Nel piccolo paese sudamericano, così come in tutti gli altri
dove l'agricoltura locale è condizionata dagli oligopoli dell'industria
alimentare, è in atto una riscossa incoraggiata da Oxfam Italia 1. C'è in gioco
il recupero di antiche colture che generino nuove domande e affranchino dalla
dipendenza dai colossi multinazionali. La lotta alle monocolture sui terreni
sottratti alle piccole comunità di agricoltori
COTACACHI (Ecuador) - Di notte a Quito, che sta a 2800
metri, il freddo ti investe appena si spalanca la porta automatica
dell'aeroporto. Ma se la mattina dopo di buon'ora, assieme all'incaricato di
Oxfam Italia 2, señor Jesus, si percorrono un centinaio di chilometri verso
nord sulla Panamericana, si arriva nella provincia andina dell'Imbabura, a
Cotacachi, dove il sole alle 8 picchia già forte, mentre si arrampica su un
cielo di un azzurro accecante e irraggiungibile, senza rendere mai l'aria
torrida. Neanche a mezzogiorno.
"Perché siamo qui". Lungo il percorso, Jesus con
voce garbata, la sua faccia antica e gentile da indigeno radicato serenamente
nella sua terra, anticipa con parole semplici il lavoro di Oxfam Italia 3 qui
in Ecuador. Dove i difficili progetti di cooperazione sono ispirati al grande
tema della sovranità alimentare. Il diritto cioè dei popoli della Terra, sempre
meno rispettato, che ha molto a che fare con il cibo quotidiano, che si
vorrebbe salubre, compatibile con le tradizioni, i gusti maturati attraverso
millenarie abitudini gastronomiche. Ma soprattutto è un diritto che afferma il
potere inalienabile di produrre cibo con i propri sistemi agricoli, senza le
imposizioni e le pressioni dell'oligopolio del sistema alimentare, che
orientano la qualità, la quantità e il commercio dei prodotti. Pressioni e
imposizioni che, qui in Ecuador, sembrano addirittura incoraggiate dal governo
di Rafael Correa, il giovane presidente ecuatoriano
che nella campagna elettorale del 2009 aveva invece promesso tutt'altro, e cioè
di voler favorire il ritorno all'agricoltura familiare, oltre che il recupero e
la tutela delle colture tradizionali.
L'agricoltura, strumento di riscatto. La spiegazione di
Jesus anticipa l'introduzione più "tecnica" di Fabio Scotto,
direttore dei progetti Oxfam Italia in Ecuador, ex ufficiale della Marina
Militare italiana, poi convertito all'agronomia e con ormai una lunga storia
alle spalle nella cooperazione. Prima di illustrare sul campo il suo lavoro e
quello dei dipendenti locali della Ong nell'area di Cotacachi (guarda il video
4) Scotto si concentra sulla strategia che lo trattiene qui con la sua famiglia
da più di cinque anni. In Ecuador, così come in tutti gli altri paesi dove
un'agricoltura libera e non eterodiretta potrebbe diventare lo strumento del
riscatto economico, il fine ultimo - dice in sostanza - è quello di rigenerare
la domanda di prodotti locali e contrastare così le regole della coltivazione e
del commercio, imposte dalle multinazionali dell'industria alimentare, che
governano le decisioni semi inconsce relative a cosa tutti noi finiamo per
mangiare. Un automatismo che fa inzeppare i carrelli dei nostri supermercati di
prodotti tutti uguali, ricavati dalle immense monocolture sui terreni sottratti
alle piccole comunità agricole in Sud America, Africa e Asia.
La varietà compromessa delle colture. "Da 20 anni a
questa parte - racconta Scotto - in tutto il mondo si coltiva e si consuma solo
un quarto delle varietà che una volta si producevano. E questo è un danno
incalcolabile alla biodiversità che, non dimentichiamolo mai, altro non è che
la sola cosa capace di garantire la qualità di ciò che si mangia". Il
lavoro fondamentale nel progetto di Oxfam Italia punta dunque ad orientare i
sistemi agricoli affinché siano i produtori e i fruitori locali a stabilirlo.
Ecco il punto. L'obiettivo è dare priorità ai mercati locali, per scambi più
trasparenti, per filiere commerciali corte, redditi equi per chi produce cibo e
il diritto a chi consuma del controllo su ciò che mangia. "La sovranità
alimentare - dice Scotto - alla fine vuol dire semplicemente rovesciare il
mondo. Scardinare le relazioni tra i ricchi e i poveri, vuol dire liberare il
Pianeta dalle ineguaglianze, almeno quelle più insopportabili, fra nazioni,
popoli, etnie. Vuol dire rispetto per le economie locali, invece ancora
letteralmente rase al suolo dai blocchi di potere economico multinazionali.
Le coltivazioni dimenticate. Il clima da queste parti regala
a questo Paese una delle sue ricchezze più grandi e uniche. Più del petrolio,
che c'è e si trova più a est, nella regione amazonica; più dei giacimenti di
oro, argento, ferro, rame, zinco, carbone e ambra. L'habitat andino fa
dell'Ecuador il più ricco paese per diversità di specie animali e vegetali, in
rapporto alla sua estensione limitata, fra i paesi latino americani. I progetti
di cooperazione di Oxfam stanno servendo proprio a riesumare colture locali
dimenticate, come la quinoa, il lupino e l'amaranto andino. Si recuperano e si
diffondono le conoscenze tradizionali, per dare così agli agricoltori locali la
possibilità di aumentare il loro reddito e alla comunità l'esempio di come sia
possibile vivere di quello che si riesce a produrre con la terra che si ha
sotto i piedi.
Le proprietà dell'amaranto. "L'amaranto andino - dice
Scotto - ha un potere nutritivo eccellente, oltre ad essere alla base di alcuni
prodotti farmaceutici". L'Accademia delle Scienze degli Stati Uniti lo ha
classificato come l'alimento più completo in natura ed ha proprietà
terapeudiche contro l'obesità e osteoporosi. Lo dice anche Carmen Caranqui, una
donnina di 57 anni, eletta a mascotte della battaglia di Oxfam in Ecuador. Lei
vive nella comunità di Alambuela, a circa 25 chilometri a sud di Cotacachi:
"Sono stata fra le prime a coltivare amaranto. La prima volta ho raccolto
solo 170 chili. Ne ho venduti gran parte e il resto l'ho usato per cucinare.
Oltre al pane, vengono fuori piatti buonissimi: chicha, tortillas,
coladas...." Carmen sta continuando a coltivare amaranto, aiutata anche
lei dai tecnici di Oxfam Italia, ma oggi in un terreno più grande, acquistato
grazie ad un prestito.
Il cibo per affermare identità. Convinti che cambiare si
può, qui nella roccaforte di Oxfam Italia a Cotacachi, si guarda al cibo come
lo strumento per affermare la l'identità di un popolo, per recuperare saperi
antichi legati al territorio, senza sterili e ingenui romanticismi
panecologisti. Un lavoro fatto qui, a migliaia di chilometri di distanza, ma
forse rivolto a noi, frequentatori di supermercati, per un invito a
riconquistare anche qui da questa parte del mondo il diritto ad un cibo, non
solo più buono e sano, ma anche più giusto. Badando semplicemente a ciò che si
fa quando di fa la spesa.
di CARLO CIAVONI e MARCO PALOMBI
Repubblica.it