mercoledì 27 marzo 2013

Madagascar, metà dell'isola flagellata dalle locuste.



 In pericolo la produzione alimentare. Fao: «Occorrono più di 41 milioni di dollari per risolvere il problema» 



La Fao oggi lancia l'ennesimo allarme riguardante il Madagascar: entro giugno la Grande Île «avrà bisogno di oltre 22 milioni di dollari in fondi d'emergenza per iniziare a lottare contro una grave infestazione di locuste che sta minacciando la prossima stagione produttiva del Paese e la sicurezza alimentare di più della metà della popolazione». Secondo l'agenzia Onu «Occorrerà una strategia triennale per una totale eliminazione dell'infestazione che richiederà ulteriori 19 milioni di dollari».
Attualmente circa metà del Madagascar è infestato da giovani locuste e da sciami composti ognuno da  miliardi di individui divorano ogni vegetale che incontrano sul loro passaggio. La FAO stima che «Per il settembre 2013 circa due terzi del Paese sarà colpito dall'infestazione se non si interverrà al più presto».
Una situazione in via di aggravamento che già il 27 novembre 2012 preoccupava il ministero dell'agricoltura del Madagascar che aveva dichiarato lo stato di calamità nazionale. A dicembre il governo di Antananarivo aveva chiesto l'assistenza tecnica e finanziaria della Fao per affrontare l'infestazione in corso, per assicurare l'erogazione di fondi ma anche il coordinamento e l'attuazione di una risposta d'emergenza.
«Questo finanziamento d'emergenza, che deve arrivare entro giugno, consentirà alla Fao insieme al ministero dell'agricoltura di lanciare per il primo anno una campagna di nebulizzazione su larga scala - sottolinea l'agenzia alimentare dell'Onu - Circa il 60% degli oltre 22 milioni di abitanti dell'isola potrebbero essere minacciati da un pesante peggioramento delle condizioni di fame in un Paese che già soffre di alti tassi d'insicurezza alimentare e malnutrizione. Nelle regioni più povere del sud del paese, dove l'infestazione ha avuto origine, oggi circa il 70% delle famiglie soffrono d'insicurezza alimentare. L'infestazione minaccia adesso il 60% della produzione di riso, che rimane l'alimento di base in un paese dove l'80 % della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno. Gli sciami inoltre consumano al loro passaggio quasi tutta la vegetazione che incontrano che normalmente serve come pascolo per il bestiame».
Annie Monard, esperta senior della Fao e coordinatrice della risposta Fao alle locuste, dice:«Sappiamo dall'esperienza passata che le infestazioni di questa portata richiedono tre anni d'interventi.  Abbiamo bisogno dei fondi adesso per avviare la campagna procurare mezzi e forniture e organizzare per tempestive indagini aeree e operazioni di controllo. Negli anni passati molte delle campagne anti locuste non hanno goduto dei finanziamenti necessari e questo sfortunatamente ha voluto dire che non tutte le infestazioni sono state tenute sotto controllo. La situazione è simile a quando non si estirpano le malerbe dalle radici nel qual caso ritornano perfino più erbacce».
Il Centro nazionale controllo locuste da quando la stagione semestrale delle piogge è iniziata nell'ottobre 2012, ha sinora trattato circa 30.000 ettari di terreni coltivati, ma ulteriori 100.000 ettari che necessitano di essere trattati non lo sono stati a causa dei limitati mezzi del governo. Alla fine di febbraio la situazione è ulteriormente peggiorata a causa del ciclone Haruna, che non solo ha danneggiato le coltivazioni ma ha fornito condizioni ottimali per il riprodursi di una nuova generazione di locuste.
Anche per Dominique Burgeon, direttore della divisione Fao emergenza e riabilitazione, «Una mancata risposta adesso porterà più avanti alla necessità di estesi programmi di aiuti alimentari». Per il primo anno la strategia di controllo delle locuste della Fao «Punterà su operazioni aeree su larga scala. Nel corso del 2013-14 verranno trattati circa 1.5 milioni di ettari, che caleranno a 500.000 ettari il secondo anno e 150.000 il terzo ed ultimo anno del piano strategico. Tutti gli interventi saranno realizzati nel pieno rispetto della salute umana e dell'ambiente.
La strategia comprende inoltre: L'istituzione e la formazione di una Unità di sorveglianza delle locuste all'interno della direzione generale per la protezione delle piante, per monitorare e analizzare la situazione delle locuste nell'intera area da esse invasa;  Operazioni aeree e sul terreno; Monitoraggio e mitigazione delle operazioni di controllo per proteggere la salute umana e l'ambiente; Formazione nella gestione dei pesticidi e delle irrorazioni.  Ogni anno verrà condotto uno studio dell'impatto della crisi delle locuste sulle coltivazioni e sui pascoli per determinare il tipo di sostegno di cui hanno bisogno le famiglie le cui condizioni di vita sono state duramente colpite.
Fonte:
http://www.greenreport.it


 

sabato 23 marzo 2013

Italiani i più longevi in Europa: 81 anni. Gli inglesi: "Fumate e bevete, inspiegabile"


Ricerca su Lancet. Olio di oliva invece del burro e vino al posto degli alcolici. Ma facciamo ancora poco sport. Il professor Attilio Maseri, per anni cardiologo di fiducia della regina Elisabetta: "A Londra non si devono lamentare, hanno tagliato troppo sulla sanità"
 


Italiani grandi fumatori, con un sistema sanitario spendaccione e anche colpiti dalla crisi economica. "Eppure vivono più a lungo di noi": gli inglesi non si spiegano come è possibile che nello scassato Belpaese l'aspettativa di vita sia di 81,5 anni, un anno e mezzo superiore alla loro. Del resto, il dato ci colloca al secondo posto nella classifica mondiale della longevità.

Quando la rivista scientifica Lancet ha pubblicato l'imponente studio "Global burden of disease", dedicato al peso mondiale delle malattie, e veramente globale nella raccolta dei dati (187 paesi esaminati da 486 ricercatori per 5 anni), la Bbc ha contattato l'Istituto superiore di sanità per chiedere chiarimenti e consigli. Volevano capire come mai gli italiani vanno meglio di loro.

La formula della nostra superiorità in questa classifica che mette di buon umore è facile, ed è legata alla tanto elogiata dieta mediterranea. Ma anche a un modo di bere ancora legato al bicchiere di vino a pasto più che al "binge drinking", cioè l'assunzione in tempi rapidi di molte bevande alcoliche. Da loro è diffusissima, da noi sta prendendo piede in modo preoccupante soprattutto tra i giovani. "A partire dagli anni '60, la dieta degli italiani è notevolmente migliorata, arricchendosi di frutta e verdura fresca, pesce e diventando più varia - spiega Stefania Salmaso, la dirigente dell'Istituto superiore di sanità che è stata contattata nei giorni scorsi dagli inglesi - Inoltre, l'olio d'oliva è parte della tradizione alimentare della dieta mediterranea, mentre nella dieta britannica prevalgono i grassi di origine animale".

Solo il Giappone supera l'Italia in quanto a longevità. Di oltre un anno (ne vivono 82,6 in media) secondo la maxi ricerca che coinvolge tra l'altro le Università di Washington, Harvard, Johns Hopkins, Tokio, Londra e l'Oms e che prende in considerazione il cambiamento dello stato di salute di una buona fetta delle popolazioni del mondo tra il 1990 e il 2010. A dicembre sono stati pubblicati i dati generali, che raccontano, tra l'altro, di come nella mortalità generale pesino meno le malattie infettive neonatali o materne (sono passate da un terzo a un quarto dei decessi) e come denutrizione e inquinamento abbiano lasciato il posto a pressione e fumo di tabacco come fattori di rischio più importanti. Ormai sono le malattie croniche le responsabili della maggior parte delle morti, cioè 34,5 milioni sui 52,8 presi in considerazione.

Alcuni giorni fa, infine, sono state pubblicate le schede dei singoli paesi. L'Italia, al di là del dato secco sull'aspettativa di vita, ottiene un buon risultato anche per quanto riguarda le condizioni di salute, perché ha una durata media della disabilità abbastanza ridotta, cioè la sesta più breve nel mondo. Le malattie gravi più diffuse (infarto, ictus e tumori) e responsabili della mortalità prematura, possono essere in parte prevenute lavorando su alcuni fattori che mettono a rischio la popolazione.

Il più diffuso ha a che fare con l'alimentazione sbagliata, segno che il mito della dieta mediterranea è stato incrinato anche se riesce ancora a far stare gli italiani meglio degli altri. Seguono la pressione alta, il fumo, il sovrappeso e la sedentarietà. Per migliorare ancora e magari raggiungere il Giappone sarebbe importante prima di tutto fare più attività fisica. 

Fonte: MICHELE BOCCI
Repubblica.it