martedì 22 gennaio 2013

Elezioni 2013, col voto all’estero i brogli sono ancora possibili





Il voto all’estero non mancherà anche quest’anno di suscitare inchieste, polemiche ed accuse di brogli. Dalla sua prima istituzione infatti, nulla è cambiato per quanto attiene le modalità molto discutibili.




Ad ogni tornata elettorale, ma solo dopo i risultati, tutti a sbraitare: bisogna cambiare le regole, così non va, non c’è trasparenza, è troppo manipolabile. Alla fine però registriamo un assoluto “tutto come prima, nessuno cambi le regole!”. Sì certo, ci sono state interrogazioni, proposte, mozioni e quant’altro di edulcorato si possa immaginare nel pianeta Montecitorio, ma alla fine: niente, si vota come prima. Insomma gli eletti hanno attuato il solito schema che ha funzionato alla grande su altri più importanti temi quali il taglio dei parlamentari, la diminuzione dei costi della politica, l’abolizione dei vitalizi. Una grande “ammuina” per lasciare alla fine tutto com’era.
E sì, perché il sistema ormai è collaudato e permeabile ad una infinità di brogli. Perché cambiarlo, allora? Certo, a Castelnuovo di Porto, nelle urne sono state trovate migliaia di schede chiaramente votate dalla stessa persona, schede di una colorazione palesemente differente da quelle ufficiali, ma è anche stato sancito che non si può procedere su reati commessi in territorio estero.
Infatti l’unica soluzione per evitare molti brogli sarebbe quella di votare o di consegnare a mano i plichi elettorali, in consolato direttamente. Così  l’azione di voto sarebbe ancorata alla territorialità giuridica italiana. Ma niente. E che dire della possibilità di effettuare controlli random a posteriori da parte del Ministero degli esteri, per verificare se effettivamente quell’elettore ha votato o ha votato per lui qualcun altro? Un feedback per garantire la legalità. Un controllo a caso per levarsi i dubbi. Niente. Si poteva procedere anche a prevedere un controllo sulle candidature per assicurarsi la reale residenza all’estero e non il trasferimento farlocco all’estero, per intenderci. Niente, anche su questo campo.
Infatti non mi meraviglierei di una elezione di Briatore nel collegio estero. Dal Kenia con amore per un’Italia da sogno, con l’imprenditore da sogno al top. E vai! Al Senato tutto dipenderà da pochi voti, forse anche da un voto come accadde nel 2006. Quindi c’è da aspettarsi di tutto. Nonostante ciò in tutta la legislatura nessuno ha mosso un dito sulle falle della legge sul voto all’estero che permette violazioni a go go. Eppure per adeguare Imu e Tares, cioè per far pagare le tasse agli emigrati italiani la velocità burocratica è stata fenomenale, così come quella necessaria a tagliare tutti i fondi che garantivano la lingua e cultura italiana ai figli dei connazionali. Ma si sa, “volere è potere” e gli eletti all’estero in questi anni hanno dimostrato di essere scarsi sui due verbi.

di Massimo Pillera - www.ilfattoquotidiano.it

giovedì 17 gennaio 2013

Cibo in cambio di lavoro: piano per mantenere le foreste e aiutare la popolazione




Uno dei migliori ecosistemi del mondo è quello che comprende le aride foreste del sud del Madagascar. Purtroppo però queste sono sempre più a rischio dato che gli abitanti della regione, siccitosa e aggravata dalla insicurezza alimentare, stanno deforestando l’intera zona

Infatti tagliano gli alberi per dare spazio alla coltivazione e alla produzione di legna da ardere. Per cercare di limitare questo rapido processo di deforestazione e per fare fronte all’insicurezza alimentare cronica, il Programma Alimentare Mondiale (PAM), insieme con il World Wildlife Fund (WWF), sta provvedendo a piantare 1.000 ettari di alberi attraverso un progetto definito “cibo in cambio di lavoro” da cui trarranno beneficio 60 mila persone. Gli abitanti di alcune piccole città hanno accolto favorevolmente questa proposta, consapevoli del fatto che una volta tagliati gli alberi ci sarebbero voluti altri 15 anni per la ricrescita e nessun giovamento per l’ambiente e per la loro sicurezza alimentare.
Secondo le statistiche del PAM, da novembre 2012, 676 mila malgasci sono a rischio. Il progetto lanciato offre 2.4 kg di mais e fagioli in cambio di 5 ore di lavoro di rimboschimento. Tutti quelli che hanno aderito stanno piantando un tipo di albero utile sia per la costruzione che per la produzione di carbone. Nel villaggio di Anjanahasoa, vicino al parco nazionale Andohahela, gli abitanti si sono organizzati per rimboschire la foresta andata distrutta da un incendio. Ogni famiglia pianterà 30 alberelli all’anno. A causa della deforestazione, la regione è diventata più secca e il terreno meno fertile. Anche se sarà difficile arrestare il fenomeno, il progetto del PAM tende a rallentarlo e a proteggere i mezzi di sussistenza da esso minacciati. Prima della crisi politica del 2009 che ha danneggiato l’economia malgascia, molti agricoltori della regione si sono trasferiti in città per cercare lavoro. Purtroppo sono ancora tanti i disoccupati
Fonte: Agenzia Fides



sabato 5 gennaio 2013

Mauritania, multe e carcere per chi non rispetta il divieto sulle buste di plastica:quando in Madagascar?



Con l’inizio del nuovo anno, è entrato in vigore in Mauritania il divieto di fabbricazione, commercializzazione e uso delle buste di plastica in modo da garantire una maggiore protezione dell’ambiente.

A darne notizia è l’agenzia di stampa nazionale Ami citando il ministro dell’Ambiente, Amedi Camara, e specificando che il provvedimento d’interdizione prevede pene detentive fino ad un anno e multe pari ad un massimo di 2500 euro per i fabbricanti, gli importatori e gli utilizzatori di sacchetti di plastica.

La decisione di vietare l’uso delle buste di plastica è stata presa dal governo dopo aver preso atto che ogni anno, solo nella capitale Nouakchott, sono ben 14.000 le tonnellate di rifiuti composte da sacchetti in materia plastica.

Il ministro Amedi Camara ha inoltre aggiunto di essere rimasto sconvolto nell’aver appreso che l’80% dei bovini abbattuti a Nouakchott aveva dei sacchetti di plastica all’interno del proprio stomaco.

Il governo di Nouakchott ha siglato un accordo di cooperazione con il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) e decine di organizzazioni non governative locali per diffondere l’uso di nuovi sacchetti biodegradabili ed avvisare la popolazione del divieto.

A quando un divieto simile in Madagascar?

Fonte: www.atlasweb.it - Michele Vollaro.