venerdì 28 gennaio 2011

I costi del Nichel

di Barbara Lomonaco

“Il progetto Ambatovy è un’avventura mineraria lunga una vita in Madagascar. Si prepara ad essere la più grande miniera di nichel del pianeta per il 2013”. Così si legge sul sito del progetto, che descrive la faraonica impresa da 3,4 miliardi di dollari: una joint-venture tra Sherritt International Corporation, Sumitomo Corporation, Korea Resources Corporation e Snc-Lavalin Group Inc.
Oltre ai 17 km quadrati destinati al sito di estrazione vero e proprio, è previsto un condotto lungo 220 km e largo più di 25 che servirà a trasportare il minerale grezzo fino al porto di Tamatave (Toamasina, sulla costa orientale del paese africano), del quale è previsto l’ampliamento. Nella stessa area saranno attivi un impianto di raffinazione e uno di smaltimento dei residui industriali. La vicinanza al porto favorisce l’importazione delle sostanze – carbone, calcare, zolfo e acido solforico – necessarie alla produzione dei minerali: il nichel e il cobalto destinati al mercato mondiale.

PERICOLI A SECCO
La valutazione di impatto ambientale (Via) del progetto prevede e descrive misure di mitigazione delle attività minerarie e industriali. Ciononostante, le incognite per il Madagascar restano alte. Tutte le componenti del progetto comportano costi e rischi, sia ambientali che sociali, elevati. Rainer Dolch, direttore dell’ong malgascia Mitsinjo, impegnata nel campo della conservazione, dello sviluppo e dell’ecoturismo, ne denuncia molti: “L’erosione dovuta alla costruzione del condotto è attualmente il problema più allarmante. Le misure adottate in questo caso sono senza dubbio insufficienti e stanno causando problemi ingenti anche alla pesca”. Una volta concluso, nel condotto verrà pompata l’acqua accumulata sul sito estrattivo ma anche quella prelevata dal fiume Mangoro, risorsa utilizzata dalle comunità locali per gli usi domestici e in agricoltura. “I rischi più elevati arriveranno dalla stagione secca, quando il livello dei fiumi è già basso. Non è possibile prevedere l’entità del problema”, continua Dolch. Inoltre la distruzione della foresta sul sito minerario si traduce nella riduzione degli habitat di specie animali già a rischio di estinzione. A fronte di questo, alcune saranno “traslocate”. “Attualmente solo una specie è stata trasferita nella riserva di Perinet – prosegue Dolch – si tratta del mammifero sifaka diadema, una specie endemica di lemure. Il trasferimento ha riguardato anche alcune specie di piante ma queste misure sono contestabili: allo stato attuale delle nostre conoscenze biologiche, non possiamo prevederne l’efficacia”.
FRAGILI EQUILIBRI
A restare irrisolto è pure il problema della frammentazione degli habitat. “Alcuni ricercatori lavorano con la compagnia. Le autorità ambientali locali portano avanti il monitoraggio di alcune specie ma, sebbene esista la collaborazione di vari soggetti, non si può parlare né di coordinamento efficace delle attività né di monitoraggio indipendente. Di fatto è la compagnia a decidere”.
Nella valutazione di impatto ambientale si legge anche che aree di interesse culturale e siti di culto non saranno più accessibili e perderanno la loro funzione originale. Che terreni attualmente ad uso agricolo saranno destinati al progetto. Alcune famiglie sono già state trasferite in altre aree, dove la compagnia sta provvedendo agli insediamenti. “Il trasferimento naturalmente non è accettato di buon grado e le nuove case compensano solo in parte il problema”, aggiunge Dolch. Il Madagascar è uno Stato povero: l’indotto di immigrati interni e stranieri, attirati dalle possibilità di impiego, sta sconvolgendo il fragile equilibrio nelle comunità originarie. La forza lavoro è attualmente composta dalle più disparate nazionalità: indiani, filippini, palestinesi, francesi, italiani, inglesi. E l’arrivo di questi lavoratori, con l’aumento della domanda, ha causato il lievitare dei prezzi dei prodotti disponibili nei mercati locali, inarrivabili per molti malgasci.
TENSIONI E SCORRETTEZZE
Forti tensioni sociali nelle regioni estrattive, con scorrettezze e corruzione nelle procedure di reclutamento della manodopera, sono stare denunciate durante uno degli incontri promossi dall’Extractive Industries Transparency-Eiti, un’iniziativa multilaterale che riunisce membri dei governi, delle imprese e della società civile nei paesi ricchi di risorse naturali per promuovere responsabilità e trasparenza nella gestione del settore minerario. «Il 2% dei diritti di estrazione (concesse dalla Sherritt alle amministrazioni locali, ndr) non sono poco rispetto alla perdita di endemicità e risorse naturali importanti quanto le foreste?», ha chiesto – come si legge nel rapporto – un membro della società civile.
MALCONTENTO POPOLARE
Il Madagascar ricaverà dalla realizzazione del progetto Ambatovy benefici economici diretti e indiretti, provenienti dai diritti di estrazione ma anche, ad esempio, dal miglioramento delle infrastrutture, dalle imposte sui redditi, dalle tasse di importazione. Le recenti vicende politiche del paese sfociate nella violenza, però, sono un segnale del malcontento popolare, che denuncia la mancanza di democrazia nelle pratiche del governo in carica. Soprattutto quanto all’equa distribuzione delle ricchezze. In fatto di accordi con governi poco democratici, la Sherritt ha almeno un precedente. In un articolo del Nuevo Herald, quotidiano statunitense in lingua spagnola, si legge che “1.350 ettari di costa registrano alti livelli di contaminazione a causa delle attività industriali legate allo smaltimento dei rifiuti tossici della miniera di nichel nel distretto di Holgium”, Cuba. A capo del progetto c’è Moa Nickel, una compagnia a capitale misto composta dal governo cubano e dalla Sherritt International. La quale sembra avere molto a cuore la sua immagine: in calce ai pochi articoli di denuncia sul progetto malgascio reperibili su internet, compaiono puntualmente le precisazioni della compagnia.
ACCORDO MENO ATTRAENTE
In questo quadro, parlare di sostenibilità ambientale o sociale è davvero difficile. D’altronde, quando si tratta di risorse naturali, l’intero continente africano appare un campionario di esempi di pessima governance, iniqua distribuzione delle ricchezze e sfruttamento ai danni delle popolazioni locali e dell’ambiente. Ma dalla pubblicazione su La Nuova Ecologia dell’articolo “Madagascar in svendita” sono intervenute alcune novità: pochi giorni fa la Sherritt ha annunciato che i costi del progetto, dalla stime iniziali, sono lievitati fino a 4,5 miliardi di dollari. La compagnia non esclude di arrivare alla vendita di parte del suo 40% del progetto. Per motivi simili, il piano che dava in concessione alla coreana Daewoo Logistics un’area di terreno agricolo grande come metà del Belgio, sarà ritardato: “Non abbiamo fretta. Il calo del prezzo del mais e le difficili condizioni finanziarie hanno reso l’accordo meno attraente”, ha dichiarato il responsabile del progetto Shin Dong-hyun alla Bbc. “L’attraente accordo” prevedeva la conversione della metà del terreno coltivabile della Repubblica malgascia alla produzione di mais e olio di palma. Destinati al mercato sudcoreano.

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