Una lucida riflessione sulla scienza e il suo rapporto con la nostra vita ora e nel prossimo futuro
Era il novembre 1882, racconta Gian Luca
Lapini su www.storiadimilano.it, quando fu data pubblica dimostrazione del
sistema elettrico Edison illuminando i portici e i negozi del palazzo
settentrionale di piazza del Duomo in occasione della loro inaugurazione. Il
neonato «Corriere della Sera» commentò l’evento con queste laconiche parole:
«Dell’illuminazione non esageriamo punto dicendo che ha veramente
meravigliato».
Pochi mesi dopo, proprio accanto alla basilica, entrava in funzione la prima centrale termoelettrica dell’Europa continentale, che avrebbe illuminato i negozi eleganti della Galleria, il Teatro Manzoni e il Teatro alla Scala.
Furono i nostri bisnonni, dunque, i primi a vedere la luce elettrica, proprio negli stessi anni in cui cominciavano a solcare le strade i primi veicoli a motore. A quell’epoca non avevamo la più pallida idea di come fossero fatti gli atomi, il sistema solare si fermava prima di Plutone, per non parlare delle stelle, credevamo che i continenti fossero immobili, discutevamo selvaggiamente l’idea dell’evoluzione biologica, non conoscevamo le vitamine, non sapevamo che esistessero i virus. E, dettaglio non trascurabile, i panni si lavavano a mano, magari al fiume.
Sono bastate tre generazioni, insomma, perché accadesse tutto questo. E molto altro. Forse per quella sfrenata ambizione che ci contraddistingue di cui parlava Ian McEwan sul numero di luglio, figlia dell’ingegnarsi per la sopravvivenza dei nostri antenati, siamo una specie destinata, quasi biologicamente costretta a raccogliere la sfida di superare i propri limiti. E, in questo cammino, la scienza è stata, è e sarà lo strumento più efficace che abbiamo a disposizione.
Ma ci sono limiti invalicabili alla conoscenza?
E a ciò che ci può permettere di fare? La
verità è che non lo sappiamo, ma che abbiamo maledettamente voglia di superare
quelli attuali. Mai come oggi tante persone sono state impegnate in questa
impresa. E mai come oggi intravediamo possibilità che solo vent’anni fa
sembravano confinate alla fantascienza. Una per tutte, il sogno di Miguel
Nicolelis di far battere il calcio d’inizio della Coppa del Mondo in Brasile da
un adolescente paralizzato con una protesi robotica mossa col pensiero. Tra due
anni.
È tutto qui, in fondo, il senso di questo articolo. Presentarci le sfide che la scienza e la tecnologia si apprestano ad affrontare da domani al futuro remoto. Come dice Robert Sapolski alla fine del suo articolo, «l’avventurosa impresa del fare scienza, di pensarla, di appassionarsi, non è cosa per cuori timidi.
Siamo molto meglio adattati per affrontare tigri dai denti a sciabola. Eppure siamo qui, a reinventare il mondo, a sforzarci di migliorare la nostra vita affrontando una questione scientifica alla volta. È la nostra natura: umana».
E se qualcosa vi sembrerà francamente impossibile, ricordatevi che i vostri bisnonni non avevano l’elettricità.
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