlino dell'Armata rossa sovietica.
Jean Claude Duvalier, detto 'Baby Doc', e' stato il dittatore di Haiti dal 1971 al 1986. Lo scorso gennaio e' tornato in patria.
Il dittatore romeno Nicolae Ceausescu fu deposto il 24 dicembre del 1989, e fucilato il giorno dopo insieme con la moglie.
Jean Bedel Bokassa, presidente e poi imperatore del Centrafrica, e' rovesciato nel 1979. Dopo essere stato condannato a morte, ottiene la grazia e muore a piede libero nel 1996.
L'ex presidente dello Zaire Mobuto Sese Seko muore di cancro il 7 settembre 1997 in un ospedale di Rabat pochi mesi dopo essersi rifugiato in Marocco dopo la rivolta dei ribelli guidati da Laurent Kabila, suo successore.
Il numero uno del regime dei Khmer rossi, al potere dal 1975 fu rovesciato nel 1979 e mori' di vecchiaia il 16 aprile 1998 nella giungla cambogiana.
Un militare statunitense osserva la caduta della statua simbolo della capitale e del regime di Saddam Hussein il 9 Aprile 2003 nel centro di Baghdad.

L'ex dittatore ugandese, al potere dal 1971 al 1979, muore il 16 agosto 2003 in Arabia saudita, dove viveva dopo essere stato deposto.
Saddam Hussein, giustiziato per impiccagione il 30 dicembre del 2006.
Il regime di Menghistu viene fatto cadere dalla guerriglia, dopo 14 anni di dittatura

mercoledì 16 marzo 2011

Le contraddizioni di un Paese che compie 150 anni

L’Italia compie 150 anni. Giovane, se si confronta con altri paesi. Con l'avvicinarsi della data, però, invece di una trepidante attesa, saltano fuori nuove incertezze, se non vere e proprie ostilità.

Lo stato dell'unione: le contraddizioni di un Paese che compie 150 anni
In occasione del 150enario dell’Unità d’Italia, Michael Day analizza le divisioni culturali che impediscono al Paese di diventare, davvero, una forza globale

L’Italia compie 150 anni. Giovane, se si confronta con altri paesi. Con l'avvicinarsi della data, però, invece di una trepidante attesa, saltano fuori nuove incertezze, se non vere e proprie ostilità.
L'anziano Capo di Stato, Giorgio Napolitano, ha invitato tutti a partecipare alla festa. Ma in giro c'è apatia. O peggio.
La provincia di Bolzano, quella che confina con l'Austria e che è guidata dal Governatore dal nome teutonico Luis Durnwalder, ha già detto "nein" e ha annunciato che snobberà le celebrazioni.
Dall’altra parte, il Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, sta dando ordine ai concittadini di indossare da subito i cappellini da party.
Si parla anche di chiusura di scuole e uffici in occasione del Gran Giorno, il 17 marzo.
La Russa, un omaccione con la voce della bambina dell' “Esorcista”, faceva parte dell’ex partito neo-fascista Alleanza Nazionale e probabilmente si aspetta, su tutto il territorio nazionale, un’esibizione di patriottismo, che però non c'è. Di fronte a lui, al tavolo del Consiglio dei Ministri, siede l'alleato della Lega Nord, che piuttosto che festeggiare il giorno in cui l'Italia fu unificata, preferirebbe costruire un muro tra Nord e Sud.
Se poi vi venisse in mente di fermare la gente per strada, tanto a Nord quanto a Sud, per sapere cosa pensano, è possibile che vi sentiate rispondere "L'anniversario di che?", da qualcuno con le labbra arricciate.
O anche "Nord e Sud sono troppo diversi"; "L'Italia non è davvero un unico Paese".
Oddio, ufficialmente lo è, e dal 1861, da quando, cioè, Nord e Sud furono unificati dopo la cacciata a calci, con un aiutino da parte di Napoleone, degli avi di Durnwalder.
Alla fine del 1700, le idee liberali che serpeggiavano in Gran Bretagna e Francia avevano cominciato a farsi strada oltre le Alpi, dando una mano alla diffusione dell'attivismo rivoluzionario su tutta la Penisola, ancora alle prese con le conseguenze delle spartizioni post guerre napoleoniche.
Verso la fine degli anni ‘50 del 1800, il Regno di Sardegna - che comprendeva anche una bella fetta del Nord-Ovest - aveva convinto Napoleone a collaborare per cacciare gli austriaci.
Nel giro di pochi anni gli Asburgo, che prima dominavano gran parte del territorio che oggi conosciamo come “Italia”, si ritrovavano aggrappati con le unghie solo al Nord Est.
L'ultimo ostacolo all'unificazione del Paese rimaneva il Regno di Napoli, o "Regno delle Due Sicilie", esteso su tutta la metà meridionale della penisola. Ci volle allora un combattente per l'indipendenza di nome Garibaldi, per portare un esercito alla conquista prima della Sicilia, e poi di Napoli, nel 1860.
Con le due metà riunite, l'anno successivo, il 18 febbraio 1861, Vittorio Emanuele II del Regno di Sardegna mise insieme a Torino il primo Parlamento italiano. I membri del Parlamento ricambiarono il favore dichiarandolo Re d'Italia il 17 marzo. Dieci giorni dopo la capitale diventò Roma, nonostante fosse ancora Stato Pontificio.
Dieci anni ancora, e tanto Roma quanto Venezia entrarono a far parte dell'Italia Unita.
Mesi dopo la data di nascita del 17 marzo, Camillo Benso, Conte di Cavour e primo ministro di Emanuele II, nonché architetto principe dell'unificazione, pare abbia pronunciato, sul letto di morte, "L'Italia si è fatta. Tutto è a posto". Ma anche se gli austriaci se ne sono andati da tempo, la frase dell'illustre diplomatico ottocentesco Klemens von Metternich, ovvero che l'Italia era "poco più di un'espressione geografica", oggi risuona ancora alta.
150 anni dopo, nel 2011, con ex comunisti come Napolitano, neo fascisti come la Russa, e con una folla separatista come la Lega Nord ai posti di comando, ci si può fare un'idea di quanto ancora tribale sia questa nazione.
E’ anche vero che la persona di maggior potere in Italia non è fortissima dal punto di vista ideologico, se si escludono il denaro, la tendenza a partecipare a feste sfrenate e la scelleratezza.
Silvio Berlusconi è l'unico vero autocrate d'Occidente. La sua leadership del Popolo della Libertà è democratica come la presidenza dell'AC Milan, anch’esso di sua proprietà. Con grande disappunto di almeno metà della popolazione, il Cavaliere, come lo chiamano, fa già parte della lista delle cose prettamente italiane, pre e post unificazione, come il Colosseo, Leonardo da Vinci, la pizza Margherita e - come dimenticarla - la Mafia (con la M maiuscola nel testo. Ndt).
Per quasi due decenni ha saputo inguattare le sue magagne e addomesticare gli italiani con una dieta a base di tv spazzatura, con una spolverata di innata (ma raffinatissima) tendenza nazionale all'elusione delle tasse e al disprezzo delle responsabilità civiche. Senza però alterare il provincialismo e senza instillare spirito patriottico o collaborazione a livello nazionale. Oggi è Berlusconi che guida l'Italia, ma quanto sopra era già in giro ben prima della sua comparsa sulla scena politica.
Il rovescio della medaglia della scaltrezza e della frugalità degli italiani è una certa intraprendenza, che ha impedito al paese di cadere nella peggiore delle crisi finanziarie, nonostante un immenso debito pubblico e una crescita lenta.
A milioni riescono a rimanere a galla in tempi difficili, rimanendo a vivere in famiglia o facendo affidamento su quanto possono allungare i genitori, che sempre hanno fatto tesoro dell'arte nazionale del risparmio.
E nonostante corruzione e burocrazia, la creatività e l'estro di questo popolo sostengono l'economia con abiti, automobili, arredamento e tessuti di lusso: Ferrari, Dolce & Gabbana e Alessi sono oggetti del desiderio in tutto il mondo. Quindi, a differenza della vecchia e povera Gran Bretagna, l'Italia può sostenere di essere un'economia importante, che fabbrica cose che le persone, soprattutto quelle che vivono nei grandi mercati emergenti, vogliono davvero comprare.
Ma...c'è un ma. La corruzione diffusa a tutti i livelli è una falla aperta per l'Italia, tanto dal punto di vista finanziario che psicologico. La Mafia (scritto con la M maiuscola nel testo, ndt) ha contribuito a mantenere il Sud paralizzato e dipendente da quanto Roma poteva dare. Questo ha alimentato il risentimento, che ha visto crescere la Lega Nord separatista ad ogni elezione.
Ciò non significa che il Nord sia innocente. Banchieri e rinomati uomini d'affari milanesi fanno milioni ripulendo i milioni dei criminali, mentre le aziende settentrionali pagano i clan, perché smaltiscano per due soldi i loro rifiuti tossici giù al Sud.
Ma il male non siede solo ai piani alti. Quando mi sono trasferito in Italia la prima volta, un amico milanese mi ha spiegato che "la Mafia non è quella fatta di uomini con occhiali neri e completo scuro a Palermo. E' anche la vecchietta all'ufficio postale, che tira dritto all'inizio della fila perché conosce l'impiegato dall'altra parte dello sportello".
Gli italiani sanno di fregarsi a vicenda, e sono molti quelli che non gradiscono. Il padre fondatore dell'Italia Cavour, quello che diceva che "chi si fida del prossimo farà meno errori di chi non si fida", conosceva il valore della fiducia e dell'onestà. Ma non è chiaro a chi dovrebbero ispirarsi o chi dovrebbero votare gli italiani per cambiare le cose.
Con una sinistra che non ha messo da parte il comunismo e con un centro politico ancora contaminato dal conservatorismo sociale del Vaticano, l'ispirazione politica ha il fiato corto.
Nonostante la socievolezza e la generale mancanza di cinismo, colpisce quanto gli italiani siano pessimisti e quanto poco stimino il loro stesso Paese; e ciò si deve soprattutto ai racket e al nepotismo. Vi potrebbe anche capitare di sentire l'espressione "all'italiana", riferito a qualcosa fatto male o con approssimazione: un'espressione fraseologica che certo non esprime il concetto di un Paese contento di sé.
Molti, soprattutto giovani, si stupiscono quando scoprono che sono di Londra. "E che ci fai qui?" è l'osservazione di routine e la reazione immediata di persone che non sanno che Londra potrebbe essere sì il centro dell'Universo, ma solo per certi giovani o certi ricchi.
Io provo a spiegare loro che, a parte il cibo e il clima, è bello sapere di poter tornare a casa il venerdì sera, magari un po' sbronzo, senza subire le aggressioni di gang di ragazze che si chiamano Jade.
Certo per molti versi l'Italia resta soprattutto un posto splendido, benedetto da un clima fantastico, dalla migliore cucina del mondo, dalla più grande varietà di paesaggi - tutti belli -, senza rivali dal punto di vista del patrimonio culturale e con una società relativamente sicura e stabile.
Ci sarebbe solo che esserne felici.
Eppure, tutto quanto ho scritto finora fa dell'Italia ciò che è oggi: la destinazione ideale per le vacanze o per la vecchiaia delle classi medie europee.
Ma per i giovani che non hanno gli agganci giusti di famiglia, le prospettive sono tristi. Gli ultimi dati parlano di un giovane su cinque senza lavoro e che non studia né frequenta corsi professionali. Il Paese occupa uno degli ultimi posti nella classifica europea da questo punto di vista. Senza contare che, grazie a leggi antidiluviane che regolano la materia lavoro e che hanno prodotto molti lavoratori a tempo indeterminato, i datori di lavoro hanno reagito assumendo gente con contratti a tempo, precari e mal pagati.
Ecco perché quindi molti figli e figlie mammoni rimangono a vivere coi genitori fino a trenta o quarant'anni. Non sorprende nemmeno la florida fuga di cervelli, che vede partire i giovani più in gamba, in cerca di terreni più fertili e meritocrazia.
In Italia ci sono anche le università più vecchie e famose del mondo, come Bologna, Modena e Padova, ma nessuna è rientrata nella classifica delle 200 migliori del Times del 2010, dando l'idea che l'Italia non possa competere con gli atenei di Taiwan, Corea o Egitto, per non parlare di quelli americani o inglesi. Il perché non è un mistero: i docenti lasciano il posto a parenti e amici, invece di destinarlo a chi lo merita. Alcune facoltà, soprattutto nel Meridione, sembrano feudi familiari.
La paura è che presto l'Italia diventi solo un parco a tema, bello, pieno di turisti ma vecchio e sempre meno importante. La settimana scorsa, un preoccupato politologo della Luiss di Roma mi ha detto di temere che Venezia, la gloriosa città morente dell'Adriatico, "diventi il simbolo del Paese".
Il mese scorso, il leader dell'opposizione Pier Luigi Bersani del Pd ha detto che non celebrare il Centocinquantenario "con unità e con convinzione" sarebbe un pessimo segnale che "potrebbe indebolire il Paese".
In fondo gli italiani sono un popolo socievole e alcuni, compresi i giovani, coglieranno l'occasione del 17 marzo per fare festa comunque, anche se non sanno bene cosa stanno festeggiando.
Ma mentre almeno una parte del Paese si prepara a celebrare l'anniversario, Bersani e tutta la classe politica potrebbe iniziare a valutare se il problema non siano davvero le differenze tra Nord e Sud, o i forti legami locali che da Palemo a Bolzano danno ad ogni regione un carattere distintivo, o il fatto che questo Paese così giovane si senta stranamente già vecchio.
“The Indipendent”

martedì 15 marzo 2011

Il villaggio nella savana del carabiniere missionario

Ha lasciato la divisa mezzo secolo fa "arruolandosi" nei gesuiti. È tornato per curarsi. Lavora per i più poveri in Madagascar e fa appello alla generosità dei romani.

Vita in parallelo quella di fratel Domenico Fazio che ha vestito la divisa di carabiniere al servizio degli indifesi per essere come tutti i militari dell'Arma «nei secoli fedele». Solo che Domenico aveva in mente un'altra divisa e un altro tipo di fedeltà. La svolta arriva nel 1958 a Iglesias, quando dall'esercito della Bemenerita passa "armi e bagagli" con "l'esercito" di Gesù. Nel 1960 è fratel Domenico Fazio, missionario e gesuita, in viaggio su una nave che da Marsiglia lo porta in Madagascar.
Mezzo secolo di vita in divisa da missionario spesa a difendere i diritti dei poveri e alimentare coi fatti la speranza di un futuro più dignitoso. Una fatica fisica evidente per i suoi 72 anni, al punto da richiedere una rientro in Italia per alcune cure. Una occasione per rinnovare l'invito a sostenere insieme al Gruppo India i progetti di questo missionario dalla figura imponente, occhi azzurri, vivaci e una maestosa barba. Pronto a rimettersi in gioco perché «i diritti dei poveri - spiega nella sede dei gesuiti del Gruppo India in via degli Astalli - sono una passione per la quale bisogna avere il coraggio di arrivare fino al martirio. I poveri "impicciano" sempre eppure la Buona Novella è stata annunciata a loro.
Originario di Benevento, fratel Fazio non ama giri di parole e spiega con un esempio recente. «Nel corso di questo soggiorno in Italia, delle signore mi hanno chiesto di leggere e commentare le Beatitudini. Alla prima "beati i poveri di spirito" mi sono dovuto fermare perché - prosegue - ho pensato ai poveri che sono affamati, malnutriti, consegnati all'ignoranza». In Madagascar fratel Fazio ha realizzato villaggi per accogliere le famiglie dei facchini rimasti senza lavoro e riconveriti in agricoltori in un territorio donato dal Governo in piena savana, dove tra grazie ai benefattori, alla determinazione del missionario e alla Provvidenza, sono nate scuole per bambini e un policlinico con diversi padiglioni. Case di mattoni e case di fango in attesa di diventare vere abitazioni. Un migliaio di scolari da sfamare tutti i giorni, insegnanti e medici che hanno lasciato la città «ma che devo pagare tutti i mesi. Un professore costa 400 euro l'anno. Le risorse non bastano mai ma educazione e istruzione sono fondamentali per uscire dal sottosviluppo e fare delle future generazioni persone in grado di aiutare la famiglia, il villaggio, la tribù, il loro Paese. Senza il miraggio di emigrare. Magari in Europa».
Il "miracolo" della savana si chiama Fandana e, in assenza di fratel Fazio, è affidato alle suore di San Giuseppe d'Aosta. La realtà di Fandana ha compiuto un altro "miracolo" che ha visto le tribù e i «villaggi delle zone intorno realizzare scuole di fango e comprendere il valore dell'istruzione». È una rivoluzione che solo Domenico Fazio, il "folle di Dio" poteva iniziare. Domani lascerà Roma per il Madagascar dove migliaia di persone confidano nel suo progetto per cambiare vita o almeno provarci. (Foto Gmt)