mercoledì 27 aprile 2011

La guerra e gli effetti collaterali

Dalla Libia si continua a scappare senza sosta. Siamo arrivati a quota 550mila persone in fuga. Questo fiume in piena si è riversato principalmente verso la Tunisia con 257mila persone e l’Egitto con 219mila, due paesi che nonostante i problemi interni hanno lasciato le frontiere aperte, onorando gli obblighi internazionali. Ma il flusso è arrivato oltre, si è spinto anche in Niger (47mila), in Algeria (14mila), in Ciad(6200), in Sudan (2800). Ad attraversare il Mediterraneo finora invece sono stati in pochi, 4770 persone verso l’Italia e 1130 a Malta. Gran parte dell’opinione pubblica italiana però è concentrata sugli arrivi via mare dei 23mila giovani tunisini. Questo ha distolto l’attenzione dalla portata dell’esodo libico e dall’impatto del conflitto nei paesi confinanti così come dagli importanti cambiamenti in corso in alcuni paesi del Nord Africa.
I primi ad andarsene dalla Libia in preda alla violenza sono stati migliaia di cittadini di paesi come Italia, Francia, Cina, Turchia, Marocco, ed altri che hanno potuto mandare subito i mezzi per riportare i connazionali a casa. Poi è toccato a quei lavoratori migranti che invece hanno dovuto aspettare il loro turno – finora circa 100mila persone – e si sono iscritti nelle liste dell’evacuazione umanitaria organizzata da Oim, Unhcr e vari governi. Infine sono scappati verso la Tunisia e l’Egitto anche coloro che non avevano un paese dove ritornare cioè i rifugiati del Corno d’Africa e dell’Africa Subsahariana che abitavano in Libia.
Ma a poco a poco anche per i libici la situazione è diventata insostenibile e decine di migliaia di civili sono stati costretti a varcare la frontiera verso la Tunisia e l’Egitto. Si stima che almeno 130mila di loro, molte famiglie con bambini, abbiano trovato una sistemazione in questi due paesi, in attesa di tempi migliori.
Negli ultimi giorni si è aperto un nuovo varco di fuga dalla regione libica delle Montagne Occidentali, da dove oltre 10mila libici si sono riversati a Dehiba, nel sud della Tunisia. Grazie al senso di ospitalità e solidarietà dei tunisini la maggior parte di queste persone è stata ospitata presso le famiglie che hanno letteralmente aperto le proprie case.
Ma c’è anche chi non ce la fa a mettersi in salvo raggiungendo la frontiera erimane bloccato all’interno del paese: si stima che siano circa 100mila gli sfollati interni in fuga specialmente dalle zone più martoriate come Misurata e Ajdabiya. Sfollati che cercano un luogo sicuro dove ripararsi.
La fuga dei civili è il primo “effetto collaterale” della guerra. Non vi è mai stato un conflitto senza colonne di disperati che cercano un riparo lontano dalla violenza. E così sta succedendo anche in Libia.
Eppure, nonostante nella sponda nord del Mediterraneo parecchi continuino a sostenere che sia meglio aiutarli lì, evitando che arrivino a Lampedusa, mancano all’appello le risorse disponibili per continuare le operazioni di soccorso delle agenzie umanitarie sia nelle aree di frontiera che all’interno della Libia. Chi dovrebbe finanziare l’assistenza a queste persone? Non ci dovrebbe essere uno sforzo collettivo anziché far ricadere l’onere solo sugli stati confinanti – che in questo caso hanno anche i loro problemi interni? Come al solito è una questione di priorità: guerra si, aiuti di prima necessità forse.

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