Qualche settimana fa, a Falconara di Lerici, tanti
volontari, in gran parte ragazzi, hanno organizzato la festa dell’Associazione
Umanitaria “Amici del Parco”, una onlus nata con lo scopo di sostenere
iniziative di solidarietà con il Madagascar.
La presiede Nello Benedetti,
vezzanese, già atleta di valore internazionale (ha corso i 5.000 e i 10.000
metri, la campestre e la marcia, vincendo molti titoli). Nello ha conosciuto
per caso il Madagascar, andando a fare il testimone di nozze a un amico. Ha
visto la povertà estrema, la denutrizione e le malattie nei villaggi, e da
allora non si è più staccato da questo Paese così bello e così povero. Ogni
anno, da otto anni, trascorre tre mesi nell’isola, dopo aver passato gli altri
nove a raccogliere fondi, generi alimentari, medicinali. Grazie a Nello e agli
aiuti finanziari che invia ogni mese, dodici trovatelli, custoditi da una
povera mamma volontaria in una piccola baracca senz’acqua e servizi igienici
nella periferia della capitale Antananarivo, possono mangiare e sopravvivere.
Tra di loro c’è anche una bambina probabilmente ancora in vita solo perché
Nello, per 50 centesimi, la comprò dai trafficanti. Ora il suo obbiettivo è
realizzare una casa accoglienza per questi bambini sfortunati, che consenta
loro anche di avere scarpe e vestiti e di frequentare la scuola. Nello,
inoltre, sfama 70 lebbrosi e 300 carcerati a Diego Suarez, nel Nord del Paese;
e porta tutto ciò di cui c’è bisogno a Antsirabato, un villaggio di 100
famiglie spesso distrutto dai cicloni, e nelle tante baracche fatte di lamiera
o fango o foglie di palma disseminate nell’isola. L’ultimo impegno è quello delle
adozioni a distanza: sono già 45, l’obbiettivo è arrivare a 700. Chi è
interessato a dare una mano a Nello può telefonargli al 347 9640016.
Ce n’è davvero bisogno perché negli ultimi anni la crisi economica del Madagascar, anche per responsabilità della sua classe dirigente, ha assunto proporzioni davvero drammatiche. La sua economia, secondo la rivista Forbes, è “la peggiore del mondo”. Il 70% dei 20 milioni di abitanti vive con meno di 1,25 dollaro al giorno, crescono la disoccupazione, la prostituzione minorile, le carestie. C’è chi parla di “boom economico dell’Africa”, ma ciò riguarda solo alcuni Paesi. Per un Ghana che cresce c’è una Somalia che muore, per un’Angola pacificata c’è un Sud Sudan che prende le armi, per un Nord Africa che sta cercando di liberarsi c’è una Guinea Equatoriale che soffoca sotto la più bieca delle dittature. E ci sono le diseguaglianze sociali che crescono dovunque: là dove aumentano i ricchi aumentano pure i poveri. Il Sudafrica, l’economia più sviluppata del continente, è il Paese al mondo dove il divario tra i ricchi e i poveri è il più estremo.
Certo, l’Africa è difficile da capire, ma il suo dramma va pur spiegato. La verità è che è stata saccheggiata, depredata, violentata ininterrottamente per quasi quattro secoli: prima con la tratta degli schiavi, poi con l’occupazione coloniale. Dopo, raggiunta l’indipendenza, ha subito l’eredità avvelenata del colonialismo: Stati artificiali molto deboli e privi di una reale identità nazionale, classi dirigenti che rapinano le risorse e si arricchiscono a danno delle popolazioni, economie fragilissime, enorme debito estero, militarismo e conflitti armati, privatizzazioni selvagge, fino al neocolonialismo di questi ultimi anni. La Cina sta conquistando l’Africa, le sue fabbriche sono cantieri dello sfruttamento dei lavoratori e fonti di inquinamento. Il land grabbing, cioè l’accaparramento delle terre per cui alcuni Stati (la Cina, l’India, l’Arabia Saudita, la Corea del Sud) o le multinazionali comprano immensi territori e intere regioni, espropria del lavoro contadino e costringe all’emigrazione intere comunità locali e minaccia la sicurezza alimentare e l’ambiente. Il fenomeno colpisce anche il Madagascar, con il conseguente sgombero dei contadini malgasci dalle terre coltivabili.
Certo, l’Occidente in Africa ha lasciato della sua presenza ricordi ancora peggiori. E oggi, attanagliato nella sua crisi, poco o nulla sta facendo per l’Africa. Occorrerebbe che impostasse rapporti politici ed economici su una base diversa, di pari dignità, di scambi paritetici: l’Occidente neoliberista sta andando invece in tutt’altra direzione. Non ho ricette e certezze, ma qualche interrogativo da proporre sì, sulla base della mia esperienza di questi anni nella cooperazione decentrata e nel sostegno al decentramento amministrativo in Africa, prima come delegato nazionale Anci del settore, oggi come presidente dell’associazione Funzionari senza Frontiere. L’interrogativo è sul modello di sviluppo che si pensa per l’Africa, e sul concetto stesso di progresso. Il prestigioso intellettuale, storico e uomo politico africano Joseph Ki-Zerbo ha ricordato che la parola “sviluppo” non esiste nelle lingue africane con il nostro significato. Esiste il concetto, ma significa un’altra cosa: “Valori morali e sociali e il senso della comunità, del crescere assieme”. La studiosa francese Anne-Cécile Robert sostiene che la via da seguire in Africa “deve fondersi su sintesi proprie tra le tradizioni e gli apporti della modernità”. Insomma, l’Africa ha suoi valori, una sua saggezza, sue pratiche sociali -si pensi al diffondersi del’economia “informale”, solidale e cooperativa- che sono indispensabili nella ricerca del suo nuovo modello di sviluppo e che aprono orizzonti nuovi anche a noi occidentali, in una fase in cui il modello capitalistico globalizzato cumula così tanti danni. Lo spiega benissimo il mio caro amico Stefano Fusi, già sindaco di Tavarnelle Val di Pesa, una delle persone con cui ho più collaborato in tutti questi anni di impegno per l’Africa, autore del bel libro “Africa-Europa. Percorsi di cooperazione decentrata”: “L’Africa ha molto da dire al mondo di oggi, specie al mondo occidentale ed europeo. L’Africa è il continente che ha saputo più di altri rispettare gli equilibri tra uomo e natura, che ha senso dell’umano, che è attento ai bisogni delle persone, nel quale la capacità di ascoltare gli altri è patrimonio dei singoli e della collettività. L’Africa è un continente interessato alle relazioni umane, con un rapporto più distaccato verso i beni materiali e la ricchezza, con un forte senso della comunità e dei suoi bisogni, e dei bisogni dei singoli dentro la comunità. Nella cultura africana i rapporti più importanti sono quelli tra esseri umani, mentre per un occidentale contano molto più i rapporti tra le persone e le cose, i beni che uno possiede o vuole possedere. Se pensiamo alla gerarchia dei valori occidentali, comprendiamo come sia invertita rispetto a quella africana, e come questo abbia portato turbamenti, isolamenti, individualizzazioni, crisi. A condizione che siamo disposti ad ascoltarla, l’Africa è un territorio ricchissimo di cultura, tradizioni, sistemi di vita, patrimoni umani e collettivi, ricchezze artistiche, e ha molto da dirci. L’Africa può insegnarci molto sul piano valoriale, terreno sul quale le ricche società occidentali pare abbiano perso la bussola. L’Africa può parlarci di centralità data ai valori relazionali, alla coesione sociale, ai valori immateriali e spirituali, a una storia di solidarietà, di aiuto reciproco, in un mondo globalizzato che si è inaridito, che ha consegnato al denaro, al profitto la supremazia assoluta”.
Sono
considerazioni a cui è giunto anche Nello Benedetti, sulla base della sua
esperienza: “se il vicino di baracca non ha il riso per mangiare, il malgascio che
ce l’ha gli porta una parte del suo”. E ancora: “quando sono arrivato a
Antsirabato ho portato le caramelle a bambini che non ne avevano mai mangiato,
ma quando altri bambini sono sopraggiunti quelli che avevano il lecca lecca
l’hanno subito passato agli altri”.
La conclusione da trarre è che, se vogliamo aprire una stagione di giustizia e di eguaglianza, occorre avere la forza di mettere in discussione il concetto di sviluppo e di ridefinirlo profondamente accettando altre categorie culturali. L’aiuto all’Africa si fa in tanti modi, con la solidarietà umanitaria di Nello o con l’impegno di Funzionari senza Frontiere per costruire processi di decentramento amministrativo o con i tanti progetti e attività di cooperazione di Enti locali, Ong, parrocchie, anche della nostra provincia. Qualche giorno fa, a Lerici, abbiamo discusso del progetto di solidarietà “Piccoli ambasciatori di pace - Ospitalità bambini Saharawi”, coordinato dal Comune di Lerici, capofila della rete dei Comuni, in convenzione con l’associazione “Laboratorio di pace”: ogni estate, dal 2000, molti bambini di questo popolo oppresso dal Marocco, che vive nei campi profughi, hanno la possibilità di riposo, svago e cultura a Lerici e alla Spezia. E poi c’è l’impegno del Comune della Spezia, da tempo attivo in progetti di cooperazione decentrata in Niger, dopo la firma del Patto di amicizia con quattro Comuni nigerini; e quello dei Frati Francescani di Gaggiola in Burundi, in corso da più di trent’anni, che ha dato vita alla “Casa San Francesco”, dove vivono un centinaio di adulti e 200 bambini strappati alla morte e sostenuti da genitori adottivi a distanza. Ma l’aiuto all’Africa si fa anche, e forse soprattutto, cambiando i nostri modelli di sviluppo e i nostri stili di vita. Perché stanno distruggendo l’Occidente, e non possiamo più pensare di esportarli nel resto del mondo: se non altro perché non ci sarebbe posto per tutti sulla faccia della Terra.
La conclusione da trarre è che, se vogliamo aprire una stagione di giustizia e di eguaglianza, occorre avere la forza di mettere in discussione il concetto di sviluppo e di ridefinirlo profondamente accettando altre categorie culturali. L’aiuto all’Africa si fa in tanti modi, con la solidarietà umanitaria di Nello o con l’impegno di Funzionari senza Frontiere per costruire processi di decentramento amministrativo o con i tanti progetti e attività di cooperazione di Enti locali, Ong, parrocchie, anche della nostra provincia. Qualche giorno fa, a Lerici, abbiamo discusso del progetto di solidarietà “Piccoli ambasciatori di pace - Ospitalità bambini Saharawi”, coordinato dal Comune di Lerici, capofila della rete dei Comuni, in convenzione con l’associazione “Laboratorio di pace”: ogni estate, dal 2000, molti bambini di questo popolo oppresso dal Marocco, che vive nei campi profughi, hanno la possibilità di riposo, svago e cultura a Lerici e alla Spezia. E poi c’è l’impegno del Comune della Spezia, da tempo attivo in progetti di cooperazione decentrata in Niger, dopo la firma del Patto di amicizia con quattro Comuni nigerini; e quello dei Frati Francescani di Gaggiola in Burundi, in corso da più di trent’anni, che ha dato vita alla “Casa San Francesco”, dove vivono un centinaio di adulti e 200 bambini strappati alla morte e sostenuti da genitori adottivi a distanza. Ma l’aiuto all’Africa si fa anche, e forse soprattutto, cambiando i nostri modelli di sviluppo e i nostri stili di vita. Perché stanno distruggendo l’Occidente, e non possiamo più pensare di esportarli nel resto del mondo: se non altro perché non ci sarebbe posto per tutti sulla faccia della Terra.
Giorgio Pagano
www.cittadellaspezia.com
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