A Terra Futura numeri, previsioni, perdite e tutele della diversità biologica in Italia e nel mondo
Secondo
il dossier Biodiversità a rischio, presentato oggi da Legambiente a Terra
Futura, la mostra-convegno internazionale delle buone pratiche di sostenibilità
in corso a Firenze, «Nelle acque del Mediterraneo, l'anguilla, lo storione, il
salmone selvaggio e il merluzzo potrebbero avere i giorni contati. E sono in
buona compagnia, perché l'88% degli stock ittici mondiali risulta sfruttato al
massimo o sovra sfruttato. Né se la passano meglio molte altre specie residenti
sulla terra ferma, a cominciare dall'elefante di Sumatra o dalla testuggine del
Madagascar, che patiscono la distruzione progressiva e irrimediabile del loro
habitat, la foresta. La perdita di biodiversità del pianeta avanza con tassi
che incidono da 100 a 1000 volte più del normale e si stima che tra 40 anni,
quando la terra sarà popolata da circa 9 miliardi di persone, il 60% degli
ecosistemi mondiali sarà degradato.
Un
danno dalle pesanti ripercussioni socio economiche. Troppo spesso, infatti, si
dimentica l'importanza della diversità biologica per lo sviluppo umano,
relegandola in secondo piano e sacrificandola ad altri, più urgenti interessi
di parte. Ma è proprio lei, la biodiversità, il nostro serbatoio di risorse,
dal cibo alle medicine, dall'industria ai prodotti di origine animale. Un
serbatoio in continua e irreversibile trasformazione, che genera l'evoluzione
di specie e ambienti. E' dalle specie attuali che il processo evolutivo attinge
per formarne di nuove: minore è il numero di partenza, minore sarà la
biodiversità futura».
La
presentazione del corposo rapporto (del quale parliamo ampiamente anche nelle
pagine toscane di greenreport.it) , che analizza nel dettaglio numeri,
previsioni, fattori di perdita e politiche di tutela per tracciare un quadro
aggiornato della situazione della biodiversità in Italia e nel mondo, è stata
l'occasione per un confronto tra Antonio Nicoletti, responsabile nazionale
parchi Legambiente, Giampiero Sammuri, presidente nazionale di Federparchi,
Paolo Matina, responsabile tutela e valorizzazione risorse ambientali Regione
Toscana e Matteo Tollini, responsabile parchi Legambiente Toscana.
Nicoletti
ricorda che «Il vertice Onu di Nagoya, nel 2010, ha identificato come obiettivo
prioritario quello di proteggere entro il 2020 il 17% delle aree terrestri e
delle acque interne e il 10% delle aree marine e costiere. Un obiettivo che nel
nostro Paese acquista una valenza particolare se si considera che molte Regioni
stanno modificando la legislazione sulle aree protette, ed è attualmente in
corso la revisione della legge quadro. Una legge grazie alla quale il
territorio protetto in Italia è passato dal 3 al 10%, ma che ha bisogno oggi di
essere aggiornata per consentire ai parchi un ulteriore salto di qualità nelle
loro politiche di gestione e un maggiore impegno nella tutela della
biodiversità».
Il
dossier sottolinea che «Per la sua posizione geografica e la sua particolare
conformazione, l'Italia presenta un'enorme varietà di ambienti naturali: ospita
130 degli habitat individuati dalla Direttiva europea Habitat 92/43, che compie
20 anni. La fauna italiana rappresenta più di un terzo dell'intera fauna
europea con 57.468 specie, e sono state censite 6.711 piante vascolari.
Abbiamo, inoltre una delle più ricche flore europee di muschi e licheni (composta
da 851 specie di muschi e 279 specie di licheni). Questo patrimonio è, però,
gravemente minacciato: oggi la metà dei vertebrati presenti sul territorio
italiano è a rischio di estinzione, insieme a un quarto degli uccelli e oltre
il 40% dei pesci di fiumi e laghi. La situazione più critica è quella degli
anfibi, dove la percentuale di specie endemiche minacciate supera il 66%. Per
quanto riguarda la flora, sono in pericolo 1020 specie vegetali superiori -
circa il 15% del totale - e, tra le piante inferiori, il 40% delle alghe,
licheni, muschi, felci».
Ma
l'Italia stavolta non è la sola a non aver rispettato gli impegni: «Anche
l'Europa ha mancato l'obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità entro
il 2010: il 15% dei 231 mammiferi studiati sono minacciati d'estinzione, in
prevalenza quelli marini. Più di un quarto (27%) dei mammiferi europei sono in
declino. Le più grandi minacce per i mammiferi terrestri sono la perdita e il
degrado degli habitat, anche se concorrono l'inquinamento, la mortalità accidentale,
lo sfruttamento eccessivo e le specie invasive. Per quanto riguarda invece i
mammiferi marini, le minacce principali sono la mortalità accidentale (ad
esempio le catture accessorie della pesca), l'inquinamento e il sovra
sfruttamento. Un'altra categoria particolarmente a rischio è quella degli
anfibi: circa un quarto della loro popolazione è minacciata dall'estinzione e
più della metà (59%) è in declino. Il 36% è stabile e solo il 2% in aumento. In
pericolo sono anche un quinto dei rettili, il 9% delle farfalle, il 15% delle
libellule e l'11% dei coleotteri. Tra i molluschi, il 20% (246 specie) di
quelli terrestri e il 44% (373 specie) di quelli d'acqua dolce sono a rischio,
mentre tra i pesci d'acqua dolce le percentuali arrivano al 37%. Per quanto
riguarda le piante infine, su 1.826 specie valutate 467 sono state identificate
come a rischio di estinzione».
La
crisi della biodiversità è planetaria: «Nel mondo, delle 59.507 specie prese in
considerazione dall'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura,
19.265 sono minacciate di estinzione. Settantotto delle 5.494 specie di
mammiferi censite sono estinte o estinte in natura, 191 sono in pericolo
critico, 447 in pericolo e 496 vulnerabili. Il gruppo maggiormente minacciato è
quello degli anfibi: 1.910 specie su 6.312 sono a rischio di estinzione».
I
fattori principali di perdita di biodiversità sono molti: «Cambiamenti
climatici, introduzione di specie aliene, sovra-sfruttamento e uso non
sostenibile delle risorse naturali, fonti inquinanti e la perdita degli
habitat. I soggetti più esposti agli effetti negativi della perdita di
biodiversità sono le popolazioni che dipendono direttamente dai beni e dai
servizi offerti degli ecosistemi. Ad esempio, la deforestazione mette a rischio
un miliardo e mezzo di persone che vivono grazie ai prodotti e ai servizi delle
foreste, le quali proteggono anche l'80% della biodiversità terrestre. La
pressione intorno alle risorse idriche, inoltre, cresce sia in termini di
quantità sia di qualità in molte zone del mondo. E il sovra-sfruttamento
eccessivo della pesca ha conseguenze economiche disastrose per l'intero
settore».
Legambiente,
nel suo dossier, evidenzia la centralità dell'emergenza ambientale e dei
cambiamenti globali, «Con le conseguenze negative su ambiente, economia, salute
e distribuzione della ricchezza tra le varie regioni del mondo, permea ormai
tutti i principali documenti politici internazionali. La Banca Mondiale ha
stimato in oltre 45 miliardi di dollari all'anno la perdita di PIL causata dai
processi di desertificazione in corso, mentre la distruzione degli ambienti
naturali provoca perdite di reddito stimate in 250 miliardi di dollari
all'anno. Il processo di degrado e desertificazione dei terreni nelle zone agro
ecologiche minaccia attualmente circa 1.5 miliardi di persone, fra cui il 42%
dei poveri del mondo. Nel complesso, ogni anno, vengono persi 75 miliardi di
tonnellate di suolo con un costo stimato di 400 miliardi di dollari. Carenza
idrica e siccità sono ormai emergenze anche in Europa: interessano l'11% della
popolazione e il 17% del territorio dell'Unione, in prevalenza i paesi
meridionali. In Italia è minacciato il 30% circa del territorio. La siccità in
Europa è costata circa 100 miliardi di euro negli ultimi 30 anni».
Anche
nel bel mezzo di una crisi che è ambientale, economica e delle risorse, i
rimedi ci sono: «Uno degli strumenti più efficaci per combattere la perdita di
biodiversità è l'istituzione di territori e di aree marine protette. Ecco
perché la comunità mondiale deve compiere sforzi maggiori come quello di far
crescere entro il 2020 la percentuale di aree protette a livello mondiale (il
17% delle aree terrestri e il 10% di quelle marine), come stabilito dal
protocollo di Nagoya».
Fonte:greenreport
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