VINCENZO SIRIZZOTTI
APPUNTI
di Vita Missionaria
Da
una sponda
all’altra
A mia madre ELISA
Missione “ad
Gentes”
Da una sponda
all’altra
La storia delle Missioni “ad Gentes”.
Una specie di filmato, a scene continue,
fatte di piccole o grandi “storie” degli attori stessi della Missione. Vescovi,
Sacerdoti, religiosi/e, laici, che si fanno scrittori, direttori,
sceneggiatori, attori di questo grande film che è la vita stessa delle persone,
della Chiesa e delle Chiese, a cui sono inviate, della gente che incontrano sui
loro passi.
Queste persone“tuttofare” sono inviate, in
primis, per l’annuncio del Vangelo, l’annuncio della Salvezza, la liberazione
dalle varie schiavitù, al seguito del Cristo, il primo Evangelizzatore del
Padre e dello Spirito, il sommo Liberatore dell’umanità. Sono inviate alla
salvezza integrale dell’uomo. Come diceva Paolo VI°: salvezza di ogni uomo e di
tutto l’uomo.
Lo Spirito del Signore guida alla
Missione, ispira in continuazione gli operatori dell’evangelizzazione. Ispira
anche, sotto la spinta dei segni dei
tempi, i modi e tempi di passare all’atto e di testimoniare all’uomo e alla
donna concreti l’amore del Padre. Da aggiungere i carismi, le sensibilità, le
capacità intellettuali e pratiche, il livello spirituale, l’ardore apostolico,
i compagni di avventura.
La mia lunga esperienza missionaria ben trentasette bugie, l’11 ottobre 2010,
al momento in cui mi accingo a stendere
queste note ) mi ha fatto conoscere persone che si son trovate coinvolte in
avventure esaltanti che non erano sicuramente nella programmazione dei singoli,
almeno al momento dell’invio in missione o dell’entrata in scena, in loco.
In questa variegata scena della Missione,
ogni attore scrive e fà la sua parte: fondatori di comunità cristiane,
fondatori di scuole, di chiese, di ospedali, di dispensari, orfanatrofi,
creatori di centri professionali, di aziende agricole, di università,
ispiratori di movimenti ecclesiali, di istituti religiosi. Gente talmente
impegnata nel sociale, nella difesa dei più piccoli, che si fa espellere dal
Paese, pur di non lasciarsi mettere la “museruola” alla bocca. Gente che, per
questo, ci ha rischiato e/o ci ha rimesso la vita.
La storia della Missione è arcipiena di
queste “storie”. Ogni Missione ha la sua storia e le sue “storie”.
Qui, in Madagascar, scelgo due figure,
totalmente contrapposte.
L’una: il gesuita Silvain Urfer. Già
attivo nel sociale, in Tanzania, dove pubblicò libri, che non piacquero a
tutti, tanto che si disse che fu espulso dal Paese. Venuto, in Madagascar, da
anni tiene la “sua” battaglia, tanto che il 10 maggio 2007 fu espulso malamente
dall’allora Presidente della Repubblica, Marco Ravalomanana. Solamente con la
caduta di quest’ultimo (moti popolari, guidati Andry Rajoelina, nei primi mesi
del 2009) il gesuita ha potuto rimettere piede in Madagascar. In data 26 aprile
2009, eccoti un altro suo libro (“La
crise et le rebond”), dove attacca il governo di transizione in carica. Una
vocazione anche questa!
L’altra figura : Pedro Opeka, lazzarista, sloveno, di origini
argentine.
L’Opeka, stimolato dalle varie e
multiforme “miserie” della Capitale (Antananarivo), - da oltre un ventennio,
esattamente dal maggio 1989 -, ha messo su la sua Associazione Akamasoa (amico buono), e si è
trasformato in un vero costruttore immobiliare (sociale), salvando migliaia e
migliaia di famiglie dall’immondizia e
dalla fame. Due grandi centri “residenziali”, tutti e due chiamati Akamasoa. L’uno, a Andralanitra (Antananarivo-città).
Sulla cima di una collina si stagliano, ben allineate, centinaia e centinaia di
piccole casette, che, viste da lontano, sembrano costituire un immenso alveare.
L’altro centro è a Ankazobe, al nord della Capitale. Si parla di mille piccole
abitazioni costruite, tre mila operai fissi, 10.000 alunni (dalla scuola
materna al liceo), una popolazione di 17mila anime.
Idea – guida: non tanto elemosina, ma
piuttosto ricupero delle persone, coinvolgendole nello stesso progetto Akamasoa, creando lavoro e sollecitando
iniziative personali per rientrare, in maniera dignitosa, nel “privato”, quanto
prima possibile.
Agli inizi – sotto il regime Ratsiraka –
non ebbe vita facile il lazzarista. Lo si rimproverava di intrusione nell’area
dello Stato. Ma il motivo ultimo erano i soldi che i bailleurs de fonds e i vari ONG ormai indirizzavano totalmente
all’Associazione Akamasoa.
Ambanja: missione cappuccina
(1932)
Per quanto riguarda i miei confratelli,
sempre nel Madagascar, - pur col massimo rispetto per tutti, senza distinzione
- potrei
citare tre casi. Tre carismi, tre segni
dei tempi seguiti.
Il compianto confratello Norbert Meyer,
cappuccino di Strasbourg, missionario in Madagascar, dal lontano 1937.
La regione d’Ambanja - fino agli anni
1940-1960 - era vittima della terribile malattia della lebbra. Varie le cause.
Il confratello alsaziano seppe “leggere”, in tempo, i segni dei tempi.
Nel 1953, il via. Vescovo della diocesi
Mgr Adolphe Léon Messmer[1]Nasce il
“Centre hansénien St François”. Opera
di Norbert Meyer e del Dott. Roger Lehmann, che coinvolgerà sua moglie
Elisabeth e i suoi stessi figli. La famiglia Lehmann darà al Centre hansénien St François la bellezza
di venti anni di servizio amoroso.
Franca e efficace la collaborazione delle
Suore Francescane di Notre Dame de Blois.
Il lebbrosario d’Ambanja nasce con una
duplice sede: Pavillon hansénien, in
città (dépistages, cure, ecc.), Village
d’accueil (accoglienza dei malati mutilati, ecc.), a 4 km, in piena campagna,
su un terreno di 40 ettari, messi a disposizione da una “Compagnie” del luogo,
commerciante di prodotti tropicali. Al villaggio – in seguito – sarà dato il
significativo nome sakalava di Mahajanga
(luogo che guarisce, ridà salute).
Collaboratori finanziari e tecnici: Stato
malagasy e Istituzione “Raul Follereau”.
Benefattori benevoli, fin d’all’inizio. Nel 1960, il Centre hansénien St François viene dichiarato “Oeuvre
territoriale”.
Dal
punto di vista sanitario, il Dott. Lehmann sarà rimpiazzato dal Dott. Lezoma, a
sua volta sostituito dal confratello medico Stefano Scaringella, dal 1988 (data
della fondazione del “ Bloc Chirurgical-St Damien”) ai nostri giorni.
Per quanto riguarda l’amministrazione
finanziaria e l’animazione spirituale, Norbert Meyer rimarrà al timone della
sua opera, fino alla vigilia del suo decesso (+ 23.11.1983).
Norbert Meyer. Una figura gracile, muscoli
e pelle, forse una quarantina di kg di peso. Un cuore grosso quanto una
montagna!
Nello spazio d’una cinquantina d’anni, il
terribile male è quasi scomparso dal nord della Grande Isola. “Circuits-lèpre”,
con depistaggi sistematici, e cure in loco. Cure intensive, in tempo.
Le statistiche annuali attuali segnalano
appena una trentina di nuovi casi. Lebbra che non fa più paura. Malattia che
non sa più di vergogna. I malati non vengono più nascosti. Lebbra che non
mutila e non sfigura più, come negli anni andati. Vantaggi socio-economici
enormi. Anch’essi da mettere in conto. I nuovi casi, in effetti, non richiedono
le cure e le spese di una volta!
Battaglia quasi vinta, dunque. Tanto che
il successore di Norbert Meyer, il confratello Marino Brizi[2] ha dovuto
“riciclare” se stesso e molte strutture dell’ormai vecchiotto lebbrosario,
aprendo il tutto alla cura e prevenzione dell’altra grave malattia che (ancora)
colpisce detta regione: la tbc.
Nuove modeste strutture, per cominciare.
Centro TBC, Pavillon Elisabeth et Roger
Lehmann, nel 1994. Opera di lotta contro il BK, attualmente integrata nel
“Programme National de lutte contro la Tuberculose”. Statistische recenti
segnalano: quasi duecento nuovi casi di tbc, all’anno. Una trentina di
collaboratori (salariati). Laboratori con strumenti di punta. Farmacia e
dispensario. Scuola per i bambini, nati nel villaggio – lebbrosario. Un
discreto budget annuale.
Una bella “storia” quella di Norbert Meyer
e del suo amico-collaboratore Dr. Roger Lehmann! Storia che continua, sempre a Ambanya.
Stefano Scaringella - diplomato-laureato
dell’Università Cattolica di Roma, arrivo in Madagascar 20.09.1983 - e il suo
grande Centro Medico-Chirurgico “San Damiano” d’Ambanja, a cui collabora,
puntualmente e con efficacia - oltre le Suore Francescane de Notre Dame de
Blois e alcuni confratelli malagasy , il confratello Alessandro Munari di
Latina (arrivo in Madagascar, 28.06.2002), più volte, vittima di attacchi
banditeschi, che ne hanno messo in pericolo perfino la vita.
Intuizione geniale, realizzazioni
coraggiose, conduzione a tutta prova, quelle dello Scaringella. Il confratello
medico chirurgo ha saputo leggere, in tempo, - forse anche aiutato dalla sua
precedente esperienza africana (maggio
1980-luglio 1983) di Libenge (regione Équateur, Nord RDC, ex Zaire) - il sitz im leben della Chiesa e della regione,
che il Signore della messe, gli affidò circa un trentennio fa.
Dal 1988, al 1991, fu esimio collaboratore
di Stefano Scaringella un chirurgo d’eccellenza: il Prof. Albert Zafy, futuro
Presidente della Repubblica malagasy (1992-1996).
Tappe principali. 1988: data di fondazione.
Strutture: una sala operatoria, ambulatorio, laboratorio analisi, radiologia,
servizio di odontoiatria, 45 posti letto. 1992: seconda sala operatoria,
sevizio di oftalmologia, 62 posti letto. 2004: aggiunta di sala parto, sala
maternità, 100 posti letto.
Il tutto per malati che vengono, spesso,
anche da molto lontano: 250-300 km, al sud; 100-230 km al nord.
Prevenire, si dice, è la medicina
migliore. Un’équipe sanitaria mobile (medico, ostetrico, specialista in
laboratorio analisi), ogni anno, fa visita “a domicilio”, per donne incinte e
bambini da zero a 54 mesi. Nel 2009, - in 12 comuni - l’équipe ha visitato
4.420 donne, in stato interessante. Distribuito latte a 13.960 bambini. Cifre
che parlano da sole!
Personale salariato: 110, di cui 17
infermieri, e 4 medici.
Budget annuale, in Ariary malagasy, da molti zeri. In Euro, Alessandro Munari –
bilanci redatti con pazienza e precisione certosina - mi ha dato le seguenti cifre : entrate locali
163.836 € ; doni vari dall’estero : 216.206 € ; uscite totali : 383.386 €.
Fin dall’inizio si è voluto evitare
l’assistenzialismo tout court. Tuttavia, circa un 40% dei malati - causa
povertà estrema - vengono curati gratuitamente.
Il
Centro Medico “San Damiano” si regge con aiuti finanziari esterni, più o meno
aleatori. Tanto che lo Scaringella, ogni anno, si deve “sciroppare” ore e ore
di aereo (e di treno) per “questuare”, a destra e a sinistra, euro, dollari o
franchi svizzeri, affinché il suo aiutante di campo, amministratore
finanziario-contabile, Alessandro Munari, possa sbarcare il lunario, ad ogni
fine mese e ad ogni fine anno. Il grande benefattore del C.M. “San Damiano”
sarà il compianto Carlo Vaquer, per oltre 30 anni, procuratore delle missioni
cappuccine di Roma[3].
Come terza “storia”, cito Pasquale De
Gasperis, mio compagno di seminario serafico (Veroli, Montefiascone, Velletri),
di studi filosofico-teologici, negli studentati d’Alatri (Fr) e di Viterbo.
Anche per lui, la sua “storia” e i suoi “segni dei tempi”.
Apostolato missionario e evangelizzazione
tout court, a parte, il carisma particolare del confratello sembra che sia
stato il binomio cimento – ferro. Innumerevoli costruzioni: le grandiose case
di formazione dell’Ordine, dispensari, scuole, cappelle, chiese (una, quella di
Fianarantsoa, vera e propria cattedrale), centri sociali, sale polivalenti,
acquedotti , ponti, centri diocesani giovanili.
Due grossi volumi di indirizzi di ONG,
cattolici e non, alle cui porte – con i crismi dei timbri e delle firme
generose dei vari vescovi diocesani – sta bussando, ormai da anni. Milioni e
milioni di valuta pregiata. Una vera mini-impresa di costruzione, aperta a
tutti: locale fraternità cappuccina, parrocchie, case religiose (soprattutto
femminili). La diocesi di Fianarantsoa, soprattutto, ha beneficiato (ne sta
tuttora beneficiando) dei suoi talenti e della sua “passione” nell’“immobiliare”
sociale.
Cito solo Fianarantsoa – Antamponjina.
Una
collina brulla (Antamponjina), quasi deserta, è stata trasformata - in una decina d’anni - in una mini-city:
chiesa parrocchiale, autentica cattedrale (“San Francesco e Santa Chiara
d’Assisi”, di cui il confratello ne è tuttora “curé”, parrocchia completa di
tutte le strutture, centrali e periferiche; la grandiosa casa del post-noviziato dei Cappuccini e
quella, a fianco, delle Suore FMM; sale di formazione professionale; edifici (a
due/ tre piani) per scuole elementari, medie e liceo; campi sportivi; cappelle
; sale polivalenti e scuole nei quartieri periferici, sia all’est, sia
all’ovest di Antamponjina; ponti, acquedotti.
Il
confratello, dove è passato - da Befandriana-Nord a Fianarantsoa - ha
“seminato”, dappertutto, belle e efficienti realizzazioni, che – se messe
insieme - potrebbero costituire un quartiere - media grandezza - di qualche
cittadina italiana! Non sappiamo quanto abbia “seminato”, in quel di Capo Verde,
nella sua decennale missione nell’Arcipelago omonimo.
E, poi, quella mano destra che fruga nella
tasca posteriore dei pantaloni (sempre piuttosto malandati) alla ricerca
dell’obolo (di solito sostanzioso) da passare alle mani aperte dei suoi fedeli
“clienti”, che - misteriosamente, quasi collegati via satellite – lo seguono e
“perseguono” ovunque, nei suoi spostamenti. Carisma speciale, il suo! Squisito
“senso” della carità, che - credo - non è fatto solo di soldi da dare o da
poter dare, ma anche di tanta pazienza, di tanto bisogno di discernimento di
fronte alla varietà delle situazioni personali di quanti, come dicevo or ora,
lo seguono e perseguono, ovunque. Fare bene, il bene non è cosa facile!
Dimenticavo
di dire che il confratello – per quasi 20 anni – è stato responsabile, come
Superiore Regolare, prima, e, come Vice Provinciale , dopo, della Fraternità
Cappuccina, nel Madagascar. E da 20 anni è Assistente Nazionale dell’OFS[4].
Sì: l’azione dello Spirito e i suoi i
carismi, i vari segni dei tempi, che
ti stimolano nel contesto della missione evangelizzatrice della Chiesa, e per
il bene integrale dei fratelli e delle sorelle, con i quali sei chiamato a
convivere. Ogni uomo, tutto l’uomo. Da sempre. Ancora oggi. Anche se lo Spirito
Santo – anima della Chiesa e del mondo – avrà, anche Lui, - mi si lasci passare
la battuta - il suo da fare per aggiornarsi e far aggiornare i suoi carismi ai
ritmi dei segni dei tempi. Oggi come
oggi, soprattutto. Èra della mondializzazione, dell’internet!
Esperienza personale
La mia esperienza missionaria non la posso
mettere al livello di quanto detto sopra. Sarebbe semplicemente presunzione.
Lo scopo di queste linee è di condividere,
tout court, soprattutto, con i lettori di Continenti - in continuità con
quanto ho fatto, spesse volte, negli anni passati (ultime mie note, in Continenti, n° 5/2005, pp. 26-30),
qualche momento più rilevante della mia ormai lunga esperienza missionaria,
lungo il fiume della mia piccola “storia” missionaria personale. Nei miei
diversi stop, nelle diverse sponde da me approdate e accostate. Solo soletto
e/o in compagnia di miei compagni (cappuccini e non) di avventura. Condividere
la santa avventura della MISSIONE.
Altra finalità, oltre la condivisione tout
court: sollevare, insieme, gli occhi a Colui che guida i nostri passi nel
cammino della Vita; dire anche un grazie, sempre insieme, al Padrone della mèsse,
che chiama e invia ciascuno di noi nella Sua mèsse: l’umanità, la Chiesa. In
ultimo, un gesto di gratitudine per tutte quelle persone care (alcune di
famiglia) che si son fatte – lungo tutto il tratto dei miei 37[5] anni di apostolato
missionario - canali di Provvidenza, per quanto lo Spirito del Signore e i segni del tempo mi hanno chiamato a
realizzare, - insieme con i miei confratelli cappuccini, religiosi/e, e
collaboratori/trici laici vari - a pro del Vangelo e del bene integrale
dell’uomo e della donna, che ho incontrato sulle varie “sponde” della mia vita
missionaria.
Una “memoria”, tout court. Un flash back
d’insieme, una“memoria” semplice,“tout de go”, sciorinata in quasi piccoli
quadretti.
La
“memoria”. Valido sussidio di saggezza, e di discernimento “delle bontà del
Signore” (salmo 106).
Tutto questo, alla vigilia di una nuova
avventura missionaria, di cui parlerò a chiusura di queste note.
Prima sponda
Arrivo nel Madagascar, l’11 ottobre 1973.
Una vocazione missionaria quasi sofferta:
tre richieste d’invio (1962, alla vigilia della mia ordinazione sacerdotale,
per la missione di Capo Verde; 1966 e 1970, in piena attività universitaria e
d’insegnamento, per la missione del Madagascar, il cui primo appello veniva
lanciato, nel 1966, dall’allora Ministro Provinciale di Roma, Biagio Terrinoni,
futuro vescovo ausiliare di Roma e vescovo residenziale di Avezzano.
Una vocazione missionaria, sempre dono, ma
quasi ricercata, inseguita: quella piccola, quasi minuscola, rivista
missionaria “Il Massaia-Continenti”,
che circolava tra le mani di noi giovani fraticelli cappuccini; l’Associazione
“Divina Pastora” e la rivista Cor Unum,
da noi stessi fondate nello studentato teologico di Viterbo, la Missione
d’Etiopia (Massaia), quella d’Eritrea (Roma), con i suoi vari eroi-attori. Una
vocazione missionaria, infine, - “complice” (!) l’obbedienza - abbordata con un
certo bagaglio di esperienza teologico - pastorale (insegnamento, assistenza
scout, assistenza ospedaliera, predicazione spicciola, gioventù
francescana-OFS, ecc.) e, anche, sanitaria (mi riferisco al mio diploma di
infermiere professionale, acquisito, con l’allora corso biennale, all’ospedale
civile di Viterbo).
Partenza prevista per il primo ottobre
1973. Una vera e propria carovana: tre Suore Benedettine della Carità di
Centocelle, il P. Ugo Nanni e il sottoscritto. Ma eccoti quello che sicuramente
nessuno si aspettava: la morte tragica di mio fratello Sante, a New York, il 27
settembre 1973.
Il grosso della carovana partì ugualmente.
Venerdì 5 ottobre, i funerali. Mercoledì
10 ottobre, in serata, ero in volo (il primo della mia vita) verso l’Isola
Rossa (chiamata così dal colore della sua terra). Viaggiai, - a partire da Roma-Fiumicino
in buona compagnia: Manfrded Marent del Tirolo del nord, già nel Madagascar dagli
anni 60, futuro Superiore Regolare e maestro di novizi; l’anziano fratello missionario, Étienne Krauss (+
22.02.1991), grande costruttore di chiese, scuole, case parrocchiali, e il
Dott. Lehmann, il quale – causa studi dei suoi figli – si preparava a dare il
suo addio definitivo alla sua amata Ambanja, alla quale – insieme alla sua
famiglia – aveva dato un buon ventennio della sua vita .
A
Majunga (l’attuale Mahajanga), la prima notte in “gabbia”. Quella famosa
zanzariera che non sapevo nemmeno cosa fosse e come fosse fatta. L’indomani –
sempre in compagnia dei miei due compagni di viaggio – destinazione Antsohihy.
In serata ero già a Befandriana Nord,
casa-madre dei missionari italiani. Il primo volo in Twin Otter, e le prime
paure. Quei sali e scendi che ti mozzavano il fiato e che ti facevano ballare
le “budella” ( intestini).
Nel
Madagascar, mi avevano preceduto, oltre l’ultimo arrivato (Ugo Nanni), i
quattro battistrada della prima ora (novembre 1967): Ignazio d’Ercole (rientra
In Italia, settembre 2004; + 04. 02. 2010), Carlo Frasca ( + 29.11.2008),
Ambrogio Artuso, Franco (Gabriele) Nicolai[6].
Dopo il corso di lingua malagasy, a
Ambositra, i primi quatto confratelli -
nel corso dell’anno 1968 - furono destinati, quasi “localizzati”,
provvisoriamente, nelle seguenti missioni: Carla Frasca e Ambrogio Artuso, a
Bealalana; Franco Nicolai (Gabriele) a Antsohihy; Ignazio d’Ercole a
Befandriana (il confratello vi resterà fino al suo rientro definitivo in
Italia, settembre 2004).
Tra parentesi: la prima destinazione
sembra che fosse Mandritsara, per la fondazione di una nuova diocesi, al
sud-est di Befandriana Nord. Tutto – sembra - finì con la partenza del Nunzio
Apostolico in carica, Mons. Felice Pirozzi (1960-1967).
Il 9
marzo 1973, erano giunti - da Capo Verde - anche Pasquale De Gasperis (10 anni,
in detta missione, ormai nelle mani dei confratelli Piemontesi) e Enrico Ranaldi
( + 29.10.1998).
Vescovo
d’Ambanja, Mgr. Adolphe Léon Messmer.
Superiore Regolare della Custodia, Irénée
Noé (Madagascar 1964-1998, + 02.12.2002).
Si era ancora nel vecchio regime dei
“blocchi”: missionari di Strasbourg, nei centri tradizionali del nord (Nossibe,
Ambanja), Bealalana (dove trovò posto – come già accennato sopra anche Carlo
Frasca, fino al suo rientro forzato, - causa malattia - dopo appena tre anni,
nel 1970), Befotaka, Analalava, Maromandia, Antsohihy; Nord Tirolo, Antsakabary
; Romani, Befandriana-Nord: Ignazio d’Ercole, Pasquale De Gasperis e Enrico
Ranaldi; Franco Nicolai e Ambrogio Artuso, a Antonibe. Quest’ultimo, grosso
villaggio ai bordi della grande baia di Narindra, sul canale del Mozambico,
dove gli Israeliani progettavano di costruire un grande porto di scalo
commerciale, progetto caduto in acqua con la svolta social-comunista di Didier
Ratsiraka (1976-1993 ; 1997-2002).
Terminato il corso di lingua malagasy, a
Antananarivo (novembre ’73- marzo ’74), si pose il problema della
“localizzazione” degli ultimi due arrivati. I tempi per la terza stazione
missionaria non sembrarono pronti. La visita del Provinciale di Roma, Corrado
Gneo, aveva deciso - in attesa di eventi futuri - per due nuove “accoppiate”:
Franco Nicolai e Vincenzo Sirizzotti, a Antonibe; Ambrogio Artuso e Ugo Nanni,
nella missione di Antsohihy, insieme ai confratelli di Strasbourg e al
confratello malagasy, Amédée Tovolaza, responsabile del distretto missionario,
più volte candidato vescovo; per anni, segretario coordinatore della CEM
(Conferenza Episcopale Malagasy).
Ci fu un cambiamento. Al sottoscritto
toccò l’ ”accoppiata” con il suo compagno di corso di lingua malagasy, appunto
Ugo Nanni, nella missione di Antsohihy, sede (allora) anche del Superiore
Regolare.
Il
diploma d’infermiere professionale - sebbene mi sarà molto utile nella vita
pratica - andò a farsi benedire e se ne resterà, per sempre, solo soletto e
buono, nel fondo delle mie valige! Visto il seguito degli eventi, non me ne
dispiacerà punto!
Annata
1974-1975. I primi passi della Missione li feci, appunto ad Antsohihy, grande
centro della tribù tsimihety, al sud di Ambanja.
Al confratello Ugo Nanni, toccò il nord.
Al sottoscritto fu affidato il sud del distretto missionario, tra cui c’era
anche Anahidrano, villaggio natale di Philibert Tsiranana, (primo Presidente
della Repubblica malagasy), che ebbi l’onore di conoscere personalmente, di
essere suo ospite, e di averlo - sempre con la sua Signora - , e spesse volte,
durante l’anno, come fedele, alle Messe domenicali e/o festive, celebrate nella
chiesetta del villaggio. Sempre puntuali e generosi, Président Philibert
Tsiranana e Madame Kalotody Justine, all’appuntamento del rakitra (obolo)
offertoriale!
Un
anno indimenticabile. Sotto la guida del “curé”, Amédée Tovolaza, - a cui
affidavo la messa a punto dei miei brevi toriteny
(omelie) domenicali, in lingua ufficiale malagasy, omelie che facevano dormire
i miei amici – piuttosto pochini e anziani – nelle mie visite alle varie
cappelle, a me affidate. Mio primo compagno di avventura, un anziano
catechista, che non conosceva una parola di francese. Provvidenziale. Da lui
fui introdotto al dizionario tsimihety, da lui appresi i primi detti e proverbi
locali. Detti e proverbi, ancora vivi nella mia memoria non più giovanile.
Non fu cosa facile, il primo impatto con
la realtà tsimihety locale. Marce a piedi, ore e ore spesso appesantite da
bagagli e bagaglini, sotto un sole cocente, durante tutto l’arco dell’anno. E quelle
simpatiche bestioline (cimici e pulci) che ti “solleticavano”, appena si
spegneva la candelina, messa disposizione dalla famiglia, che – di turno – mi
ospitava nella sua capanna di paglia. Bestioline che non ti facevano chiudere
un occhio, la notte; bestioline, che ti lasciavano - per giorni - sulla pelle,
irritata e tumefatta, i segni delle loro gentili “carezze”, e che, spesso - con
grande meraviglia della nostra lavandaia -, allegre compagne di viaggio,
emigravano, seguendomi fino a casa.
Quella zanzariera che, ogni sera, ti
piombava addosso come una gabbia. L’impatto col famoso vary (riso). mattima-pranzo-cena. E, poi, quelle brevi omelie che
mi sembrava durassero un secolo. Omelie, anche se più o meno elementari, ma che
la gente semplice delle campagne non comprendeva, e che sembrava volessero
favorire qualche – sia pur breve - loro pisolino.
Quei brevi toriteny ben limati, mi misero subito seriamente in crisi. Decisi
di abbandonare quei benedetti fogli e foglietti. Tentai il primo discorsetto a
braccio. Due lunghi minuti di brividi di freddo. Quella volta mi accompagnava
una suora malagasy. Il tutto avvenne all’interno di una capanna, sulla strada
di Befandriana-Nord, dove celebrai l’Eucarestia. Tre-quattro persone. Da quel giorno,
- l’ultimo della mia vita missionaria - sono andato avanti sempre a braccio, live. Ricordi inobliabili.
Seconda sponda:
Maromandia
Finito il primo anno di noviziato
missionario ad Antsohihy, si pose di nuovo il problema della localizzazione
degli ultimi due arrivati, Ugo Nanni e il sottoscritto. Per Ugo Nanni e il
sottoscritto, “cap”, direzione Maromandia. Vero secondo anno di noviziato
missionario e lancio vero e proprio della mia avventura apostolica “ad Gentes”.
Maromandia: stazione missionaria, fondata
nel 1934 e gestita da noi Cappuccini, fino dal 1994, al sud di Ambanja, al nord
d’Antsohihy.Terza stazione missionaria passata – appunto nel 1975 - al blocco
romano.
Ci
accompagnò P. Pasquale De Gasperis (anche qui ci fu un cambiamento, in quanto -
come prima idea – sembrò che il P. Pasquale stesso fosse destinato a Maromandia
e per me si profilasse la “localizzazione” a Befandriana-Nord). Il 15 agosto
1975, concelebrammo la Messa, tutti e tre (P. Pasquale, P. Ugo Nanni e il
sottoscritto), nella piccola chiesa del centro, dedicata a Santa Teresa del
Bambin Gesù. Gli effetti - sicuramente “over-dose” - della nivaquine (medicina antimalarica) cominciavano a farsi sentire sui
fragili timpani delle mie orecchie. Celebrai la Messa, quasi sordo! Questione
di cerume fortemente concentrato. Poi, tutto normale, con qualche attenzione in
più.
Partimmo in due, dunque, ma dopo due anni,
Ugo Nanni – al primo “congé” (vacanza rituale) - rientrò definitivamente in
Italia. Rimasi solo soletto, come sacerdote. Un fratello laico - il compianto
Michelangelo di Fava (+ 31.12.2008) - fu mio compagno.
Nel
centro della missione - curata, fino al nostro arrivo, dal confratello alsaziano
Bérard Ackermann (+ 23.10.1991) - trovammo un funzionale presbiterio (edificato
dal grande architetto – costruttore, il Fratello
Étienne Krauss), la chiesa[7], un grande
bacino per la raccolta dell’acqua piovana, le scuole elementari, cui aggiunsi,
in seguito, per i più piccoli, la
sezione-scuola materna. Un discreto numero di alunni.
Nelle campagne esistevamo: una piccola
scuola elementare, a Ampomaventy; 8-9 cappelle, più o meno fatiscenti, 4-5
luoghi di preghiera, provvisori e quasi volanti, dispersi in alcuni piccoli
villaggi, soprattutto all’est di Maromandia.
All’ovest, - oltre le 4 quasi dignitose
cappelle - esisteva una larva di fiangonana
(cappella e comunità cristiana), a Anorotsangana. Villaggio, ai bordi del
mare, sul canale di Mozambico, uno dei tanti ex porti negrieri, sul suolo
malagasy; porto militare, durante il periodo coloniale francese. Una grossa
faticata arrivarvi. Di solito via mare. Una sola volta potetti raggiungere il
villaggio in jeep. La prima volta che – adulti e meno adulti – potevano vedere, de visu, in loco, - occhi
sbarrati e orecchie ben tese - una macchina e quel strano aggeggio del motore!
Vecchia cappella distrutta. Si pregava in
una capanna, dal cui tetto entravano beatamente i raggi di fratello sole e di
sorella luna, soprattutto nei pleniluni australi. Casa-capanna, proprietà del
presidente del fiangonana. Signore
tri-poligamo, con tre donne, piazzate in tre diverse piantagioni di caffè, da
lui “visitate” a turno; non battezzato. Dopo qualche anno, sollecitai - quasi
per scherzo - il battesimo. Risposta immediata: - Subito!…, insieme con le mie
tre donne!
Dopo qualche tempo (non ricordo
esattamente quando) ci raggiunsero le Suore Benedettine della Carità.
All’arrivo della nuova missionaria, Suor Gemma, tutta vazaha (europea/bianca), in scarpette bianche, da corsia
d’ospedale, volli farle fare subito il
primo “bagno”. Rischio di farlo sul serio. Lo dirò subito. Prima, un
particolare: quella bevanda vegetale... servita in vaso da notte! E poi quella
piroga, impazzita, frustrata da un vento
improvviso, quasi violento, sul canale del Mozambico, in quel pomeriggio,
intenti all’amo, a qualche metro dalla costa. Rischiammo grosso. Fortunatamente
la costa non era lontana.
Riveniamo alla grande comunità cristiana
locale: un insieme di minuscole comunità cristiane, sia al centro, sia nei vari
villaggi di campagna (montagna!). Gente sperduta nelle foreste, e tutti
impegnati nelle culture del caffè, del cacao e del pepe. Pochissimi i
battezzati, quasi inesistenti i matrimoni. In quasi cinque anni, riuscii a
benedirne due.
Una missione durissima, dunque. Forse - con
il senno del poi - compito troppo oneroso per un “novizio” della Missione? Un
interrogativo serio che mi pongo, post factum, e après coup (dicono i francesi), dopo tanti anni.
Passiamo ad altro. Lato geografico -
esistenziale.
Maromandia.
Una missione, il cui centro era situato ai
bordi del grande fiume Andranomalaza-Maitsomalaza, ai bordi della strada
nazionale, in direzione della punta nord del Madagascar, Diego Suarez
(l’attuale Antsiranana). Nel sud, direzione Antsohihy, punta nord della
provincia civile di Mahajanga. Pista, al nord (la più terribile); pista, al
sud; piste battute da grandi camion, spesso sovraccarichi d’ogni ben Dio, fino
alla vigilia della stagione delle piogge (novembre-marzo). Strada disastrata,
con punti di difficoltà quasi impossibili a superare, in certi momenti
dell’anno.
Aneddoti a non finire. Due soli. Una
volta, viaggio in due verso Ambanja. Ugo Nanni al volante. Piccola
inavvertenza. Un piccolo tronco, di traverso sulla pista. Perdita totale dei
freni. Non era finita. Dopo qualche km: un filo strano viaggiava al fianco
della jeep. Pensate! Era il filo del telefono che faceva le sue danze sulla
strada! Piccola sbirciata al di sotto della jeep. Un cordone massiccio, al
livello del blocco di trasmissione. Una faticaccia per liberalo. Ancora qualche
metro, ed eccoti la scoperta del danno. Il para-olio, gravemente danneggiato.
Stop obbligatorio. Ugo Nanni resta a guardia della vettura. Al sottoscritto,
una diecina di km di marcia, fino al centro della Missione d’Ambanja, per
allertare i soccorsi.
Un’altra volta. La radio nazionale
annunciò la fine del ciclone. Urgenze varie - tra cui i viveri - mi spinsero ad
avventurarmi verso il nord, in compagnia di un amico della missione. Non partii
alla sprovvista: argano, cavi, asce, vanga, ecc. Un ponte in legno saltato.
Impiegai un giorno e mezzo per fare i 90 km, tra Maromandia e Ambanja.
In poco tempo feci fuori una potente jeep.
Sempre senza freni, rosi dai vari passaggi di canali e canaletti di acqua
salata. Tentai anche con una piccola moto.
Clima
micidiale. Caldo umido, intenso.
Geografia. Zona montagnosa, sia all’ovest
(canale di Mozambico), sia all’est (regione di Manongarivo e di Bealalana), sia
al nord-ovest (direzione d’Ambanja), dove erano la maggioranza delle cappelle.
Al sud, due grossi fiume da attraversare L’uno (Maevarano, a Befotaka Nord),
con il “bac” (grosso barcone a fondo piatto per traversare i fiumi) per
traversare il fiume.
Aneddoto. Jeep senza freni. Il confratello
Michelangelo di Fava si avventura lo stesso. Ha fretta di rientrare. Partenza
da Antsohihy. Una volta sul “bac”, a Befotaka, invece di spegnere subito il
motore, cercò (invano) i freni. Tutti/tutto in bagno. Vi rischiò la pelle,
schiacciato da un fusto pieno di carburante. Le avventure - sempre a lieto fine
- con quelle strade sono stati talmente
tali che hanno segnato il mio inconscio più profondo: in quasi ogni incubo
notturno (quando ci sono), eccoti la macchina senza freni... marcia indietro...
shock.. risveglio liberatorio.
L’altro fiume, Manambaro, ad una
quarantina di km, al sud di Maromandia, da attraversare a piedi. Grossi guai,
quando era in piena.
Metà Novembre 1976: viaggio su Antananarivo. Primo
mio “congé, prima visita rituale, in Italia. Tutto già programmato. La notte,
un autentico diluvio. Arrivati sul posto, eccoti il fiume Manambaro in piena.
Corrente abbastanza forte. Traversata a sghembo. Il mio aspirante catechista
Pascal mi precedeva con la mia valigia sulla testa. Acqua fino alle ascelle.
Per fortuna nostra, non vi furono segni di coccodrilli nei paraggi.
Viaggi quasi tutti a piedi o in piroga. Una volta - impossibilitato a
continuare a marciare a piedi, causa la puntura di uno roitry (erba spinosa, per me
super allergica), dovetti fare l’esperienza della zattera. Tutta una giornata
di salti, sul fiume Andranomalaza-Maitsomalaza, aggrappato alle grosse canne di
bambù.
Da
qualche anno, le cose sono cambiate! Le piste di una volta sono scomparse,
cambiando anche il paesaggio circostante. Una magnifica strada asfaltata passa
nel centro del paese. Magnifici ponti, - di cui il più lungo all’entrata della
cittadina di Maromandia, sul fiume Andranomalaza-Maitsomalaza - ovunque. Un’ora,
un’ora e un quarto e sei già a Ambanja! Un paio d’ore e ti trovi già alle porte
d’Antsohihy!
Da una zona, quasi deserta della tribù
Tsimihety, ricoperta soprattutto di satrana
(sorta di palmizio) e di mokonasy (alberello
spinoso ricoperto di piccoli frutti, di un certo gusto se ben maturi), passavo
a quella Sakalava. Altra regione, altro dialetto. Altra natura, altro ambiente
naturale. Regione, ancora, attraversata dall’est (regione di Bealalana)
all’ovest (canale di Mozambico) dal già citato grande fiume
Andranomalaza-Maitsomalaza. Regione arci-verde. Ai bordi climatici (parte sud)
della regione di Nossibe – Ambanja – costa est, dell’oceano Indiano.
I quasi due ettari di terra del centro
della nostra missione: un vero giardino. Il tutto, popolato di bonara, alla cui ombra scoppiavano di
vita caffè , cacao, pepe, banane e
moltissimi altri frutti tropicali.
Lato ecologico … francescano. Ci facevano
compagnia e ci rallegravano dei loro gorgheggi polifonici - giorno e notte - una
moltitudine variegata di uccelli. Una vera orchestra. Non rara la visita di
qualche do (boa), fortunatamente non
velenoso, ma che - ogni tanto - ci
faceva fuori qualche pollo del nostro già magro pollaio.
Nei momenti liberi, mi dilettavo a passare
alcune ore all’ombra dei grandi bonara,
curando quanto già piantato, e piantando diecine e diecine di nuove piantine di
caffè. Spesso pagando il “fio” alle punture-fulmine (terribilmente dolorose)
dei fanendry (una specie di vespa che nidifica sotto le
foglie delle piante) e alle carezze del famigerato tainghilitro (erba rampicante, una volta secca, appena sfiorata, ti
lancia addosso una polverina
terribilmente allergica.
Cultura e costumi
locali
Arrivavo in terra sakalava, a Maromandia,
già sulla quarantina. Senza una guida esperta a fianco, dovetti cavarmela da
solo. Pagando più di qualche “fio”.
L’impatto con le realtà locali - stregoneria,
tabù di ogni sorta, sottosviluppo grave nel campo dell’educazione, dominazione
possente dei re e reucci sakalava locali -, pur non disdegnando rispetto e
contatti con le autorità civili costituite con i vari “saggi” tradizionali
della regione e con la popolazione, specialmente quella a noi più vicina, fu
veramente frontale.
Di questo primo vero periodo di Missione -
a parte i disagi di cui parlavo sopra - ricordo gli sforzi, quasi sovrumani,
cui dovetti far fronte, nell’esecuzione di un acquedotto, per il quale dovetti
affrontare - a Befitina, regione di
Ambanja - insieme al capo villaggio di Maromandia-centro, certo signor Pierrot
- anche una seduta spiritica, interloquendo direttamente, per più minuti, col
possessore dello tsiny (spirito).
Motivo: la sorgente principale, abitata da detto spirito, a cui - tramite il
suo“possessore” – si doveva riverenza, e il permesso di poter invadere il suo
“dominio” arcisacro.
Alla fine della seduta, pregai il signor
possessore dello tsiny - per il bene
della popolazione, e garantendogli tutte le spese di viaggio, ecc. -, di venire
a Maromandia e liberarci la sorgente, per poter cominciare subito i lavori. Era
un lunedì (giorno propizio per la seduta) di metà di novembre 1978, e la
stagione delle piogge era alle porte. - Sì, sì.
Appuntamento per il giovedì seguente. Non
se ne fece niente. Il tutto, una vera e propria turlupinatura! Mi dissero, in
seguito, che tutto si sarebbe risolto, a Befitina stesso, hic et nunc, con un
biglietto cash di 50 mila FMG. La stessa cosa era successa a Jangoa d’Ambanja.
Ma - per l’occasione - la gente mandò, semplicemente, a quel paese il nostro
amico di Befitina.
Fallito Befitina, - dietro consiglio d’una
vecchia signora, meticcia vazaha (bianca)
e d’accordo i con tutti i capi villaggi - si concluse di passare al famoso joro (sacrificio) di rito: un giovane
torello, alcune monete, alcune gocce di miele, un mpijoro (sacerdote sacrificatore), accreditato all’uopo. Giorno
convenuto, un venerdì. Mi aspettavo una folla di gente. Una diecina di persone,
piuttosto anziane, tra cui la vecchia signora meticcia vazaha (bianca), Marguerite Privot.
Nessuno aveva il coraggio di fare il mpijoro. – Fai tu, fai tu! Due - tre
giri. Alla fine, un vecchio signore (non cristiano), cieco ad un occhio,
afferrò la coda del torello, che, per nostra fortuna, se ne stette buono (altrimenti tutto saltava, subito), e il rito
potette cominciare. Si promise allo tsiny
un altro joro, a esecuzione
compiuta dei lavori. Ci si divide la carne del giovane torello. Rito compiuto. Tsiny abbonito. Tutti a casa. Tutto a
posto. Si può stare in pace. - Tutte le paure finite? Il resto della storia
dirà di no.
Un’operazione colossale, che alla fine,
finì per lasciare la gente – nel corso dei lavori e, anche, a cose fatte – con
l’ancestrale paura. Le scoperte le facemmo man mano. Sul luogo - al lato est,
ai bordi della sorgente e nascosti tra arbusti e foglie - un fijoroana”(specie d’altarino), ricoperto
da una buona chilata di monete e
monetine. Ai piedi d’un grande albero: una grossa buca piena di bottiglie e
bottigliette. Seri problemi nell’abbattere alberi e arbusti, di cui era coperta
una delle due sorgenti. Per fortuna nostra, si fecero avanti i nostri
catechisti, in riunione bimensile, in loco. Scavare il canale, - opera affidata
ai rappresentanti dei vari villaggi - non fu cosa facile, causa - appunto -
bottiglie e bottigliette rituali, sepolte nei dintorni della sorgente
principale. Paura a non finire!
Due sorgenti. Due bacini di raccolta.
Al momento dei lavori (quasi all’inizio),
- alla fatica ordinaria dei trasporti, via terra e via acqua, del cimento e
tubi PVC, comprati a mille km di distanza (Antananarivo) - si aggiunsero altre
paure e minacce. Nonostante gli sforzi d’intesa e di collaborazione con i vari
capi locali e l’intesa con la gente, la collaborazione, in mano d’opera
spicciola, saltò al secondo turno, e i nostri due muratori - originari degli Altipiani
- ricevettero minacce (verbali) di
morte! – Non sarete voi a terminare i lavori!
Ma, alla fine, ci si arrivò, e l’acqua
ancora corre e scorre, tuttora, nelle fontanelle del villaggio. La gente - che
prima beveva l’acqua saporita e profumata (!) del fiume
Andranomalaza-Maitsomalaza, - da quel lontano fine anno 1978, beve acqua pura
di sorgente. Quello che conta! Dal “mio”
tempo, fino ad oggi: molta acqua si è riversata - fiume Andronomalaza-Maitsomalaza
tramite - nel canale del Mozambico. Qualche paura di meno, forse. Qualcosa di
buono e di meglio, forse anche qualche barlume di fede cristiana - lo credo
fermamente - sarà anche entrato nel cuore e nella testa dei miei cari amici
sakalava della regione!
Cinque
anni di vita a ritmi un tantino elevati,
in piena zona malarica, con un’alimentazione - causa isolamento - non al 100%.
Nemmeno una linea di febbre. In simili circostanze - non lo sapevo ancora, per esperienza - ci si deve aspettare, quasi sempre, la
comparsa delle febbri malariche, sempre piuttosto violenti, soprattutto le
prime. Così fu, per me. Siamo nel marzo 1979. Mi toccò la forma più cattiva.
A Maromandia si gridò subito ad una
“vendetta” del famoso “tsiny”. Una
lezione alla mia “sfida”, nei riguardi dello tsiny stesso e dei suoi “adepti”. I bambini - sempre piena la jeep,
nei miei vai e vieni da e per la sorgente d’Ankirìky - si vedevano, spesso,
rimbrottati dai loro genitori, che li apostrofavano con “adala”, “lefaka” (scemi),
ammonendoli a non seguirmi, perché - si diceva loro, i vazaha (bianchi) non hanno paura degli siny e, poi: - Masina ry
Mompera ! I Padri sono“santi”; ma, probabilmente, alludevano a protezioni speciali
di Zanahary-Dio, dall’alto.
Vari
tentativi di completo riposo (Nossibe, Antsirabe). Invano. Dovetti rassegnarmi
a partire per l’Italia. Ospedali: clinica tropicale (Umberto I°) e
San Giacomo. Analisi a non finire. Si arrivò fino alla biopsia epatica. Una
buona annata. Ricupero quasi completo.
A Maromandia, mi ritennero spacciato per
sempre, già morto, e seppellito. Tanto che, al mio ritorno, - maggio 1980 - di
passaggio nel villaggio, la gente non credeva ai suoi occhi. Qualcuno osò dirmi
candidamente: - Sei ancora vivo! Ti credevamo già “lasa”(partito). Eufemismo,
per non dire, tout court, spacciato, morto!
Dopo il mio abbandono forzato, i
confratelli Ambrogio Artuso e il compianto Giuliano Giorgi[8] furono incaricati del distretto missionario
di Maromandia.
Antananarivo: lavoro
cercasi
I medici sconsigliavano assolutamente il
ritorno in missione. Qualche esitazione anche da parte dei Superiori di Roma. Non mollai. Nei primi
di maggio 1980, ri-volavo verso la “La Grande Isola”.
Impossibilitato a far ritorno in zone ad
alto rischio malarico, i Superiori del tempo
- Superiore Regolare, il nord
tirolese Manfred Marent - decisero per tentare una nostra presenza nella
diocesi di Antsirabe, al sud della Capitale. Rischiai di diventare “curé” del
distretto missionario di Tritriva, non lontano dalla casa madre dei nostri
fratelli OFM, (giunti a Antsirabe-Andraikiba il 30.11.1960 e che avevano appena
aperto il loro noviziato in terra malagasy ), con i quali si prospettava una
collaborazione a livello delle case di formazione. Rimasi nella loro fraternità
per quattro mesi, sostituendo Antoine Jacomy OFM nel distretto missionario di
Mahaiza. Una bella esperienza, soprattutto sul piano francescano.
In alto loco – soprattutto con la visita
dell’allora Ministro Generale dell’Ordine, Pasquale Riwalski - fu deciso
altrimenti. Fine novembre 1980, raggiunsi l’appena aperta casa di Analamahitsy
(1979), nella Capitale (Antananarivo), in compagnia di tre Confratelli
malagasy: un sacerdote (lo stesso che avevo avuto come primo responsabile del
distretto missionario del centro tsimihety (Antsohihy), fr. Amédée Tovolaza[9], uno studente
di teologia, Pierre Jaomazava (+ 04.08.2009), un fratello laico, Raymond Denis,
- figlio del mio catechista-guida d’Antsohihy - apprendista in meccanica.
Il sottoscritto, senza arte e senza parte.
La Provvidenza guida i nostri passi e dà
il pane secondo i denti. Questa volta – connivente la zanzara – dovetti
inventarmi e trovarmi un lavoro. Con un fisico piuttosto debilitato, non avrei
potuto lanciarmi in lavori fisici di un certo impegno. E così - pur dedicandomi moramora (piano piano) all’apostolato
settimanale e domenicale spicciolo - decisi di lanciarmi nel francescanesimo,
che finirà per essere un’autentica manna, in primis per me stesso, e, poi, per
l’animazione delle vocazioni francescane e non, in genere
Si era alla vigilia del VIII° Centenario
della nascita di San Francesco (1981-1982). La Famiglia Francescana - OFM,
OFMCap, OSC (Clarisse), ben cinque Congregazioni di Suore Francescane,
centinaia di Terziari OFS - era tutta una specie di scompartimento stagno.
Ognuno per sé, Dio per tutti.
Da Antsohihy ,- dove avevo fatto (come
detto sopra), nel 1974-1975, il mio primo anno di noviziato missionario,- nel
mese di maggio 1980, lanciai l’idea di un Comitato Interfrancescano di
Madagascar CIFM). Una lettera ai singoli Responsabili della grande Famiglia
Francescana. La novità dell’idea non trovò di sorpresa nessuno. Alcuni incontri
di contatto. Qualche messa a punto. Il CIFM vide la luce.
Data ufficiale di fondazione: 16 dicembre
1980. I Fratelli/Sorelle fondatori/trici furono, nell’ordine: François Simon
Perret, OFM; Manfred Marent, OFMCap; Jean-Bapiste (OSC, Clarisse); Cécile
Rasoarisoa (FMM), Emilienne Bouvin, Petites Franciscaines de Marie; Lucienne
Bourreau, Franciscaines Servantes de Marie de Blois; Teresa Marguerita Fontana,
Francescane dell’Immacolata di Palagano (Mo); Mr Denis Randrianasolo, OFS. Alla testa del neo nato CIFM (Comitato Inter-Francescano di Madagascar,
più tardi (2008) convertito in Conferenza Inter-Francescana di Madagascar)
furono messi Fr. Jacques Tronchon, OFM e Fr. Vincenzo Sirizzotti, OFM Cap.
Nella riunione di fondazione - che si tenne
nella nostra casa di Analamahisty-Antananarivo, il 16 dicembre 1980, di fresca
fondazione - si misero, subito e bene,
appunto gli scopi del CIFM: animazione francescana, traduzioni di fonti
francescane, preparazione immediata delle celebrazioni del VIII° Centenario
della nascita del Serafico Padre San Francesco (1981-1982).
I Fratelli/Sorelle fondatori/fondatrici –
eccetto François Perret e Denis Randrianasolo - sono ancora sulla breccia.
Quest’anno 2010 corre il terzo decennio di fondazione. La ricorrenza sarà
celebrata, a Ambohimalaza-Antananarivo,
da tutta la Famiglia Francescana della Capitale, unitamente alla celebrazione annuale di San
Francesco d’Assisi, il 10 ottobre 2010).
L’imminenza delle celebrazioni centenarie
francescane (VIII° Centenario della nascita del Poverello d’Assisi, appunto) ci
impegnò subito e seriamente: traduzione di una vita di San Francesco (si scelse
quella d’Ivan Gobry), animazione della famiglia francescana (ritiri, esercizi
spirituali, conferenze...) con l’invito di
francescanofili di un certo calibro: il Ministro Provinciale del
Tirolo,W. Egger (futuro Mgr. W. Egger, vescovo di Bressanone-Brixen), OFMCap;
Michel Hubaut, OFM; Hubert Delesty, OFMCap.
L’intero anno 1981 fu tutta una fioritura
d’iniziative, che coinvolsero un po’ tutta la Chiesa Cattolica, in particolare,
le scuole cattoliche di Madagascar. Per le scuole cattoliche fu lanciato un
concorso di disegno nazionale, la cui esposizione (nel 1982) fu ospitata alla
sede dell’Ambasciata d’Italia, a Ankadivato. Furono coinvolti anche uomini
della cultura e della vita civile. Un certo Vahandanitra, compositore e attore
alla Radio malagasy, ci preparò il testo e la messa in scena della vita di San
Francesco, nella cui esecuzione - nella sala di teatro del Collegio “Saint
Antoine” delle Suore FMM d’Ankadifotsy - egli stesso ne fu direttore e attore,
nel personaggio di Innocenzo III.
Una conferenza di alto livello, sempre su
San Francesco, - tenuta nel Centro Culturale Francese “Albert Camus”, animata
dalla corale della parrocchia “Saint Étienne” d’Ambandia-Antananarivo, corale
diretta dal parroco-compositore, Don Pietro Ganapini, sacerdote “Fidei Donum”,
di Reggio Emilia - fu affidata all’ex Ministro dell’Educazione Nazionale della
neonata prima Repubblica del Madagascar
(indipendenza 26 giugno 1960), certo Laurent Botokeky, originario di Belo sur
Tsiribihina, fervente OFS (volle essere sepolto con l’abito francescano OFS),
alla cui Famiglia, Madame Hélène Setopulos Botokeky e figli, - tutti tanto simpatici - , sono tuttora legato da
vincoli di amicizia fraterna francescana.
Chiusura solenne – nella chiesa Saint
François d’Assise, a Antananarivo-Andravohangy – il 4 ottobre 1982. Festa tutta
francescana e di colore, soprattutto OFS: tutti – giovani e meno giovani –
rivestiti del marrone saio francescano.
Stampa e opere
sociali
Il seguito della vita del CIFM sarà
segnato - oltre che dall’animazione spirituale - da tutta una serie di
traduzioni di libri francescani : scritti di San Francesco e di Santa Chiara,
Fioretti – fumetti (Franco Nicolai) e
testo completo - , Anonimo di Perugia, altra vita di San Francesco (Omer
Engelbert), una vita di Santa
Chiara (Chiara Augusta Lainati), Regole
TOR e OFS, Statuti Gioventù Francescana, Manuale OFS, Messale francescano;
piccole biografie di santi Cappuccini (San Crispino, San Leopoldo) e di Padre
Pio (di quest’ultimo – al momento in cui
stendo queste note – è in corso di stampa una biografia aggiornata e un libretto
sui “Gruppi di Preghiera”), Costituzioni OFMCap.
A ridosso delle celebrazioni centenarie,
due iniziative importanti.
In collaborazione con le monache Trappiste
di Vitorchiano (Vt) e con l’aiuto dell’amico gesuita, Santi Zocco di Siracusa
(economo - tuttofare della diocesi di Fianarantsoa), si cominciò la stampa e la
diffusione - per migliaia e migliaia di copie - di preghiere di San Francesco.
E altre: le più significative e le più conosciute. Tutto in lingua malagasy.
Il CIFM - tramite il gruppo musicale
nazionale Ankalazao, sotto la
direzione di Gilles Gaide, OSB - si fece promotore anche della messa in musica
di varie preghiere e temi francescani. Il Cantico delle Creature e le “Lodi di
Dio Altissimo” sono passate a far parte del libro dei canti, a livello
nazionale. Le “lodi di Dio Altissimo” sono state cooptate come “Gloria” della
Messa.
Ulteriormente (1998) – dietro iniziativa
delle Suore Clarisse e sostegni finanziari procurati dal nostro Pasquale De
Gasperis - il CIFM , oltre i testi tout court, pubblicò, con note musicali, officio e messa di
san Francesco e di santa Chiara.
Le attività del CIFM - passato in seguito
in altre mani - sono continuate senza soluzione di continuità: esercizi
spirituali annuali, animati alternativamente da un OFM e da un OFMCap.;
incontri fraterni informali, capitoli delle stuoie, celebrazioni di voti o di
ordinazioni sacerdotali, giubilei, lutti. Ultimamente, gennaio 2010, si è
aggiunto - fortemente voluto dal Provinciale Francesco Vinci - un corso (due
volte l’anno) di formazione francescana e delle scienze educative in generale,
per tutti gli educatori e educatrici della Famiglia Francescana. Animatori/trici:
membri esperti della Famiglia Francescana.
Ma forse, senza forse, il fiore
all’occhiello del CIFM è stato, e resta, la creazione dell’Associazione ASA (1991) con il suo Centro CASA (Centre d’Action Sociale, 1995) -
nel contesto del “Village Saint François” d’Antananarivo-Andrianarivo - ,
fortemente voluto dai confratelli OFM, col sostegno costante, soprattutto
finanziario, di Pasquale De Gasperis.
Il
centro, Antananarivo-Andrianarivo - di proprietà della Famiglia Francescana, e
a qualche centinaia di metri dalla grande Casa Penale della Capitale -
accoglie, da anni: un Foyer de vie
(centro per persone anziane), un dispensario, una farmacia popolare, una bella
cappella, FIEFA (Associazione per la protezione dei diritti civili), l’École Sainte Thérèse (scuola materna e elementari;
nel 2007-2008: apertura delle scuole medie).
Il confratello Pasquale De Gasperis - in
qualità di Assistente Nazionale dell’OFS -, vi ha fissato, in seguito, la sede
nazionale dell’OFS, istituzione intitolata a Lucien Botosoa, terziario OFS,
morto martire della fede, nell’insurrezione del 1947.
Cosa chiama cosa. Dalla CASA - sollecitato dal particolare sitz im leben della Capitale - ebbe origine un’altra bella realtà,
tipicamente francescana: il grande centro agricolo d’Ampasipotsy, nell’ovest
della Capitale (Antananarivo), nella regione di Tsiroanomandidy, il cui primo
fondatore è stato l’OFM, Fr. Jacques Tronchon, di formazione storica (noto il
suo libro sull’insurrezione malagasy del 1947), fratello non chierico, tuttora
sulla breccia. Migliaia di ettari di terreno (cifra esatta 20.000!), quasi
desertici, salvati ai rituali fuochi stagionali annuali , e ora ricoperti di
verde; fondi valle, abbandonati a se stessi, trasformati in fiorenti risaie.
Paesaggi quasi lunari, una volta. Un villaggio pimpante di vita e “brulicante”
di bambini, attualmente.
Chiesa ecumenica (dedicata alla
“Sacra Famiglia, consacrata nel 2.000). La comunità cattolica - retta
attualmente da un sacerdote originario d’Ambanja - è ancora sotto il distretto
di Mahasolo. Per l’animazione spirituale e per la gestione delle le scuole
l’ASA si è assicurato l’aiuto e la
collaborazione di tre comunità religiose: Suore Divine Providence de St Jean de
Bassel (8 settembre 2004), OFM (natale
2009), Clarisse congolesi (8 settembre 2009). Le scuole: dalla scuola materna
alla terza media, distribuite in tre centri - Ampasipotsy, Kambantsoa,
Ambalatalahihazo, per un totale di 1645 alunni, anno 2009-2010). I tre centri
scolastici sono affidati, soprattutto, alla cura delle Suore Divine Providence
de St Jean de Bassel.
Centro Sanitario di Base (2005), dispensario, atelier per legno e
ferro.
Lavoro, salute, famiglie unite. Una
comunità variegata. E, poi, per tutti: una vita degna ad essere vissuta.
Detto Centro, fu concepito e creato, dopo
accurate analisi e ricerche sociologiche, con lo scopo specifico di salvare gli
accattoni (e loro famiglie) della Capitale dalle immondizie e dai ricoveri
fortuiti delle strade e delle arcate del centro d’Antananarivo.
Nel 2001 – a dieci anni dalla fondazione –
Ampasipotsy ospitava già 100 famiglie!
Il Centro agricolo - attualmente ben 29
villaggi, di cui 15 per contadini senza terra - forma due fokontany (unità
civile malagasy di base), Ampasipotsy e Kambantsoa, per un totale di 3.000
anime. L’ASA si prepara a chiedere allo Stato malagasy l’erezione di un comune
rurale autonomo!
Anche qui, la Provvidenza si è fatto, e si
fa onore.
Aiutato per qualche tempo dall’UE,
attualmente l’ASA va avanti con aiuti
di diversa provenienza: Raul Follereau, Partage, ASA/France, Famiglia
Francescana (tra cui la MZF, tedesca) .
Il CASA
d’Antananarivo-Andrianarivo, il giovedì Santo, 12 aprile 2001, ebbe l’onore
della visita dell’Abbé Pierre.
Terza sponda: in
paese Betsileo
Dal 27 agosto 1932 - data dello sbarco dei primi confratelli cappuccini di Alsace-Lorraine, a Nossibe,
nel nord del Madagascar - la presenza cappuccina, a parte la prima fondazione
nella Capitale (Antananarivo), anno 1979, di cui sopra, si era ristretta alla
sola diocesi d’Ambanja, la cui estensione – dopo la grande aggiunta
territoriale dell’8 luglio 1947 - comprendeva la parte sud della provincia civile di Diégo
Suarez (attuale Antsiranana) e la punta nord della provincia di Majunga
(attuale Mahajanga).
L’implantatio
Ordinis (impiantazione dell’Ordine cappuccino) imponeva altre presenze, in
ambienti - culturali e religiosi - più favorevoli alle vocazioni religiose e
sacerdotali. La scelta cadde su Fianarantsoa, regione abitata dalla tribù
betsileo, evangelizzata, da oltre un secolo, dai Padri Gesuiti. Terreno fecondo
di vocazioni.
Il sottoscritto stesso fu incaricato di
preparare, d’intesa con il vescovo diocesano, il gesuita Mgr. Gilbert
Ramanantoanina, il luogo più adatto alla nostra fondazione. Dopo varie
ricerche, la scelta cadde – con grande sorpresa del Vescovo stesso - su
Ivato-Alakamisy, a 15 km d’Ambositra, capitale dell’artigianato malagasy.
Siamo a fine dicembre 1983. Il Pastore
diocesano, all’annuncio della mia scelta, (ricordo come adesso), prese la sua
agendina e decise, hic et nunc, subito, la data della nostra istallazione.
Qualche esitazione e paura da parte di Gesuiti e clero locale. Si temeva la
nostra “pesca” furibonda vocazionale, nei seminari e nelle parrocchie della
grande diocesi betsileo. Molto positiva l’accoglienza dei confratelli cappuccini
dell’allora, ancora, Custodia del Madagascar.
Sul posto trovammo un anziano missionario,
gesuita siciliano, (P. Lombino), un buon presbiterio e la chiesa del centro, dedicata a
Saint Vincent de Paul. Tre scuolette di campagna. Al centro, ancora, quattro
palmi di terra, al nord della chiesa, e un grande stabile incompiuto, con
destinazione scuola, e che ospitava - con seri disagi per i pochi giovani
alunni (una cinquantina) e maestri (2), la scuola elementare cattolica. Le due
piccole e malandate scuole di campagna Soafandry e Andranonanakova),
registravano, in tutto, una sessantina di alunni. Due maestri.
Il 15 gennaio 1984, il vescovo diocesano
ci istallava ufficialmente nel distretto missionario d’Ivato-Ambositra. Ricordo
ancora una frase della sua omelia. Si augurava che lo spirito militare di Sant’Ignazio
di Loyola facesse unità e armonia con la
semplicità e umiltà del Santo di Assisi!
Un paio di anni dopo, il distretto d’Ivato
annetterà anche il distretto d’Antoetra, tribù Zafimaniry, in piena foresta,
all’est d’Ambositra, anch’essa famosa
per le sculture in “art malagasy”.
Si cominciò in due: l’ormai anziano
confratello alsaziano, Gérard Rapp (uno dei fondatori della diocesi d’Ambanja)
e il sottoscritto. Il confratello Gérard Rapp (arrivo in Madagascar, nel 1937;
+ 04.05. 1995, a Strasburgo), causa età avanzata e disturbi di salute, dovette
rientrare in Francia, nel corso del 1986.
Nei primi di luglio, ci raggiunsero due
confratelli della Provincia di Siracusa: Michele Lombardo e Francesco Vinci.
Michele Lombardo - già professore di
teologia morale nella sua Provincia monastica di Siracusa -, si fece subito la
mamma di casa della nostra casa, ancora sprovvista di tutto. Metà novembre 1984
– durante il corso di lingua malagasy – lo sorpresi, bocconi a terra, ai piedi
del suo tavolo, in una stanza dei Padri Gesuiti, a Ambositra. Un mezzo infarto.
Due suoi compagni di corso di lingua malagasy, un gesuita ungherese e suor
Rossella delle Suore Orsoline (tutti e due medici) gli prestarono i primi
soccorsi. In fondo, lo salvarono.
Dovette farsi operare di cuore a Parigi.
Ritentò di nuovo il coraggioso confratello. Nel luglio 1986, Michele Lombardo,
lasciava definitivamente Ivato-Ambositra e il Madagascar. Si ritirò a Leonforte
(En), suo paese natale, dove si spense il 24.12.1997.
Francesco Vinci (attuale Provinciale del
Madagascar), invece, resterà sul posto per dieci anni, dando un contributo di
qualità sia all’apostolato missionario, sia alla formazione dei nostri giovani
postulanti.
Qualche altro confratello ci darà una
mano. Oltre i fratelli malagasy che saranno a Ivato/Ambositra - dal 1995 -,
come corresponsabili del distretto missionario e del postulato, ci saranno d’aiuto
l’ex missionario alle Seychelles, André Marie Koller, fratello laico della
Provincia Svizzera, specialista nelle costruzioni[11]., Ilidio da Luz
Ramos (capoverdiano della provincia di Roma), Angelo Tricomi e Angelo Catalano
(tutti e due della Provincia di Siracusa).
In fondo saremo noi due - Francesco Vinci e
il sottoscritto - a portare, per oltre un decennio, il grosso del peso del
distretto missionario e della formazione dei giovani postulanti, sempre
piuttosto numerosi e con conseguenti problemi seri di gestione logistica e
educativa.
Il 5 novembre 1994, Francesco Vinci
rivolava verso la sua Sicilia, nella sua Provincia monastica di Siracusa, di
cui sarà guida e animatore per un sessennio. “Accoppiata” ciociaro-aretusea,
finita. Missione compiuta per Francesco Vinci.
Scuola di formazione
agricola e artigianale
Il sitz
im leben locale impose, fin dagli inizi, un’attenzione particolare alla
scuola e alle scuole, al centro e nelle singole cappelle della campagna. Per i
bambini in età di scolarizzazione, ci si attaccò, senza soluzione di
continuità, alla fondazione di nuove scuole della missione. In poco tempo se ne
misero su una dozzina.
Le Suore Orsoline rimisero in sesto il
grande stabile lasciato incompiuto dal sacerdote diocesano Georges Ranaivoson.
In seguito – dato l’aumento degli alunni -
aggiungemmo noi stessi 4 nuove magnifiche aule scolastiche - giusto ai
bordi della strada nazionale Antananarivo-Fianarantsoa -, inaugurate il 12
dicembre 1992.
Le Figlie di Angela Merici si incaricarono
subito della scuola del centro che diventò “Collège Sainte Angèle Merici”:
scuola materna e scuola elementare, prima; scuole medie, subito dopo.
Le Suore Orsoline si presero cure anche
delle scuole di campagna.
Sia la scuola centrale che quelle di
campagna (ormai sulla diecina) si riempirono subito di alunni, e con eccellenti
risultati pedagogici.
Quello che, però, ci interpellò più
intensamente fu quella massa di giovani (ragazzi e ragazze) della campagna,
senza arte e senza parte, cresciuti senza una scolarizzazione degna del suo
nome e senza una preparazione umana e tecnica, per la loro situazione specifica
di gente della campagna, già alla vigilia della formazione di una loro
famiglia.
Siamo agli anni 1980-1990, in piena
rivoluzione socialista, in piena crisi di valori (ancestrali e più ancora
cristiani).
Il vescovo diocesano ci allertò fin
dall’inizio. Ci parlò subito di un liceo agricolo.
La nostra risposta fu una struttura
polivalente di formazione agricola - artigianale, che ci guidò alla creazione
(mi dovetti inventare architetto) di un
complesso strutturale imponente, comprendente un grande foyer (ostello di
accoglienza, completo di dormitori, aule, refettori, ecc.), un grande atelier (officina) per falegnameria
e forgia (atelier, subito riempito di macchine varie, dono generoso del
compianto confratello Carlo Vaquer, segretario dell’Animazione Missionaria
della Provincia di Roma), una grande sala di riunioni e spettacolo.
Il centro di formazione, cui demmo il nome
“Soa Fiadanana” (Bene e Pace), nacque sotto il segno della collaborazione tra i
responsabili del distretto missionario (noi cappuccini, appunto), le Suore
Orsoline di Verona[12] col centro CAPR
(famoso centro di formazione agricolo - professionale, gestito dai Gesuiti di
Fianarantsoa). Tre sessioni annuali di formazione. Durata quindici giorni.
Alla prima sessione, rispose all’appello
un centinaio di giovani, ragazzi e ragazze. Le ragazze, affidate alle Suore
Orsoline; i ragazzi, ai nostri “monitori” laici. La sessione si chiuse con una
foto souvenir (che ancora conservo nel mio album fotografico) di tutto il
gruppo, con i giovani che brandivano in mano, con orgoglio, la loro “sarcleuse”
(macchinetta per sarchiare le giovani piantine di riso), strumento prezioso,
costruito, di sana pianta, dalle loro mani, nell’atelier del loro centro di
formazione.
Due parole sul riso (vary): cereale, non tanto amato dagli italiani, piuttosto pastaroli
e spaghettari, ma di cui si nutre, probabilmente, una buona metà del globo. Una
piantina fragile ma prodigiosa, che può moltiplicarsi fino al 60-70-80%. Produzione:
fino a 10-12 tonnellate, all’ettaro, per soli sei kg di sementi (coltivazioni
SRI del Giappone e dei Paesi del sud-est
asiatico).
Antananarivo (12.12.2010). Santuario mariano in piena foresta
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Messa a cielo aperto
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Grazie a Mons. Pasquale Magnano
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Suonerà presto a festa (02.09.12)
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Chiesa San Pio da Pietrelcina…in attesa di migliori sorti.
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Inaugurazione nuovo distretto missionario. 24 Ottobre 2010
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Felici e contenti...
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Scuola e scuole a oltranza
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I bambini: nostri battistrada
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in attesa di strutture sportive ad hoc: basket, volley ball, campo di foot
che potrebbero salvare tanta gioventù. A quando ?...
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Grazie!...
OPAM!
Riso e salute
Riveniamo a noi. - Sì, il riso (vary). Alimento base del popolo
malgascio, tanto che far colazione, far pranzo o cena = mihinam-bary (mangiare il riso).
La sua coltivazione - in modo
tecnico e moderno (SRI) - ci si impose come uno dei punti forti della
formazione del centro Soa Fiadanana,
inaugurato dal Cardinale Razafimahatratra Victor, S.J., arcivescovo
d’Antananarivo, il 16 luglio 1992.
Il
terreno non manca, anche se spesso distrutto dai fuochi stagionali insulsi, l’acqua
non manca, il sole nemmeno. In molte regioni del Madagascar (vedi Morondava, di
cui parleremo più in basso), si possono fare fino a due-tre raccolte di riso,
l’anno! Quello che manca - e che gravemente pesa e resta tuttora un handicap
grave - è la tecnica di produzione: piantine di riso, - trapianto ideale a
10-15 giorni dalla momento della semina - che vengono trapiantate dopo tre - quattro mesi, quando
la povera piantina è già rachitica. Fisicamente e biologicamente impossibile un
rendimento dignitoso, anche medio; per cui, alla fine, quel poco che si produce
viene a costare molto più caro di quello che si può comprare al piccolo bazar
del villaggio.
La forza delle cose ci spinse a scendere
personalmente (per qualcuno fu quasi uno scandalo) nelle risaie, insieme ai
nostri giovani del centro Soa Fiadanana,
ai nostri postulanti e alla gente del villaggio. Francesco Vinci e il
sottoscritto ci facemmo uno di loro. Personalmente, vi dovetti pagare il
“pedaggio” della bilarziozi intestinale.
Per
cominciare, affittammo un piccolo appezzamento di terreno, dove facemmo le
nostre prime belle esperienze: dai circa 550 kg iniziali, passammo, nello
spazio delle tre raccolte seguenti a 1,550 kg. Per soli due kg di semenza!
Un po’ più tardi, comprammo due ettari di
terra che trasformammo in magnifiche risaie. Un lavoro ciclopico la
sistemazione del terreno: duecento angady
(vanga malgascia) trasformarono quei due ettari di terreno, sconnesso e ricoperto
di erbacce d’ogni genere, in quattro perfette risaie. Il tutto, per un piatto
di riso. Il gesto mi commosse. Anche qui, una magnifica foto di souvenir, tuttora
nel mio album fotografico.
Attualmente, nelle campagne
d’Ivato-Ambositra, varie famiglie seguono i nostri metodi
di cultura SRI.
Le suore Orsoline penseranno alla salute
della gente, con un provvidenziale dispensario. Noi pensammo all’acqua. Vari
pozzi, - di cui uno con castello e maxi-bacino - nel dominio della missione.
Due magnifici acquedotti: uno per Ivato (inaugurazione il 31 luglio 1998), con
doppia sorgente ; l’altro - opera soprattutto di Francesco Vinci - a
Ankarénana. (Antoetra).
La gente beveva l’acqua profumata del
fiume Ivato. Noi stessi attingemmo, per qualche tempo, in una quasi
pozzanghera, al di là della strada nazionale. Acqua potabile e lavaggio della
biancheria a Ambositra (15 km). Anche qui -
dall’estate 1987 - l’acqua pura di roccia corre e scorre nella diecina
di fontane d’Ivato-Alakamisy, centro del
Comune omonimo.
Una notizia dell’ultima ora.
Una dei tanti fiangonana (cappelle e comunità) del mio ex distretto missionario
d’Ivato/Antoetra, Soafandry-Ivato – in quest’anno 2010 è in festa per i suoi
100 di vita. Come “souvenir”di questo fausto evento, ho suggerito -
all’occasione della festa patronale del 19 marzo scorso, cui ebbi l’onore di essere
presente e di presiedere, in compagnia d’un mio fratello sacerdote malagasy, l’eucarestia
festiva – l’erezione di un edificio scolastico, degno del centenario.
Grazie alla collaborazione dell’OFS e
della Fraternità cappuccina di Monte San Giovanni Campano (Fr), mi sono
impegnato - come ex loro “curé - a collaborare nell’opera di costruzione dello
stabile, garantendo le lamiere - terribilmente care in loco - per i tetti delle
quattro nuove aule scolastiche (7m x 6m), tutto in duro [13].
Altra
sponda: Congo - Brazzaville
Metà novembre 1996 – come risposta agli
appelli dei Superiori della mia Provincia-madre di Roma, per l’apertura di una
nuova missione, tra i pigmèi, nel nord del Congo-Brazzaville, - dopo 25 anni
dati al missione cappuccina del Madagascar - lasciavo (anche dietro consiglio
dell’allora Consigliere Generale per l’Africa, Juda Taddeus Ruwa’ichi, dal
15.01.2005, vescovo di Dodoma archidiocesi di Dar-es-Salaam, in Tanzania,
nell’estate 1996, in visita nel Madagascar), via l’isola di La Réunion, dove
passai una gradevole settimana in casa della Famiglia André, la Grande Isola
dell’oceano Indiano, per l’Africa,.
Mi costò molto, ma mi sembrò onesto dare
ascolto all’appello dell’Africa. Lo feci anche, credendo all’urgenza
dell’appello stesso che mi veniva dalla mia Provincia-madre di Roma, cui
credevo di essere in debito di gratitudine e di riconoscenza per quanto mi
aveva dato, durante i lunghi della formazione iniziale, degli studi
universitari, ecc. Al momento della partenza - dopo 12 intensissimi anni, di
cui 10 partecipati con intesa fraterna perfetta con il confratello Francesco
Vinci - lasciai a Ivato-Ambositra, una missione lanciatissima. 11 ettari di
terra, di cui otto di bosco. Agricoltura e allevamenti di punta; trattore,
macchina per pilare il riso, macchina per farine e mangimi; grande gruppo
elettrogeno. Il centro Soa Fiadanana (foyer
super equipaggiato, atelier pieno di macchine, ecc.), in piena efficienza.
Oltre la scuola “Collège Sainte Angèle Merici” del centro, 9 nuove scuole di
campagna, 7 nuove chiese (molte costruite con l’aiuto delle Suore Missionarie
di San Pietro Claver di Roma), il grande stabile della casa di formazione “P.
Pio”.
Detta casa di formazione – al momento
dell’inaugurazione - fatta nell’agosto 1987, all’occasione della visita
fraterna del Ministro Generale dell’Ordine,
Flavio Roberto Carraro[14], fu messa sotto
la protezione del santo Confratello di Pietrelcina, di cui ricorreva, in
quell’anno, il centenario della nascita. Il postulato, tuttavia, aveva aperto le sue porte ai primi giovani
candidati – in uno stabile affittato, ai bordi della strada
Ambositra-Fianarantsoa - già dal 1985.
Il tutto - al momento della mia partenza
per l’Africa - fu lasciato nelle mani e sotto lo sguardo materno della Mamma di
tutti, che dall’alto della grotta di Ankarinjato (inaugurazione il 13 maggio
1990) ha continuato a seguire i passi dei confratelli malagasy, la comunità
cristiana locale, la comunità delle Suore Orsoline, le quali - impegnate nella
fiorente scuola della Missione, e in quelle della campagna - hanno già
“pescato” molte e solide vocazioni nel distretto missionario d’Ivato.
Incontrarsi - dopo anni - con queste
giovani Suore, conosciute ragazze nel fondo delle campagne d’Ivato-Ambositra, è
una gioia (direi quasi una festa), sia per loro che per noi missionari. Questo
soprattutto, alle occasioni delle celebrazioni dei loro voti solenni.
Tra parentesi, devo segnalare che le Suore
Orsoline FMI di Verona – insieme alle Suore San Giuseppe d’Aosta, alle Suore
del Sacro di Gesù di Ragusa, alle Suore Carmelitane di Santa Teresa di Torino,
tutte fondazioni “italiane” (degli anni 1960), in numero e in qualità -, sono
una bella realtà nel contesto delle Congregazioni religiose femminili in terra
malagasy.
In
Congo - Brazzaville vi arrivai i primi di marzo 1997, insieme con un
collaboratore laico, che fu, anche, un po’ la mia croce. In loco, trovai una
situazione alquanto difficile. L’impatto fu abbastanza duro. Ma, ormai, già ben rodato alle
situazioni difficili, la cosa non mi turbò più di tanto.
Dalla metà maggio 1997, avevo iniziato il
corso di lingua lingala, a Brazzaville. Dopo il vai e vieni tra centre-ville e Ouenze, mi
stabilii nella parrocchia omonima Santa Maria delle Vittorie, a Ouenze, al nord
della Capitale.
Guerra civile.
Rifugiato a Kinshasa
Il 5 giugno mattina, scoppiò la guerra.
Guerra civile. Il pomeriggio del 5 giugno, l’ultimo contatto con l’esterno. Si
trattò di una telefonata di Franco Nicolai, che potette ascoltare live gli spari dei Cobras impazziti e
gli scoppi assordanti delle prime bombe. Dopo mezz’ora, tentai di richiamarlo,
per rassicurarlo della mia pelle. Black out completo. Forse fino alla fine
della guerra, mese di ottobre seguente.
Una guerra civile folle, per la follia del
potere e del petrolio, con Elf, Agip e C. a contendersi le diecine di pozzi di
petrolio di Pointe Noire, e a far gara per accattivarsi i detentori del Potere,
anche aiutando a farli fuori causa, prima del tempo, per annullare vecchi
contratti o per motivarne dei nuovi più vantaggiosi. Così si bisbigliò, in
loco, a proposito della guerra civile del 1997.
Si parlò di 15.000 morti. Brazzaville quasi
distrutta, soprattutto il centro-città.
Per me, lo scoppio della guerra, significò
lo stop forzato al corso di lingua lingala, e, soprattutto, 10 giorni di grosse
paure. Alle nostre spalle - a qualche centinaia
di metri - il fronte di Sassu Ngesso e i suoi Cobras. Dal centro-città, la
risposta dell’altro fronte, di Lissouba.
Un via vai di mini-missili, a grossa gittata, che passavano sulle nostre
teste. Nella tarda serata, e, talvolta, la notte: un vero spettacolo
pirotecnico!
Il 14 giugno, l’abbandono forzato di
Ouenze. Partenza, decisa, in primis, dalla paura delle bombe. Il mercoledì
seguente lo scoppio della guerra: nella prima mattinata fu portata via la
macchina della parrocchia; verso le dieci, la visita di una squadra di Cobras.
Ero sulla piccola veranda della mia stanza. – Sautez! Sautez! (salta! salta!).
Ma, probabilmente – a corto di francese – volevano dire: scendi giù! Lo feci.
Pensai che fosse il giorno della fine. I
visitatori furenti erano alla rabbiosa ricerca d’una radio BLU (radio emittente
– trasmittente), che, di fatto, si celava nella casa contigua delle Suore, le quali
(sempre furbe le Suore!) - per prevenire problemi e eventuali saccheggi, sempre
all’aria e quasi di moda, in simili frangenti - avevano subito assoldato
due-tre Cobras, a protezione della loro casa e dei loro beni, compresa appunto
la BLU, che continuava a funzionare, nonostante la guerra già in atto!
Un altro giorno, trovai una pallottola
sulla piccola veranda della mia stanza.
Ci si aggiunse anche la fame. La canonica
si era trasformata in vero proprio asilo e ostello. La già povera dispensa del
bravo e simpatico parroco - Yves Monot, Cssp, attuale vescovo di Ouesso - si
era svuotata completamente. Rifornimenti quasi impossibili. - Un piatto di meno
a tavola. Mi dissi. E, poi, salvare la pelle. - La morte in guerra o a causa
della guerra, non ha fatto martire nessuno!
Mi dissi, ancora.
Alcuni studenti Cssp, nigeriani, rimasti
ingabbiati nella parrocchia allo scoppio della guerra, - anch’essi affamati e
con la volontà di salvare la pelle - quella mattina del famoso mercoledì,
terrorizzati dall’arrivo dei Cobras - saltarono il muro di cinta che dava sulla
casa delle Suore. Qualche giorno dopo se la dettero a gambe e passarono a
Kinshasa.
Tentare non nuoce. Dietro consiglio del
parroco, decisi di avviarmi verso la riva del fiume Congo. Ero senza documenti
(depositati al Ministero degli Interni, per richiesta di vista di soggiorno).
Chiesi - come passaporto - una dichiarazione dal parroco. Due righe. Passaporto
da guerra, che compì, a perfezione, la sua missione.
14 giugno, nella prima mattinata. Se ben
ricordo, era di sabato.
Mi guidò un giovane della parrocchia. Ci
aspettavano i temuti Cobras. Milizia, specialmente addestrata, al servizio di
Sassu Ngesso, già al potere per 11 anni, durante i famosi due blocchi (est-ovest).
L’ex dittatore - all’approssimarsi delle
elezioni generali (previste per il mese di luglio-agosto 1997) -, dopo diverse
provocazioni nel nord del Paese, aveva dichiarato guerra al presidente in
carica, legittimamente eletto, Lissouba. Ci aspettavano vari posti di blocco. A
parte il pedaggio del mbongo
(denaro), obbligatorio nei vari stop - trasformatisi subito in quasi
“dogana-pedaggio”, quasi salario di guerra, a pro immediato dei Cobras stessi -
non furono, poi, così, malvagi. Mi credevano di residenza a Ouenze, e, quasi,
si meravigliavano che abbandonassi il mio posto di servizio pastorale!
Un’autentica avventura, la traversata del
fiume Congo. Un grosso barcone in ferro, spinto da un vecchio motore, che ogni
tanto faceva cilecca. Deriva, e abbandoni frequenti del barcone alla corrente
(abbastanza forte) del fiume. Mi adattai subito alla situazione, dando una
mano, sollevando il piccolo serbatoio, affinché la poca benzina arrivasse nel
carburatore. Un’ora e mezzo di traversata, contro i 15-20 minuti dei tempi
normali. Sbarcato a Kinshasa Beach, mi sembrò di entrare nella Terra Promessa!
Accoglienza superlativa all’Ambasciata
d’Italia. Brindisi, e una discreta somma di dollari. Molto calda e fraterna
l’accoglienza dei confratelli di Limeté, che avevo visitato recentemente (7-12
maggio), mentre Laurent Désiré Kabila avanzava, a gran passi su Kinshasa, e che
trepidavano della mia sorte.
Venti interminabili giorni a Kinshasa, in
attesa del nuovo passaporto e di qualche contatto con Roma, che finalmente - tramite
telefono satellitare d’occasione - si rese possibile. Fr. Antonio Ascenzi, futuro
Vicario Generale dell’Ordine Cappuccino (+ tragicamente, a Francofonte-SR,
31.05.2003), allora Ministro Provinciale di Roma, mi pregò di rientrare, appena
possibile, in Italia.
Abbandono forzato di Sembé, e della
missione, appena aperta (ottobre 1996).
Il 4 luglio 1997, lasciavo Kinshasa, e ripartivo
per Roma, via Bruxelles.
L’altro confratello di Cosenza, P.
Leonardo, se n’era già andato, per conto suo, via Cameroun. Non seppi nulla
della sorte delle Suore. Suppongo, però, che anche loro - anche se il fronte
della guerra era ben lontano dalla regione Sangha - abbandonarono Sembé, per
raggiungere le loro Consorelle, a Yaoundé (Cameroun).
Varie pressioni - Nunziatura Apostolica di
Brazzaville, Vaticano e, probabilmente, anche Madre Ines Pavani, Superiora
Generale delle Suore Francescane del S. Cuore –
decisero per il non abbandono definitivo della missione cappuccina di
Ouesso (Souanké e Sembé). I Superiori Generali dell’Ordine convinsero i Superiori
Provinciali di Roma e dell’Abruzzo a formare una nuova équipe, e a far ritorno
nella diocesi di Ouesso, diocesi poverissima di sacerdoti (4-5) e con gravi
problemi di gestione.
Ritorno.
Nuova équipe
Nuova partenza, quindi, con una nuova
équipe. In quattro. Un confratello abruzzese, P. Carmelo Sciore ( +
24.03.2007), e tre confratelli di Roma : Umile Giletti, Franco Nicolai e il
sottoscritto. Tutti non più giovani (66, 61, 58, 57 candele già spente) e,
anche, di una certa “stazza” fisica. “Cap”, direzione: regione della Sangha, in
piena foresta tropicale. La gente - da Kinshasa, a Brazzaville, a Ouesso - ci
guardava come bestie rare! Quella barba biblica, quel lungo saio francescano-cappuccino,
quel suo “gabarit” , quel suo incedere maestoso… fecero di Umile Giletti (gli
chiedo venia, se faccio il suo nome) la nostra vedetta. – Héros ou bien fous !?... (tradotto alla
romanesca : - ‘Sti fratoni so’ eroi o so’ scemi!?). Si saranno domandati.
Gennaio-febbraio 1998. Via Bruxelles, arrivammo
a Kinshasa in due mini-scaglioni. Il primo - P. Umile Giletti e il sottoscritto
-, arrivava a Kinshasa il 13 gennaio 1998.
In attesa degli altri due confratelli, che
arrivarono verso la metà di febbraio; in attesa anche delle condizioni minime
di sicurezza per entrare nell’altra sponda del Congo-Brazzaville, ebbi a
disposizione una buona mesata. Ne approfittai per approfondire un po’ la lingua
lingala, il cui apprendimento l’avevo iniziato, appunto, a Brazzaville, dalla
metà di maggio fino allo scoppio della guerra, il 5 giugno 1997. Mi portai a
Gemena, nella regione dell’Équateur, dove era superiore-parroco, fr. Nadonye
Jean Bertin, attuale Vice Provinciale della RDC.
A Bwamanda - a 75 km di pista da Gemena -
potetti ammirare le grandi opere sociali della giovane Fraternità congolese, da
quattro anni eretta in Vice Provincia Generale. Opere grandiose. Già totalmente
in mano congolese. Il responsabile locale, al nord, era, allora fr. Nadonye Jean Bertin. Il direttore generale
- aiutato, nella sede di Kishasa, da Suor Chiara, torinese di Torino – era il
Vice Provinciale, fr. Fridolin Ambongo Besungu (vescovo di Bokungu-Ikela
(Mbandaka-Bikoro, dall’11 novembre 2004) ne era il Direttore Generale.
Opere ideate e realizzate dai confratelli
missionari fiamminghi, in primis Gérulf Evenes e Léonard van Baelen (ex primo
Vice Provinciale e attuale professore di teologa morale alla facoltà cattolica
di Kishasa), e dal Dr. Van Mullen.
Il famoso
C.D.I. (Centre de Développement Intégral). Attività agricole, medico-sanitarie, socio-culturali
e tecniche. Il C.D.I., oltre che all’Équateur, raccoglieva prodotti anche a
Batuntu, nei dintorni di Kinshasa. Due grossi battelli solcavano, in
continuazione, il fiume Congo, ai cui bordi
- a Kinshasa - dominavano i grandiosi capannoni dell’ex Bata,
trasformati in immensi magazzini di
stoccaggio.
Bwamanda: 50.000 abitanti (la regione),
centro di raccolta di prodotti agricoli (mais, soia, riso, caffè, olio di
palma), grandiosi magazzini di stoccaggio, un via vai di giganteschi camion. Diecine
e diecine di persone salariate. Migliaia e migliaia di tonnellate di prodotti
agricoli, acquistati a prezzi reali
ai contadini-produttori, riversati, parte, in loco (a metà prezzo), parte
(soprattutto caffè), esportati e rivenduti (in Europa), secondo i prezzi di
mercato. I benefici finanziari ricadevano direttamente sulle opere sociali, dipendenti
e sostenute dal C.D.I. stesso, che -
giocoforza - doveva contare su sostanziosi aiuti esterni, soprattutto C.E.E.
Una grossa “boutique”, questo C.D.I. Il
suo progetto e i suoi programmi avevano valicato, da qualche tempo, le
frontiere di Bwamanda, raggiungendo anche vari centri delle diocesi di
Molengbe, di Bujala e di Lisala. Un campo, in cui il C.D.I. si era impegnato a
360°, era quello sanitario, campo in cui lo Stato era quasi assente. Una delle
priorità essenziali era stata l’acqua potabile. In quel periodo, il C.D.I.
aveva impiantato - appunto per l’acqua - 500 pompe manuali, per altrettanti
villaggi. Venivano, poi, le strutture sanitarie, vere e proprie.
Il C.D.I., in quel tempo, gestiva 8
ospedali e 50 centri sanitari, due scuole per infermieri (Bwmanda e Wapinda). A
Bwamanda, una farmacia comunale assicurava medicine per buona parte della
popolazione. Un sistema mutualistico, semplice ma efficace, assicurava
l’accesso alle cure sanitarie di oltre 100.000 persone, nei vari ospedali
gestiti dal C.D.I., il cui fiore all’occhiello era sicuramente il grande
ospedale di Bwamanda-centro.
Ogni giorno: una folla immensa di gente,
un vero formicaio umano. Qui feci conoscenza diretta della mosca tsè-tsè e dei
suoi effetti devastatori sulle persone. Ancora fissi nei miei occhi, gli occhi
sbarrati di un giovane infermo, vittima appunto della “malattia del sonno”, con
encefalopatia grave, quasi terminale.
Dopo la gloriosa storia missionaria dei
Cappuccini Italiani dei secoli XVII° - XIX° (1645 - !865), nel regno
dell’antico Congo - chiamato in quel tempo Bassa
Etiopia o Etiopia inferiore -,
Congo, definito “cimitero dei Cappuccini”, l’Ordine Cappuccino fece ritorno in
una parte dell’ex regno del Congo (l’ex Zaire, l’attuale RDC), nel 1910, con i
Cappuccini della Provincia delle Fiandre, fiamminghi e valloni.
A Kinshasa e a Bwamanda, potetti ammirare
gli sforzi dell’“implantatio Ordinis”
(impiantazione dell’Ordine), oramai sotto direzione congolese. Dal marzo 1997,
infatti, una nuova équipe guidava la giovane Vice Provincia Generale: tre congolesi, un italiano, un
fiammingo.
Come Vice Provinciale era stato eletto Fr.
Fridolin Ambongo Besungu, allora
appena trentasettenne. I Cappuccini congolesi erano, in quel tempo, una
dozzina. Una dozzina, anche, gli studenti di teologia-filosofia. Due novizi.
Una diecina di postulanti.
Ancora molto attiva – anche se quasi a
“fine corsa”- la presenza dei confratelli missionari era la seguente: fiamminghi
(10), italiani (Alessandria, Salerno), una diecina: un vallone. Tre confratelli
sardi, dal 1989, si erano trasferiti nella Missione delle Seychelles. Giulio
Baldus e Federico Furcas raggiunsero Mahé il 25 febbraio 1989. Ferdinando
Tuveri, invece, il 19 luglio dello stesso anno.
Lo studentato (filosofia e teologia) di
Kinshasa - Limeté, era nelle mani del salernitano Modesto Fragetti. Il
postulato di Bwamanda, invece, era
diretto dall’alessandrino P. Anselmo.
Quasi dimenticavo di dire che - durante il
mio soggiorno a Gemena - moriva a Bwamanda, soccombendo ad un grave attacco di malaria,
preso forse - si disse - un po’ alla leggera, il confratello P. Domenico di
Salerno, allora missionario-parroco a Libenge, ai bordi del grande fiume
Oubangui. Ebbi modo di accompagnare il feretro da Bwamanda a Libenge. Una folla
straordinaria, lungo tutto il tragitto. Pianti e ovazioni ai suoi funerali, a
Libenge, dove riposano i sui resti mortali. Un gran missionario! Così, lo
pianse la gente.
Di
nuovo tra i Pigmèi
Verso la metà di febbraio - sempre via Kinshasa-,
arrivò il secondo mini-scaglione: Franco
Nicolai e Carmelo Sciore. Fui subito richiamato a Kinshasa.
Accertata lo stato di sicurezza minima nel
Congo-Brazzaville, il 18 febbraio 1998, passammo all’altra sponda dell’ex
Zaire. Dovevamo ricuperare il nostro fuoristrada a Douala (Cameroun). Toccò al
sottoscritto.
Il 26 febbraio, viaggio-lampo a Douala,
via Bangui, dove rischiammo la pelle, causa - al momento dell’atterraggio - il
blocco completo dei carrelli dell’Air Afrique. Solo paura. Un giorno e una
notte di sosta forzata.
Il 10 marzo ero a Ouesso, capitale della
regione Sangha, pronto a raggiungere gli altri tre confratelli che mi avevano
preceduto, a Souanké, dove pensavamo costituire, a quattro, la nostra
fraternità missionaria. Non fu così. Date le distanze e i disagi degli
spostamenti, si finì per dividerci le due stazioni missionarie: Franco Nicolai e Carmelo Sciore[15], a Souanké;
Umile Giletti e Vincenzo Sirizzotti, a Sembé.
In piena foresta tropicale. Oltre duecento
km di pista tra Ouesso (centro della diocesi, retta allora da Mons. Hervé
Itoua) Sembé - Souanké. Strada-paraocchi: ammantata di verde da un viaggio
all’altro, quasi un grande corridoio-tunnel, tagliato in una foresta
fittissima, alberi giganteschi a destra e a sinistra, cielo, strada che spesso
diventava sapone, alberi giganteschi che spesso ti sbarravano la strada.
Motosega sempre a bordo.
Clima arci-micidiale. Ne fecero le spese,
quasi subito, i confratelli Carmelo Sciore
e Umile Giletti, che dovettero abbandonare la missione. Carmelo Sciore, appena
quindici giorni dopo il suo arrivo. Umile Giletti - dopo due tentativi (vani)
Brazzaville-Roma-Brazzavile - ci lasciò anche lui, dopo qualche mese.
A Sembé, ci avevano preceduto le Suore
Missionarie Francescane del S. Cuore, il cui primo impatto segnò, fin
dall’inizio, la loro presenza in terra pigmèa. La Superiora Generale, Madre
Ines Pavani, in visita esplorativa alla loro futura missione, a mezza strada -
causa l’ingombro stradale invalicabile, opera dei giganteschi alberi di
foresta, di traverso sulla strada - dovette fare marcia indietro.
Due per due stazioni missionarie.
Distanze, isolamento e disagi per gli spostamenti, come già accennato. I due
confratelli restanti fecero il loro meglio per assistere le Suore Francescane e
le piccole comunità bantù e pigmèe, stagliate lungo la pista
Souanké-Sembé-Ouesso.
La sicurezza ancora aleatoria, la mancanza
di prospettive per l’avvenire, fecero decidere, in alto loco, dopo una visita
ufficiale del Vicario Provinciale di Roma, Fr. Carmine Antonio De Filippis, attuale Ministro Provinciale del
Lazio, la chiusura della missione.
Ci piangeva un po’ il cuore, soprattutto
nel dover abbandonare le Suore Francescane, che avevano atteso per mesi
l’arrivo del primo missionario cappuccino (P. Leonardo di Cosenza), che erano state, anche, un po’ il nostro
sostegno morale, e che ora si vedevano abbandonate di nuovo.
Le Suore[16], meritavano le
nostre attenzioni. Ben sostenute dalla loro fiorente fondazione del Cameroun,
avevano fondato un rispettabile dispensario (con annessa farmacia) e una
piccola scuola per bambini pigmèi. Erano pronte per altre fondazioni, verso la
strada di Ouesso.
La gente le amava e le rispettava.
Aiutarono molto il confratello P. Umile Giletti. Rimasto solo soletto, mi erano
state, personalmente, molto di aiuto e di sostegno morale, soprattutto
all’occasione d’un serio attacco di malaria[17].
Decidemmo di lasciare un “ricordo” del
nostro quasi-passaggio, della nostra presenza, sia pur breve, cappuccina. A
Souanké, Franco Nicolai completò definitivamente - ornandola anche di pitture
murali - la grande chiesa, lasciata incompiuta dall’Abbé congolese che l’aveva
preceduto. Un gran bel lavoro, come suo stile, di gusto artistico. A Sembé,
lasciammo la nuova casa parrocchiale e la chiesina (ex sala di teatro),
completamente trasformata. Una piccola grotta di Lourdes.
Missione compiuta!? Credo fermamente di
no. Credemmo, fino all’ultimo istante ad un possibile salvataggio. Mi risulta
che ci furono vari solleciti da parte della nostra Curia Generale. Più in basso
vedremo il resto.
Partenza definitiva - via Cameroun - con il
confratello Franco Nicolai, il 18 agosto 1999, all’indomani dell’inaugurazione
dei due lavori completati. Io rientrai a Roma, via Douala-Nairobi-Amsterdam, il
30 agosto 1999
L’Africa lascia i suoi segni. Che cosa
ricordare, in modo particolare?
I pigmèi e i loro “trulli” di foglie,
stagliati ai bordi della grande pista (Sembé-Ouesso). Abitazioni quasi volanti,
che scomparivano da un giorno alla’altro. I loro “mobili”, fatti di rametti
d’albero di foresta. Le loro mani lunghe (i pigmèi sono scalatori di alberi di
alto fusto e dalla circonferenza ben pronunciata), i piedi piuttosto corti,
petto e i seni (uomini e donne) piuttosto pronunciati. Ricordo con piacere uno
di loro: sposato cattolicamente (cosa rarissima), fedele collaboratore delle
Suore nella gestione di piccole scuole, per bantù e pigmèi. Nostro battistrada
nei nostri contatti con la popolazione pigmèa. Aspirante (se fossi rimasto in
loco!) mio maestro di lingua baka.
Il contatto diretto con la piccola e
grande stregoneria locale. Non lontano da noi, era sorto un quasi ospedale,
gestito da una grande matrona - stregone, che accoglieva gente anche dal
lontano Cameroun. Gente che veniva da 500 km. Due decessi “misteriosi”, alla
vigilia di Natale 1998: AIDS e incidente automobilistico, in piena foresta.
Ricerca affannosa del “chi”: lo zio paterno del giovane, schiacciato da un
fusto pieno di gasolio; l’ex amante - lontano mille miglia da Sembé - per la
giovane nostra catechista!
Quelle cerimonie di circoncisione di giovani,
bantù e pigmèi, ormai ventenni: un mese di isolamento, entro i trulli di
foglie, sempre (giorno e notte) unti di oli di foresta, con temperature che
toccavano i 40-50 gradi - se non più - all’ombra. Quelle veglie mortuarie che,
a turno, si ripetevano - giorno e notte e fino ad alba inoltrata -, intorno
alla nostra casa, e che non ti lasciavano chiudere un occhio. Quei fulmini che
- durante le tempeste tropicali - si abbattevano nei circondari immediati del
nostro villaggio e della nostra missione. Una vera guerra! Infine, quella canna
di fucile, respinta di forza, tra lo stipite e la porta, alla vigilia della
nostra partenza! Un grido e via. Un po’ di paura. L’ultima, in terra d’Africa.
Un’esperienza unica, quella biennale tra i
pigmèi. Oltre le fortissime febbri malariche, feci l’esperienza anche della
filaria, curata tempestivamente, con
l’aiuto di Suor Rita Pia.
Il tempo libero mi permise… il passatempo
della lettura. Sui pigmei, in primis. Su di loro feci un lungo servizio per Continenti.
I miei due brevi soggiorni in RDC (ex
Zaire) mi avevano abbastanza “solleticato” sulla storia della Chiesa locale,
sulla sua liturgia. Soprattutto il rito zairese, di cui avevo tanto sentito
parlare. Il giorno dell’Ascensione, 7 maggio 1997, nella chiesa di “Sainte
Catherine de Sienne” - celebrante principale Modesto Fragetti di Salerno, già
da dieci anni, missionario in loco - ebbi la “chance” (occasione) di vivere
“live” quella magnifica liturgia. Non, poi, troppo strana, come logica liturgico
- teologica! Il
Cardinale
Malula e i suoi Mongambe (sorta di laci-parroci), la facoltà teologica di
Kinshasa, quelle numerose congregazioni religiose.
La Missio antiqua
Oltre il già detto sulla Missione
cappuccina congolese moderna, mi incuriosì molto la famosa Missio antiqua (1645 – 1865). Interesse vivo anche per la più
recente Missione Cappuccina Veneta, nel Congo Portoghese/Angola (1948),
missione impiantata sulla “memoria” dei 12 loro confratelli della Missio antiqua. Da ricordare: P.
Giovanni da Belluno. Si dice che portasse le stimmate. Dopo 9 anni di missione,
morì in mare mentre rimpatriava. Sepoltura, in mare! Aveva 53 anni.
Partii da Roma già abbastanza
equipaggiato. Tre libri importanti nelle mie valige[18]. A Brazzavile, comprai un quarto libro sulla
Missione dei Padri Spiritani: Jean Ernoult, Les
Spiritains au Congo de 1865 à nos jours. Matériaux pour une histoire de
l’Église au Congo.
Quattro libri, ad hoc, per il mio scopo, e
per le mie “curiosità” libresche. Il
più interessante, sicuramente, il libro del Filesi T.- Isidoro da
Villapadierna. Me li “sciroppai” tutti e
quattro. Quello del duo T. Filesi- Isidoro daVillapadierna, soprattutto. Una
miniera di notizie su quella che fu - sicuramente - la storia missionaria più
gloriosa, scritta dai missionari cappuccini italiani.
Un lungo articolo. Continenti, prima, L’Italia
Francescana (n° 1, gennaio-aprile 2002, pp.43-60), dopo, se ne fecero
tramite per i lettori delle due riviste.
Missio antiqua del Congo.
Cominciamo dall’antico regno di Loango,
punta ovest dell’attuale Congo-Brazzavile.
Qui la presenza dei missionari della Missio
antiqua fu quasi fugace. In effetti, vi lavorò, praticamente, un solo
missionario, Bernardino Ungaro, della provincia religiosa di Roma. Col suo
compagno il fratello Leonardo da Nardo, l’Ungaro vi mise piede nella prima metà
del 1663. Lavoro intenso, e senza sosta. Battezzò e unì in matrimonio il figlio
del re e un gran numero di cortigiani. In meno di un anno, 6mila battezzati e
molti matrimoni (Cavazzi). Causa siccità e carestia prolungate, e seguente caduta
di piogge abbondanti - tutto (creduto)
dovuto alle preghiera del confratello - , l’Ungaro si vide attribuito il titolo
di “Sacerdote della pioggia”. Il suo
cadavere – per paura di dissacrazione – fu gettato in mare (18.06.1664).
Altro vano tentativo, nel 1777.
Missio
antiqua del Congo, soprattutto: tutto l’ex Zaire (RDC), tutto l’ex Congo
Portoghese (attuale Angola). Territori
immensi. Difficoltà - fisico-sanitarie, tecnico-pedagogiche, ecc. - sovrumane.
440 missionari cappuccini. Vi si andava “per evangelizzare e per morire”. Così
si diceva in quel tempo. Duecento venti
morti, nei 190 anni effettivi della Missio
antiqua (1645-1835). Morti su terra, morti ( e sepolti!) in mare. Morto
trucidato, con cadavere che suda di liquido odorifero, Giorgio da Gell. Morti
avvelenati: Francesco Maria da Volterra
(1660); Stefano da Castelletto e Giacinto da Faenza. Questi ultimi, appena dopo
qualche giorno del loro arrivo, a Soyo (1777).
Quel Padroado
(Patronato d’Oriente) portoghese, che, talvolta, si trasformava in vera e
propria persecuzione; quelle poco edificanti presenze delle gerarchie civili e
ecclesiastiche, quella vita godereccia dei molti residenti bianchi. Quel problema
grave della “lingua naturale”. Quei
maestri-interpreti,
traduttori-traditori! Quei frequenti pericoli di cannibalismo (antropofagia)!
Dire Missio
antiqua - oltre che il numero delle vittime - significa anche cifre
mirabolanti di battesimi, matrimoni, confessioni, ecc. Emblematici i nomi di
Cherubino da Savona, considerato “il più grande missionario di tutti i tempi”:
700mila congolesi battezzati e 37mila coppie unite in matrimonio. Il tutto, in
tredici anni e mezzo. Girolamo da Montesarchio: 100mila battesimi, in 20 anni
(1648-1668). Media quotidiana: 400, 500 600…, fino 1070, “in modo che dalla
mattina alla sera non havea tempo di rifiatare” (una sua lettera).
Qualche altra cifra. Raimondo da Dicomano,
rimasto a Salvador dal 1792 al 1795, scrive di avervi battezzato 25mila
bambini. Luigi Maria da Assisi, nella sua “missione volante” di 10 mesi a S.
Salvador, nel 1814, battezzò 27mila persone e ascoltato circa 6mila confessioni!
Secondo studi fatti, la media annuale
scese di molto negli ultimi 35 anni (1800-1835). Ma le cifre sono là. Ogni
commento è difficile e imbarazzante. “Il dubbio che sorge spontaneo - sussumono
i due autori citati - è che, se sotto queste cifre grandiose […], potesse
nascondersi un cristianesimo del tutto superficiale”. - Sacramentalizzazione ad
oltranza? Ci si domanderebbe, oggi. Cito
ancora i nostri due autori: “Si badava forse più alla quantità che alla
qualità? Gli elementi che militano a favore dell’una o dell'altra
interpretazione sono vari e più o meno credibili”.
Altri tempi, altri metodi di
evangelizzazione. Figure poliedriche di missionari, rimaste scolpite nella
“memoria” storica delle moderne Chiese dell’ex Zaire, del Congo-Brazzaville e
dell’Angola.
Qualche nome. Bonaventura da Alessano,
Serafino da Cortona, Antonio da Gaeta, Francesco da Licodia, Giovanni Antonio
Cavazzi da Montecuccolo. Missionari dai notevoli contributi scientifico-linguistici,
sulle lingue kimbundu e kikongo. In primis, Bernardo Maria da Canicattì. Poi, i
nomi eccellenti di Bonaventura da Sardegna, Giuseppe da Pernambuco, Francesco
da Veas, Serafino da Cortona, Giacinto Brugiotti da Vetralla, Antonio Maria da
Monteprandone, Serafino da Cortona, Antonio da Tenuel... Contributi
storico-geografico-etnografico-antropologici, con la colossale opera di
Giovanni Antonio Cavazzi da Montecuccolo[19]. “Senza dubbio
l’opera più monumentale, più nota e più ricca di notizie e di osservazioni
d’ordine missionario, storico, tra quelle redatte dai cappuccini italiani del
Congo e dell’Angola” ( T. Filesi e I. da Villapadierna).
Il 7 maggio 1845, Bernardo da Burgo,
ultimo prefetto della “Missio antiqua”,
- in compagnia del fratello converso congolese Bernardo da San Salvador -
lasciava il Congo, imbarcandosi a Luanda. Conclusione di una storia di 190
anni. Con almeno 440 missionari cappuccini italiani che, - pur con i limiti
storici del tempo - avevano evangelizzato, il più delle volte mettendo a
repentaglio la propria vita, quelle immense regioni dei due Congo e dell’Angola
moderni.
Vari tentativi furono avanzati - dietro
solleciti di Propaganda Fide
(10.08.1854; 20.04.1865) - per
richiamare in vita la Missio antiqua.
Risposta negativa (definitiva) dei
Superiori Generali OFMCap, 31 luglio 1865.
Propaganda
Fide, con decreto del 10.08.1865,
affidava - con la stessa posizione giuridica e gli stessi diritti - l’ormai ex Missio antiqua alla Congregazione dello
Spirito Santo (Spiritani).
Il 14 marzo 1866, i primi padri Spiritani
sbarcavano a Ambriz, nell’attuale Angola.
Per
quanto riguarda l’ex regno di Loango, e l’attuale Congo-Brazzaville, la nostra
presenza di due anni, a SouanKé e Sembè, non fu vana. Oltre che lasciare
qualche piccolo “segno” sul posto, servì anche a smuovere le acque, in vista di
un ritorno definitivo dell’Ordine cappuccino, anche in questa piccola porzione
della Missio antiqua La nostra
partenza, effettivamente, risultò una chiusura provvisoria. La Provvidenza
pensò a trovarci degni epigoni, senza problemi di “lingua naturale”.
Da domenica 20 ottobre 2001 - dietro
mandato del Ministro Generale, John Corriveau, che accoglieva positivamente la
domanda di Mgr. Jean-Claude Makaya, vescovo di Pointe-Noire - la Vice Provincia
Generale del Congo (Kishasa) metteva piede - questa volta definitivamente - nell’altro
Congo (Congo-Brazzavile). Fraternità a tre. Chiesa parrocchiale di “St.
François d’Assise”, a Pointe-Noire.
In presenza del Vice Provinciale, Fridolin
Ambongo Besungu e del suo primo consigliere, Nadonye Jean-Bertin, il Vicario
Generale della diocesi congolese (Mgr Jean-Claude Makaia assente, causa sinodo
dei Vescovi, a Roma), istallava ufficialmente i Cappuccini a Pointe-Noire.
Un
vuoto (nostro quasi fugace passaggio, a parte) di 224 anni (1777-2001). Lunga
vita alla presenza cappuccina-congolese, in Congo-Brazzaville!
Madagascar: altre
sponde
L’Africa aveva dato un’altra pennellata alla
mia vita missionaria. La natura arci-ricca - in flora e fauna - della foresta
tropicale, mi aveva quasi ammaliato. La popolazione pigmèa mi aveva toccato un
po’ al cuore. La maestà fisica dei bantù non mi lasciò indifferente. I bisogni
dell’Africa, immensi.
Ci furono varie “sirene” che tentarono di
fermarmi sul suolo del continente nero. In primis il Generale d’allora che
pensava di spedirmi in qualche casa di formazione cappuccina dell’Africa
dell’ovest. Ma quell’infinità di dialetti (lingue?)! Pensate: a Sembé, omelia
in francese, bisogno di interprete, e la gente rideva; omelia, in lingala,
ancora interprete, la gente rideva, ancora. Traduttore – traditore! Morale
della favola: tutto doveva passare tramite la lingua-dialetto locale, già
differente a Souanké. Se fossi rimasto, mi ero già impegnato con la lingua
“baka” dei pigmèi.
Non più giovane per far fronte ad altri
inizi (in Africa – causa, soprattutto, i problemi linguistici appena accennati
- più difficili che altrove), feci subito richiesta ai Superiori (sia a Roma
che in Madagascar) di poter far ritorno nell’ormai mia seconda “patria”, e la
cui lingua ufficiale - compresi dialetti vari - era diventata da tempo la mia seconda
lingua. E, poi, quel bagaglio enorme di antropologia e cultura malagasy; quei
detti e quei proverbi, ormai “tandra
vadin-koditra” della mia vita (profondamente assimilati). Poi, non ultimo,
quella massa di giovani fraticelli malagasy, ancora imberbi, non troppo maturi,
ecc., a cui, forse, potevo essere utile, come zoky (fratello maggiore) e/o come ex mpanabe (educatore-formatore). Un insieme di cose e di
motivazioni, che pesavano sulla bilancia, e che pendevano - di nuovo - verso l’altra sponda, al sud dell’Africa.
Sette mesi e mezzo a Monte San Giovanni
Campano (Fr), in attesa della celebrazione del capitolo provinciale di Roma. Mi
godetti un po’ gli ultimi giorni di vita di mia madre Elisa, anche lei arci-felice
- dopo anni di assenza e visite triennali passeggere - di avermi accanto per
così lungo tratto di tempo.
2 marzo 2000. Pranzo di addio, nel
convento di Monte San Giovanni Campano. Alla fine del pranzo - quasi
scherzando, ma con voce chiara e alquanto sostenuta, (lo ricordo come fosse
ora, mentre stendo queste note) – mi dissi testualmente: - Adesso ci salutiamo.
Quando ritornerai, se mi trovi, bene; altrimenti, vieni a trovarmi, dove sto,
accanto a tuo padre!
Il 19 maggio seguente - in piena
celebrazione del giubileo dell’anno 2000 (unitamente a tutti i sacerdoti della
diocesi di Ambanja, guidati dal giovane Pastore Odon Marie Arsène Razanakolona,
vecchia mia conoscenza in quel di
Fianarantsoa), a Bemaneviky d’Ambanja - mamma Elisa se ne andò. Lo seppi
due-tre giorni dopo, di ritorno a Nossibe. Mamma della mia vocazione religiosa,
mamma e benefattrice della mia vocazione missionaria. Benedette mamme di
sacerdoti, di persone consacrate! Benedette mamme di missionari/e!
Il 14 marzo 2000 ero di nuovo nel
Madagascar.
L’apertura della nuova missione di Belo
sur Tsiribihina, in diocesi di Morondava, nel sud-ovest del Madagascar, era
nell’aria da qualche tempo. In attesa di una decisione finale, fui mandato dal
nostro Superiore d’allora, Pasquale De Gasperis da Castelliri (Fr), al nord del
Madagascar. Un anno a Nossibe,
fraternità “Mgr. Calliste Lopinot”, come incaricato di Nosy Komba, l’isola dei
Lemuri.
Un’esperienza indimenticabile. L’ habitat
paradisiaco dei lemuri con la loro visita quotidiana pomeridiana: quella
mezz’ora di “mu… mu”, sull’albero dell’ ylang-ylang, accanto alla grande
veranda della nostra casa, in attesa della rituale banana ; quel profumo
intenso degli ylang-ylang, da cui i vecchi missionari alsaziani avevano
estratto, fino a qualche decennio prima, e per quasi mezzo secolo,
probabilmente, migliaia e migliaia di litri di essenza; quei fondi marini
popolati di coralli di ogni genere, di tartarughe di mare che spesso le
vedevano galleggiare beatamente sulle onde azzurre del canale del Mozambico,
nei dintorni di Nossibe, Nosy Komba, ecc.; quel mare spesso minaccioso, ma
anche tanto attraente. Quella gente - soprattutto i pescatori - tanto
simpatica.
La nuova chiesa a Antitorona, la grotta di
Lourdes, le piantagioni di ananas, i fiori… Anche qui bei ricordi.
Belo sur
Tsiribihina
Fine aprile 2001, raggiunsi Belo sur Tsiribihina,
e vissi, quasi 4 mesi, con l’ équipe missionaria locale: un missionario della
Salette e un sacerdote diocesano. Presi contatto con la nuova realtà locale.
Il primo settembre 2001, la nostra
istallazione ufficiale da parte del vescovo diocesano, l’americano Mgr Joseph
Donald Leo Pelletier, ms. La popolazione locale si incuriosì subito dei nostri
sai cappuccini. Si attendeva da noi qualcosa di grosso e forse di nuovo, il cui
piano era già maturo nella mia testa. Lo rivelai subito al Vescovo diocesano:
al centro, ritorno delle Suore Francescane Missionarie di Maria alla gestione
della scuota, apertura del liceo, istallazione di una radio FM; nelle campagne:
scuola e scuole ad oltranza.
Équipe iniziale: il sottoscritto e tre
confratelli malagasy (due sacerdoti e un fratello laico).
Da una missione - Ivato Ambositra, ai
bordi della strada nazionale, strada asfaltata, molto frequentata, la strada
del sud dell’Isola - passavo ad una regione quasi completamente isolata, con
piste disastrate, con un grande fiume
(Tsiribihina) da traversare, fiume che durante la stagione delle piogge si
trasforma in mare aperto. Da una popolazione cristianizzata quasi al 100%,
passavo alla cura - a parte Belo-centro
- di una dozzina comunità più o meno vive, con chiese-cappelle, eccetto una
manata, quasi tutte fatiscenti.
Al centro, trovai la grande istituzione
scolastica “San Francesco d’Assisi” con i suoi 600 -700 alunni, dalla scuola
materna alla terza media. Scuola della Missione, sotto la responsabilità dei sacerdoti,
ma a gestione laica; scuola, che avrebbe dovuto funzionare, ma che in realtà
“girava” poco e male: diplomi facili, gestione del denaro poco chiara, serietà
morale e professionale a scappamento ridotto.
I problemi del distretto missionario erano
vari, e tutti di non facile soluzione immediata. Cominciai dal centro, dando,
come si dice, un colpo al cerchio, e un colpo alla botte.
Il livello di formazione dei maestri -
tutti figli della rivoluzione social - comunista di Didier Ratsiraka - era
preoccupante. Notai, fin dall’inizio, la mancanza quasi assoluta di libri, sia
per i maestri, sia per gli alunni. I maestri
andavano avanti (ancora) con i loro quaderni di appunti delle loro
scuole medie e del loro liceo.
Di qui, l’urgenza di libri scolastici e di
una biblioteca. Corsi di formazione intensiva, corsi di lingua francese
(tramite l’Alliance Française); apertura internazionale per maestri e alunni
(canale TV satellitare). Quasi uno shock per molti! Qualche maestro “marinò” i
corsi di lingua francese!
Si fondò una biblioteca, ben presto
fornita di qualche migliaio di libri, direttamente scolastici e non scolastici.
Il canale satellitare fu messo a disposizione di tutta la scuola. I maestri,
pian piano, si accomodarono ai nuovi ritmi di formazione.
Con l’aumento del numero degli alunni e il
miglioramento del livello scolastico, nel 2005, aprimmo anche il liceo. Mettere
fuori il direttore laico (oltre tutto, senza diploma adatto) non fu cosa
facile. La Provvidenza ci venne incontro con l’arrivo dell’attuale direttore,
il confratello P. Élisée Jean Philippe de Neri Ratoloniainomenjanahary[20], neo diplomato
nelle scienze della comunicazione all’università salesiana di Roma. Le Suore
Francescane Missionarie di Maria - da oltre trenta anni presenti in loco,
fondatrici della scuola, ma lontane da qualche tempo dall’istituto scolastico -
fecero ritorno all’ovile. La scuola ritrovò il suo nuovo soffio vitale. Dai
600-700 alunni del 2001, si passò ben presto alla bella cifra di 1500.
A Belo sur Tsiribihina-centro - grazie al
gemellaggio con le scuole elementari e
medie di Veroli (Fr), mio paese natale, e all’aiuto spicciolo di vari amici
benefattori (citazione a parte per una
cara famiglia di Carpi-Modena, la famiglia Anna Maria e Luciano Malagoli, mia
fedelissima e generosa benefattrice) –, ci fu possibile comprare libri,
costruire la biblioteca, e quattro nuove aule scolastiche.
L’aiuto importante da parte dell’“Église
en Détresse” e della Missione Francescana Tedesca (MFZ) ci permise di costruire
un magnifico salone di riunioni e di spettacolo. Con l’aiuto finanziario di “ Manos Unidas” di
Spagna, costruimmo un efficiente “foyer” per le ragazze. Un vecchio stabile fu
adattato per i ragazzi. Tutti studenti al “San Francesco d’Assisi”.
Nelle campagne s’imponeva una duplice
azione: culturale e direttamente evangelizzatrice.
- Dove cominciare? Pio XI diceva: prima
scuola, poi chiesa. Seguimmo tale tattica. Scegliemmo come motto-guida: scuola-passaporto-per-il
Vangelo e-per-la-vita. Mancando delle strutture scolastiche minime, lanciammo
il nostro programma-scuola e scuole ad oltranza, accogliendo i primi bambini
(scuola materna, età 3 anni e mezzo-4 anni ) nelle cappelle fatiscenti, dove
esistevano. Primo lotto di apertura: 8. Secondo lotto: 3. Si arrivò quasi
subito ad una popolazione scolastica di oltre 1.000 alunni. Le tasse
scolastiche, in pratica, coprirono, fin dall’inizio, le spese per i salari dei maestri.
Costruzione di nuove aule scolastiche.
Una a Berendrika, all’est di Belo sur
Tsiribihina, in direzione di Berevo -ai bordi del fiume omonimo. Qui, grazie agli
aiuti di una cara famiglia, la famiglia Raffaele e Fabiola Sbaraglia di Alatri
(Fr), mettemmo su piede - unitamente alla nuova cappella – una nuova scuola
(scuola materna e elementari), insieme ad un pozzo. Sorella acqua. Acqua =
vita. Fu il nostro motto.
La gente beveva l’acqua saporita e
profumata del fiume Tsiribihina (a noi familiare, soprattutto, per la doccia e per il caffè mattutino!).
Un’altra scuola - anche qui unitamente alla
nuova cappella - a Ambakivao, sul canale del Mozambico. Grazie al sostanzioso
aiuto d’una coppia di coniugi, Giuseppe e Laura Afferni, di Vespolate (No). Anche
qui -oltre la scuola-cappella - potemmo dotare d’acqua dolce e potabile tutto
il villaggio, che beveva acqua salmastra.
Nella costruzione di queste cappelle e scuole,
abbiamo sempre richiesto - come condizione previa, conditio sine qua non - la
collaborazione, in materiale locale e forza umana, della comunità locale
interessata.
Principio base: da parte nostra, “aiuto”,
ma non sostituzione tout court del carico
che doveva portare la popolazione interessata. In effetti, - esperienza insegna
- la collaborazione personale all’impresa, dovunque e qualsiasi essa sia, dà
valore aggiunto alla stessa opera e la fa sentire propria, garantendone
efficacia e perseveranza nel tempo. In tre-quattro casi, dovemmo far marcia
indietro e respingere le domande dei capi del villaggio e della popolazione.
Fu davvero duro mettere in moto
l’animazione di una popolazione abbandonata un po’ a se stessa. Ci appoggiammo
molto sulla collaborazione delle autorità civili e scolastiche locali, che
sollecitammo attraverso la radio locale, lettere, e i contatti personali.
Le scuole di campagna divennero presto
“mature” e cominciarono a sfornare alunni con diploma elementare BPC. Alcune
sono talmente cresciute (vedi quelle di Antsiraraka e di Masoarivo) che da
tempo fanno pressione per l’apertura, in loco, del CEG (scuola media). Tutto
questo senza dimenticare la scuola “San Francesco d’Assisi” di Belo sur
Tsiribihina-centro che sarà la prima beneficiaria della fioritura delle piccole
scuole di campagna. Effettivamente: scuole di campagna significò subito vivaio
per la grande scuola-liceo di Belo sur Tsiribihina-centro.
Dal punto di vista più strettamente
ecclesiale e civile cercammo di investire di responsabilità sia la sparuta
comunità cristiana sia la popolazione dei vari villaggi. Per i pochi cristiani,
motto-guida: Isika no fiangonana, antsika
ny fiangonana (Noi siamo la chiesa, la chiesa è nostra). Per tutti: antsika ny sekoly (la scuola è nostra). La scuola: parte
integrante della vita cristiana e della vita sociale, in genere. Cosa non
facile far entrare quest’idea vitale nella testa e nel cuore della gente,
attanagliata da ben altri problemi.
I frutti? I primi benefici sono stati per
le famiglie. Sono stati i nostri giovanissimi alunni che si son fatti piccole
guide dell’intera famiglia. Dal lavarsi mani e alla preghierina, prima dei
pasti, alla Domenica.
I frutti, in effetti, si sono visti anche
per le nostre cappelle. Dopo qualche tempo dall’apertura della scuola (aula
scolastica la stessa cappella traballante), le abbiamo viste riempite di adulti
e di giovani. Apostoli, ancora, i nostri piccoli allievi. In un luogo
(Masoarivo) esisteva una specie di cappella, una vera catapecchia. Vi trovai
letteralmente quattro vecchie signore. Tramite le Suore di San Pietro Claver di
Roma, potemmo costruire - oltre due pozzi - la nuova scuola e la cappella.
Quest’ultima si rivelò subito insufficiente!
Il
fiore all’occhiello
La modesta radio locale ci servì - oltre
che per i nostri programmi direttamente religiosi, tutti i venerdì sera - per
lanciare i nostri programmi scolastici,
e per l’animazione delle autorità civili e scolastiche locali e della gente
comune.
I mass media sono stati da sempre un po’
la mia passione. Li ho utilizzati quasi tutti: mini proiettori a pile, per
diapositive; il super 8 e il 16mm, per il cinema; i moderni video-proiettori
con schermi giganti.
Mi restava la radio. Come detto sopra, una delle tre priorità di cui parlai
subito al Vescovo diocesano. Un’impresa colossale, che fa venire i capelli
bianchi al solo pensiero della vastità dei problemi cui far fronte, sia per la
sua messa in atto e, soprattutto, per la sua gestione quotidiana.
Dove trovare i soldi per le
apparecchiature sì costose? É risaputo che dette apparecchiature radio non sono bruscolini (dicono a Roma).
Richiedono soldoni e tecnici specializzati di supporto, sia per l’acquisto del
materiale che per l’istallazione delle apparecchiature. Per quest’ultimo aspetto ci appoggiammo subito ai sacerdoti
Salesiani, già lanciati in radio locali e Radio Don Bosco d’Antananarivo (che
trasmette da anni, via satellite, su tutto il Madagascar). Collaborazione e
sostegno perfetto.
I finanziamenti? - Bussate e vi sarà
aperto! Bussammo, in primis - con semplicità francescana, ma anche con un di
po’ coraggio - ai nostri confratelli cappuccini francesi. Risposta quasi
immediata e positiva. I confratelli francesi ci garantivano l’acquisto delle
apparecchiature. Per le strutture murarie più essenziali (pilone per l’antenna,
studio e annessi vari), bussammo ai
nostri confratelli Cappuccini di San Giovanni Rotondo. Dimenticavo di dire che
alla Radio - fin dall’inizio - fu dato il nome di Filongoa Soa-P. Pio. I confratelli di Foggia furono altrettanto
solleciti nella loro risposta. La Provvidenza, per le cose belle, c’è stata e
ci sarà sempre!
Ci rimaneva la direzione tecnica e l’animatore
spirituale. Dovetti battermi un po’ con il nostro superiore provinciale locale
(Serge Rufin Andrianjava) dell’epoca, per avere la persona adatta. Alla fine la
spuntai.
Il confratello P. Élisée
Ratoloniainomenjanahary - di mia conoscenza, a Ivato-Ambositra, fin dall’età di
12 anni -, tornava in Patria, diplomato in scienze della comunicazione,
nell’università salesiana di Roma. Oltre la direzione del Liceo, si apprestò a
prendere in mano l’istallazione della Radio Filongoa
Soa – Padre Pio, e la sua direzione.
Un’altra provvidenza!
Ancora altra
sponda: Seychelles
Alla vigilia del lancio della messa in
opera di tutte le strutture, l’Obbedienza mi destinava all’apertura della prima
missione della Fraternità Cappuccina “San Fedele da Sigmaringen” del Madagascar[21] nelle isole
Seychelles (missione dei cappuccini savoiardi-svizzeri-sardi per oltre 150 anni).
Feci l’obbedienza con un bemolle. Due anni,
e poi ritorno “in patria”. Arrivammo là in tre (due sacerdoti e un diacono[22]), il 23 ottobre
2006. Il vescovo diocesano – Mgr. Denis Wiehe, Cssp, originario di Mauritius -
ci accolse nella splendida panoramica montagna del Beauvoir - La Misère,
affidandoci la cura del santuario nazionale, dedicato al S. Cuore, metà di
mega-pellegrinaggi annuali.
Ci demmo da fare per rimettere in onore - col
contributo dei due Comitati (pastorale e finanziario) - sia la
cappella-santuario, sia le celebrazioni annuali. Lanciammo l’idea di una nuova
grotta di Lourdes, meta di nutriti pellegrinaggi settimanali. Facemmo la nostra
piccola parte, sia nella collaborazione con i vari parroci (Mahé e Praslin),
sia nell’assistenza spirituale alle due comunità religiose locali, le Suore di
St. Joseph de Cluny e la congregazione delle Suore Filles de Marie-Suore de Sainte
Elisabeth (fusione 16 dicembre 1998), quest’ultime fondate dal Cappuccino
svizzero, Maurice Roh (ultimi mesi del 1939).
Seychelles:
Eden! È vero. Oltre Mahé - l’isola più importante, con la capitale, Victoria -
ho avuto la gioia di visitare cinque delle isole minori, tra cui quella di Bird
(l’isola degli uccelli).
Madre-Natura sembra si sia divertita a
spargere, a piene mani le sue meraviglie, su tutte le 115 isole e isolotti
(veri punti delle carte geografiche ufficiali): flora (tra l’altro, il famoso
cocco di mare) e fauna (in primis, la tartaruga
“Esmeralda” di Aldabra) da sogno; fondi marini da giardino.
I
due anni passati alle Seychelles mi permisero di ammirare - attraverso le opere
murarie e la comunità locale già ben solidamente affermata - l’immenso lavoro
fatto dai missionari savoiardi (1851-1922), prima, e svizzeri (1922-1995),
dopo. Rilevante, anche se breve (1989-1992), l’opera dei cappuccini sardi.
Attraverso i documenti storici, ho potuto ammirare l’immane opera pedagogica
dei Fratelli delle Scuole Cristiane (fine settembre 1867 - primi mesi 1876),
dei Fratelli Maristi (4 gennaio 1884 - 6 settembre 1946), i Fratelli
dell’Istruzione Cristiana di Ploërmel (21 novembre 1949 – 12 dicembre 1998).
Da parte delle religiose, immane il bene
operato dalle Suore St. Joseph de Cluny, nel campo dell’educazione, soprattutto
femminile, dal loro arrivo nell’Arcipelago (15 gennaio 1861; dieci anni appena
dopo la fondazione della Missione) fino alla nazionalizzazione delle scuole della
Missione (1977), opera del social-comunista France Albert René.
Immane la fatica (le lotte continue) dei
missionari, sia savoiardi che svizzeri, per l’affermazione dell’educazione
cattolica, soprattutto attraverso le scuole della missione, fondate, fin dagli
inizi, sulle isole principali di Mahé, Praslin e La Digue.
Per quanto riguarda le vocazioni locali,
grandi sforzi sono stati fatti sia per religiosi/e che per il clero diocesano.
Particolare attenzione - soprattutto con l’arrivo di Mgr. Denis Wiehe – ai
movimenti laicali moderni[23].
Il tempo disponibile, la mia curiosità
intellettuale e il sollecito di P. Egidio Picucci, direttore della rivista
missionaria dei Cappuccini italiani (Continenti),
per un articolo per la sua rivista, mi lanciarono, fin dall’inizio, in ricerche
storiche amatoriali sulla Missione delle Seychelles. Ricerche che si sono, col
tempo, allargate - dato il loro legame storico - alle isole Mauritius e La
Réunion, e alla chiesa anglicana. Il lavoro di ricerca mi ha fatto entrare pian
piano in tutto il fenomeno della politica coloniale franco-britannica
dell’oceano Indiano del tempo, con riferimento specifico alla tratta negriera.
L’articolo per P. Egidio Picucci ancora non l’ho fatto, ma il lavoro è molto
avanzato! Spero nella mano esperta di qualche confratello “storico” di professione,
per la messa a punto[24].
L’opera infaticabile dei missionari
savoiardi e, soprattutto, svizzeri, sono tuttora evidenti nelle bellissime
chiese e campanili, piazzati negli angoli più suggestivi delle isole di Mahé,
Praslin, La Digue. Menzione a parte per la cattedrale di Victoria e la
cosiddetta “Domus”, opera semplicemente monumentale, terminata fine anno 1934.
E poi quegli innumerevoli istituti scolastici, sparsi su Mahé e nelle altre isole principali. (istituti
– come già accennato sopra - nazionalizzati nel 1977). Il tutto, opera, per lo
più, di Fratelli laici di alto calibro intellettuale.
I Missionari svizzeri hanno segnato le
Seychelles, oltre che con pietre e cimento, con la loro intensa opera di evangelizzazione,
portata avanti - esito molto al dirlo - piuttosto
al singolare che al plurale (vita fraterna). Un limite che ha influito, probabilmente,
sull’”impiantazione” dell’Ordine nell’Arcipelago, e forse - con-causa anche l’isolamento
insulare - anche sul conflitto generazionale degli anni ’70-80. Grosso punto
interrogativo.
Dei Cappuccini sardi, devo ricordare, in
modo particolare, l’opera coraggiosa di Giulio Baldus nella conduzione della
rivista diocesana L’Écho des Îles.
Voce chiara e
potente
Fine Luglio 2007, visita lampo a Bel sur
Tsiribihina. Anteprima, a Tsaraotana, villaggio ai bordi del fiume Tsiribihina,
sulla strada di Berevo: inaugurazione di una nuova scuola, finanziata - tramite
di amici di San Giovanni Rotondo - da una banca dell’omonima cittadina
garganica. Celebrazione, solenne e alquanto extra, di un matrimonio di una
giovane coppia di fidanzati di San Giovanni Rotondo, super innamorati del Madagascar: Marianna e Sascha. Celebrante: P.
Elisée. Testimone: Vincenzo Sirizzotti. Invitati:
celebrante e testimone. Pranzo di nozze: il solito piatto di vary (riso). Macchina nuziale: un
vecchio rimorchio, trainato dal trattore della missione. Il tutto, 26 luglio
2007. A Praslin e Bird (Seychelles) ho benedetto due matrimoni di coppie
italiane. Tutt’altro contesto!
A Belo
sur Tsiribihina, l’opera-radio - insieme ad altre belle iniziative - erano già
in “gestazione” avanzata, al momento della mio trasferimento alle Seychelles.
Il confratello P.Élisée portò allegramente e felicemente (contrariamente - sono
obbligato a dirlo - a Ivato-Ambositra) a termine tutta l’opera di “gestazione”:
radio, scuole, chiese, ecc.
Attualmente il confratello - oltre che la
direzione della scuola-liceo, la cura delle scuole elementari di campagna, e
della radio FM - è impegnato nell’agricoltura e allevamenti e, soprattutto,
nella costruzione di un grande centro medico-chirurgico, finanziato da un ONG
belga (“Louvain - Coopération au Développement”), opera di cui la regione di
Belo sur Tsiribihina ne aspettava, da molti anni, la realizzazione, e di cui mi
ero già fatto promotore, anche attraverso la stampa.
Per il felice evento della “nascita” e per
il lancio ufficiale della radio Filongoa
Soa – Padre Pio,- seconda emittente cattolica del Menabe - ebbi la gioia di
assistere al felicissimo evento della
sua inaugurazione.
Il 27 luglio 2007 - in presenza del
Ministro Provinciale di Roma, fr. Carmine Antonio De Filippis, e del Segretario
Provinciale dell’Animazione Missionaria di Roma, fr. Franco Nicolai[25] - il vescovo diocesano, Mgr. Joseph Donald Leo
Pelletier, ms, benediceva solennemente la nostra Radio Filongoa Soa – Padre Pio.
Felici e benèfici inizi d’una voce ormai
di casa, in tutta la regione, e familiare a tutti, grandi e piccoli.
Ogni volta che torno in Italia, aprendo la
mia radiolina, ho l’impressione di essere investito da una valanga di onde che
sembrano quasi di voler far violenza sull’ascoltatore. Qui, no. Una sola voce
o, per esser più precisi, una voce e mezzo (il “mezzo” si riferisce alla radio
locale, veramente a scappamento ridotto).
Una voce chiara e potente, quella di Filongoa Soa –Padre Pio. Raggio di
diffusione sui 100 km, a linea d’aria, soprattutto verso il sud-est
Programmazione completa: catechesi e formazione cristiana, programmi culturali,
educazione civica, formazione sanitaria, ecologica, agricola; informazioni
locali, nazionali e internazionali, sport...
Il tutto, in una regione immensa e senza
strade. Nonostante l’arrivo del telefonino e dell’internet, la Radio FM Filongoa Soa-Padre Pio conserva sovrana
la sua posizione di guida e di punto di riferimento per una popolazione di
oltre 100.000 abitanti.
La
Radio Filongoa Soa-Padre Pio - grazie
all’aiuto sostanzioso della famiglia Frasca-Riccitelli, famiglia del compianto
confratello Carlo Frasca di Veroli (Fr)[26], aiuto giuntoci
tramite un giovane OFM, Mario Silvio Riccitelli, membro di famiglia – vive e
vivrà sogni tranquilli, almeno per qualche tempo.
Tramite questa sponsorizzazione, (un buon
gruzzoletto), di cui siamo sommamente grati alla famiglia Frasca- Riccitelli di
Artena-Roma, la Radio Filongoa Soa-Padre
Pio - oltre che il beneficio di un sostegno finanziario a lungo termine -,
ha potuto essere subito dotato di un
pezzo preziosissimo, atteso da lungo tempo: l’antenna parabolica, per il collegamento satellitare stabile con la
Radio Don Bosco dei Salesiani della Capitale (Antananarivo). Radio che - come
già accennato sopra - trasmette via satellite i suoi programmi (compresa la
Radio Vaticana) su tutto il Madagascar.
Salto di qualità, dunque, che sicuramente porterà i suoi frutti su tutta la
regione Menabe.
Ognuno
di noi carpisce il valore apostolico e culturale di un simile strumento,
possente e altamente performante. Pensate: 5 sacerdoti per meno di 2.000 cristiani
battezzati. Domenica e/o giorni festivi: un migliaio - sì e no, ma più no che
sì - di fedeli praticanti. Radio Filongoa
Soa: un solo microfono per 100mila anime, dalle 6 del mattino fino alle 22.
Tutti i giorni!
La bontà della cosa, non ci risparmia dal
considerare da vicino il suo costo: spese di gestione (pezzi nuovi, computer,
gruppi elettrogeni, carburante, salari del personale, ecc.) che si cifrano a più zeri. Soldoni - in ariary malagasy - a vari pacchetti. La propaganda
spicciola, gli annunci pubblicitari ecc., permettono di ricuperare qualcosa. Ma
siamo molto lontani dall’ammontare delle spese ordinarie e straordinarie cui si
deve far fronte, mensilmente. Si annunciano crisi di gestione economico-finaziaria
serie. Crisi già in atto, mi diceva
recentemente il confratello Direttore. Crisi, dovuta in gran parte all’aumento
dei prezzi della fattura dell’elettricità, dei pezzi di ricambio, e, anche, alla
diminuzione degli annunci pubblicitari, conseguenza della diffusione crescente
dei cellulari, anche nei fondi più reconditi delle campagne.
L’ultima sponda
Il 14 settembre 2008 - missione compiuta per
il Seychelles - ho fatto ritorno nel Madagascar. Nel frattempo la giovane
Provincia “Saint Fidèle” del Madgascar - dal 29.04. 2008 - è stata affidata a
Fr. Francesco Vinci di Siracusa, mio compagno di missione, a Ambositra.
Fine anno 2008, l’équipe iniziale, cui si
erano aggiunti, in seguito, altri due confratelli (un diacono e un fratello
laico), lascia definitivamente Mahé. Una mezza crisi, aggravata da altri
elementi. Ma, alla fine, Fr. Francesco Vinci vi trovò una soluzione. Oggi come
oggi, tre confratelli malagasy, tutti e tre sacerdoti, risiedono nella
Fraternità “San Pio”, a Beauvoir-La Misère.
Quanto al sottoscritto, in attesa di una
possibile destinazione e decisione ulteriore - nel mio cuore e nella mia mente
c’è stato sempre il desiderio di un ritorno in una vera zona di missione, possibilmente
da partenza zero -, per due anni mi sono adattato ad un lavoro piuttosto
intellettuale e di animazione spirituale, in una nostra casa alla periferia est
della Capitale, a Ambohimalaza, all’ombra dello studentato di teologia “Sain Laurent
de Brindes”, membro della fraternità responsabile del foyer “Sainte Marie des
Anges”.
Due anni molto intensi, appunto in attesa
della decisione finale sull’apertura di una seconda casa-missione nella diocesi
di Morondava, di cui mi ero fatto sostenitore già dai primi anni della nostra
prima fondazione a Belo sur Tsiribihina, di cui abbiamo lungamente parlato
sopra.
L’anziano vescovo, Mgr. Donald Pelletier,
ms, aveva già avanzato la sua richiesta ufficiale, nel mese di novembre 2009.
Il nuovo Vescovo, Mgr. Marie Fabien Raharilamboniaina, ocd, ha reiterato la
stessa richiesta. Il Definitorio Provinciale, fine giugno 2010, dava la sua
decisione ufficiale: semaforo verde per l’apertura della seconda casa, nella
diocesi di Morondava.
Oltre il servizio apostolico nel nuovo
distretto missionario e la presenza del nostro carisma francescano-cappuccino
nel contesto della vita consacrata locale, detta nuova fondazione sarà anche un
valido aiuto - come piede a terra - per i nostri confratelli di Belo sur
Tsiribihina, finora obbligati a trovare ospizio occasionale, bussando - a
qualsiasi ora - alle porte delle case religiose di Morondava, ormai quasi
indisponibili.
Il centro di detta nuova casa-missione,
Tanambao Marofototra, è situato a 15 km da Morondava-città, ai bordi della
strada nazionale Morondava-Mahabo, all’incrocio della strada (pista) che va
verso il nord, in direzione di Belo sur Tsiribihina, fino a circa 70 km.
Già abituato alle “fondazioni”, i
Superiori mi hanno affidato nuovamente quest’arduo compito. Dico “arduo” per
non usare un altro aggettivo. Senza contare l’età avanzata, effettivamente, si
tratta di partire da zero, sia al centro sia alla periferia. Una periferia (che
qui significa: aperta campagna, foresta, villaggi sperduti) ancora da definire
e dove quasi non esiste la pur minima struttura e traccia di vita cristiana.
Tutto da inventare, dunque: cappelle, scuole, catechisti, maestri,
collaboratori.
Come da esperienza ormai più che
trentennale, cominceremo dalle piccole scuole, e dai piccoli, che saranno i
nostri primi amici e battistrada-collaboratori di sfondamento.
Per cominciare, saremo in tre: un diacono,
un fratello (già mio compagno alle Seychelles), il sottoscritto. Inizi
forzatamente in sordina. Ma avremo bisogno, subito, di altre forze giovani.
La Provvidenza ci ha fatto subito un preziosissimo
regalo: le Suore MIC Missionnaires Immaculée Conception, (fondazione di origine
canadese), specializzate nella gestione delle scuole, che dal primo ottobre
p.v. saranno già a lavoro per le iscrizioni dei bambini della scuola materna e
della prima elementare, classi con le quali daremo inizio alla nostra Missione,
a Tanambao Marofototra di Morondava.
Oltre l’evangelizzazione, che passerà, soprattutto,
attraverso le scuole e la scolarizzazione tout court, avremo l’arduo compito
dell’animazione agricola, soprattutto la SRI (cultura intensiva del riso).
Avremo bisogno di terreno e di mezzi, ma
anche di tanto coraggio. Dovremo scendere nelle risaie, insieme con la nostra
gente. La riuscita, in questo campo dovrebbe, anch’essa, contribuire a dare
peso, quasi valore aggiunto, e “autorità” morale alla nostra presenza, in una
zona benedetta da Madre Natura: acqua, sole, terra ancora quasi vergine.
Culture del riso (senza parlare di manioca, mais, cocco, papaia...) fino a due-tre
raccolte l’anno. Le indimenticabili esperienze del SRI d’Ivato-Ambositra,
vorremmo portarle e attuarle, in pieno e
in comunione con la nostra gente, in questa nuova fondazione.
Avevo già programmato, dall’ottobre 2009, con
la benedizione dei Superiori di costruire, a Ambohimalaza (Antananarivo), una cappella,
un vero e proprio santuario mariano, con annessa grotta di Lourdes, in piena
foresta, a forma d’anfiteatro, che potesse accogliere circa cinquecento pellegrini.
Detto santuario - che credo fermamente sarà bene accolto dalla gente della
Capitale e farà tanto bene - porterà il nome di Oasis Notre Dame du Rosaire.
Al momento in cui scrivo queste note i
lavori sono in pieno corso. Le pareti interne saranno ornate di artistiche pitture
dei tre grandi promotori del Rosario (San Luigi Grignon di Monfort, Beato
Bartolo Longo, San Pio da Pietrelcina) e dei quattro Beati della Chiesa
Cattolica nel Madagascar. Ci sarà anche il Beato Giovanni Paolo II. Totus tuus! Papa, innamorato della Madonna
e del Rosario.
Il 12 dicembre 2010: l’inaugurazione.
Il tutto sarà a ricordo di due carissime
persone della mia famiglia d’origine, compagne fedeli e benefattrici generose, per
anni, della mia ormai lunga vita missionaria.
Per la giornata mondiale delle Missioni
(24 ottobre 2010) - in presenza del nostro provinciale, Francesco Vinci, di
molti nostri confratelli - il nuovo Vescovo diocesano, Mgr. Marie Fabien
Raharilamboniaina, ocd, ci presenterà ufficialmente alla comunità locale,
sicuramente curiosa dei nostri sai cappuccini, curiosi sicuramente anche di
vederci all’opera, tra di loro, con il nostro stile francescano-cappuccino. Le
autorità locali, clero e religiosi/e i cristiani di Morondava, rappresentanti
delle comunità cattoliche e delle Chiese cristiane sorelle di Morondava e
dintorni, faranno sicuramente corona alla comunità di Tanambao Marofototra.
Quest’ultima, sicuramente felice del privilegio di aver una comunità religiosa
di Frati Cappuccini, tutta per loro.
Ci si richiederà fede e coraggio. Partenza
zero - come già detto - su tutta la linea. Tutto da inventare.
Il nuovo distretto missionario, nel suo
insieme, e la futura chiesa del centro - accordo già avuto dal Vescovo diocesano.-
saranno messi sotto la protezione di San Pio da Pietrelcina. Sarà la prima
chiesa a lui dedicata, in tutto il Madagascar.
Il Santo Confratello ci sarà modello
permanente di ardore apostolico e d’illuminata ricerca del bene materiale e
spirituale della nostra gente, in questa seconda fondazione cappuccina, nella
regione del Menabe.
Conclusione della “memoria”
-Tutto perfetto? - Lungi!
La Chiesa, nella liturgia, ci fa quotidianamente
coniugare due verbi: magnificare (Magnificat)
e confiteri (Confiteor). Due verbi
molto francescani.
Il famoso missionologo svizzero, il
cappuccino Walbert Bühlmann, parlava di una duplice missione da parte del/la
missionario/a “ad Gentes” : in primis, missione “ad intra” (animazione delle
proprie fraternità, delle proprie comunità, e chiese locali, di origine, di
partenza), e missione “ad Gentes” tout court, poi.
Se queste linee fossero - sia pur
modestamente - occasione di aiuto
all’approfondimento della nostra vocazione missionaria battesimale, sia
all’origine - per giovani, soprattutto -, anche di qualche nuova vocazione speciale,
sacerdotale-religiosa-missionaria, o nascita di qualche nuovo gruppo
missionario avrebbero, già, raggiunto pienamente il loro scopo.
Antananarivo (Madagascar)
Edizione finale, in data 20 settembre 2010
Fra Vincenzo Sirizzotti. OFMCap
AGGIORNAMENTI.
Nuovissima fondazione missionaria:
Tanambao Marofototra, Morondova, Madagascar
Fatta l’inaugurazione del santuario
mariano Oasis Notre Dame du Rosaire, -
con la partecipazione dell’Arcivescovo della Capitale malagasy, Mgr Odon Arsène
Razanakolona, mia vecchia conoscenza nella diocesi di Fianarantsoa, che
considera subito l’opera come una benedizione per l’arcidiocesi d’Antananarivo,
il 12 dicembre 2012 – il 14 dicembre ero già in viaggio verso Morondava. Due
confratelli malagasy - già dai primi di settembre 2010 - mi avevano preceduto
in questa nuova sponda della mia missione di Tanambao Maoroftotra, nella
diocesi di Morondava, regione del Menabe, sul canale del Mozambico.
Nuovissima missione !... veramente
PRIORITA’ ASSOLUTA
Tutto da inventare, ma priorità assoluta alle
piccole SCUOLE, soprattutto di campagna.
Il 26 marzo 2011 - sotto la presidenza del
giovane Vescovo diocesano, Mgr. Marie Raharilamboniaina, ocd, le cui priorità
pastorali diocesane sono appunto scuola e scuole - lanciammo il nostro
programma “Scuola e scuole a oltranza”, chiamando a raccolta tutti i
responsabili civili della regione. Un successo!
Di scuole, per ora, ne abbiamo già aperte
tre, nella povertà più assoluta. Puntiamo su una diecina.
Dal Belgio, l’Associazione (OFS) MADA QUATRE,
ci dà già una mano, ed è pronta a sostenerci per creare strutture complete per
un centro scolastico per elementari, a Andranomena a circa 20 km dal centro della missione, ai
bordi della pista, verso Belo sur Tsiribihina.
Al centro abbiamo già realizzato un primo
lotto, per una scuola elementare completa e che porterà il nome “Laurent e
Hélène Botokeky”. Quattro belle e spaziose aule scolastiche. Scuola già ben
lanciata (circa 120 alunni, per cominciare), scuola gestita, sotto l’aspetto
economico-pedagogico - in collaborazione con le nostre Suore MIC (che ci
aiutano anche per le scuole di campagna). Un grazie sentito all’OPAM che ci ha aiutato
per banchi, tavoli, armadi e scansie.
Prima nuova chiesa. Cantiere già in stato
molto avanzato. Piccolo stop, a causa della stagione delle piogge. Chiesa, in
onore della Madonna delle Lacrime di Siracusa, finanziata da Mons. Pasquale
Magnano, un sacerdote di Siracusa, ex rettore dell’omonimo santuario aretuseo.
Inaugurazione prevista per il 2 settembre 2012. Per l’occorrenza - in
concomitanza con le celebrazioni in Siracusa - si profila una nutrita presenza aretusea
nel Menabe.
Progetti:
una chiesa (al centro) in onore di San Padre
Pio da Pietrelcina (ora preghiamo riparati da un gran tetto di paglia,
sempre con la paura che qualche ciclone ce lo spazzi via!), e un salone di
riunioni (cultura e ricreazione) in onore del Padre Mariano Paolo Roasenda da
Torino, il predicatore della TV italiana degli anni 60-70, oggi Venerabile, in
attesa della Beatificazione.
Sogno (anche): l’apertura di un
dispensario. Da mettere sotto la protezione del Beato Giovanni Paolo II.
Abbiamo già delle Suore pronte a portarlo avanti. Presi contatti per la ricerca
di eventuali sponsor, sia per la chiesa centrale (San Pio) che per la sala
multiuso e il dispensario.
In vista di una testimonianza credibile di
amore al lavoro per i nostri confratelli malagasy, in vista anche di una educazione al lavoro per la nostra gente -
dietro aiuto dei nostri fratelli cappuccini di Francia - abbiamo acquistato 12
ettari di terreno, da destinare in parte a rimboschimento di essenze pregiate
locali, alberi da frutta (soprattutto mango), manioca e altri prodotti destinati all’alimentazione, quale
complemento del famoso piatto di riso quotidiano.
Davvero notevole la precarietà della
nostra vita quotidiana: acqua potabile e doccia a 150 m. dalla casa. Traino:
carriola. Acqua per servizi igienici: pozzo provvisorio, acqua tirata con corda
e secchio. Illuminazione: candela e torcia a pile.
Segnaliamo
le seguenti URGENZE:
Pozzo e castello per l’acqua. Istallazione di un sia pur modesto impianto
fotovoltaico. Terreno di basket per i nostri bambini della scuola e per la grande
massa dei nostri giovani. Li aiuteremo
subito con DVD. Per il momento, nella sala spettacolo esistente: la nostra
chiesa in paglia[29].
MISSIONE P.
Vincenzo Sirizzotti, in MADAGASCAR
INDICAZIONI
UTILI
Per
il dispensario,
Referente: Dott. Passi Mauro, Via della
Repubblica,2 - 03029-Veroli (Fr). Cellulare: 331.309.74.00. Email:
mauropassi@hotmail.com
Per il tutto.
Referente: Fr. Luca Casalicchio, procuratore
missioni cappuccini romani, Via V.Veneto, 27 – 00187 Roma. Cellulare:388.858.09.52
email:
roma.missioni@fraticappuccini.it
Mass
media, Locandina
“verde” e sito web: sosbaobabmakisos
In Italia.
5 x mille, pro missionari cappuccini romani, ONLUS
C.F.
975448700588.
Conto corrente bancario: Monte dei Paschi di Siena, filiale n°
8682 di Roma. IBAN: IT97R0103003268000001613981
In Madagascar
Tel. 00261.33.19.138.03 o
00261.34.96.447.89
Indirizzo postale: P. Vincenzo
Sirizzotti, BP. 132 – 619 MORONDAVA Madagascar.
Conto corrente bancario: BFV-SOCIETE
GENERALE, sede di Morondava 619. Titolare:
ECAR EGLISE SAINT PIO MORONDAVA.
IBAN: MG4600008007700500400630402.
BIC BFAVMGMG
***
GRAZIE VIVISSIME a AMICI e BENEFATTORI
***
Grazie sentite a Fr. MARCO PALMERANI per la
sua preziosa collaborazione tecnica.
Roma Verano, 22 maggio 2012
[1] Madagascar
1932-1975 ; ex missionario in India, uno dei primi battistrada alsaziani, al
momento del cambio di guardia Spiritains (Cssp) - Capucins di Strasbourg, nel
lontano 1932, e che aveva convissuto - da primo attore - con l’ancora giovane
comunità sakalava-tsimihety. Prefetto Apostolico (14.06.1938), Vicario
Apostolico (08.03.1951), Vescovo residenziale d’Ambanja (14.09.1955 - 05-06.1975). Nel 1975, fu nominato
Amministratore Apostolico delle Isole Comore. Si è spento a Strasbourg, + 10.02 1987.
[2] Arrivo in Madagascar, 31 marzo 1983, entrato
in carica del detto Centre hansénien St
François, nel 1988, maremmano di Pianzano (Vt) con diploma di Infermiere
Professionale.
[3] Il confratello
- vero “questuante” delle missioni “ad Gentes”, dalla parola facile e
convincente -, sapeva toccare il cuore dei suoi amici benefattori, soprattutto
nelle sue omelie di animazione nelle
“giornate missionarie” che lo
ospitavano nelle parrocchie (anche fuori del Lazio) o nelle chiese dei conventi
dei Cappuccini del Lazio. Il confratello si spense a Roma il 3 agosto 2008.
[4] Il confratello P.
Pasquale De Gasperis (fu anche Vicario Generale della diocesi d’Ambanja), era
stato trasferito, nel mese di ottobre
2011, nella piccola isola di Nossibe, nel nord-ovest del Madagascar, con compiti ancora molto impegnativi (costruzione di una grande
chiesa - da dedicare a San Pio da
Pietrelcina - nell’ “isola dei profumi”; casa dell’Ordine,
nella nuova fondazione cappuccina, a
Antsiranana. Durante la visita pastorale del vescovo diocesano, Mons.
Saro Vella, salesiano di Sicilia, nell’isola di Nossibe - consunto dal lavoro, compianto da tutti - si
è spento, il 15 aprile 2012. Le sue spoglie mortali riposano a Ambanja, accanto
alla chiesa cattedrale, di cui era stato parroco.
[5] Oggi alla soglia
dei quaranta.
[6]
Mi permetto
di dare il quadro completo dei missionari Cappuccini Romani: Ignazio d’Ercole,
Carlo Frasca, Ambrogio Artuso, Franco Nicolai, Pasquale De Gasperis, Enrico
Ranaldi, Massimino Faenza, Giuliano Giorgi, Roberto di Fabio, Antonio Pazienza,
Marino Brizi, Stefano Scaringella, Ilidio da Luz Ramos, Alessandro Munari.
[7] La
cui prima pietra fu benedetta da Mgr. Adolphe Léon Messmer, allora Prefetto
Apostolico d’Ambanja, il 19 maggio 1949.
[8] Il confratello, arrivato nel Madagascar nel 1984,
lavorò – sempre generosamente – a Maromandia e, poi, più a lungo, a Befandriana Nord.
Famose le sue “tournées” a piedi. Morì a Antananarivo, colpito da tifoide non
curata in tempo, il giugno 1998.. Le sue spoglie mortali furono riportate in
Italia. Fu sepolto nel cimitero del suo paesino natale, Montorio Romano (Roma).
[9] Il venerato
confratello - oltre che “curé” d’Antsohihy
- è stato il primo “curé” cappuccino della parrocchia “St. Jean
Baptiste” d’Ambohimalaza-Antananarivo, educatore nello studentato cappuccino
d’Ambohimalaza-Antananarivo. Intelligenza sveglia e acuta. Sostegno spirituale
delle Sorelle Clarisse. In data 5 settembre 2010, si è spento a Antsirabe, dove
è stato per lunghi anni tra i zoky (fratello maggiore) della
fraternità dello studentato di filosofia.
E’sepolto
nel cimitero dei Cappuccini, a
Antananarivo-Ambohimalaza.
[10] Dal primo dicembre 1946, la Prefettura
Apostolica d’Ambanja era stata messa sotto la protezione del protomartire di
Propaganda Fide, il cappuccino svizzero, Fedele da Sigmaringen. La Vice
Provincia “Sait Fidèle de Sigmaringen de Madagascar” sarà proclamata
all’occasione della visita del Ministro Generale, Flavio Carraro, il 21 agosto 1987.
[11] Giunto
a Madagascar, in data 15.09.1981; + a Ambanja, 22.07.2010. Fu sepolto nel
piccolo cimitero, accanto alla chiesa cattedrale d’Ambnaja.
[13] Dati i ritardi di
esecuzione del progetto, il piccolo fondo l’ho destinato al primo lotto di aule
scolastiche del centro della mia nuova missione, Tanambao Marofototra, a Morondava.
[14] Futuro vescovo di
Arezzo, Cortona, San Sepolcro (08-06-1996 – 25-07-1998) e di Verona (25.07.1998
– 08.05.2007).
[16] Suor
Rita Pia, superiora, infermiera-ostretica; Suor Pier Domenica, tutto fare; una
Suora camerunese, Sylvie, unitamente ad una volontaria laica, della svizzera
italiana, Poncini Anita, loro benefattrice e aiutante di campo.
[17] Contatti
recentissimi con la Casa Madre “Assisium” di Grotta Rossa di Roma mi confermano
la continuazione della Missione di Sembé. Suor Rita Pia e Anita Poncini sono
ancora in loco. Suor Pier Domenica è da un anno in Italia per motivi di salute.
Suor Sylvie sarebbe in Cameroun, vittima d’un grave incedente automobilistico
in cui ha perso la vita la Vicaria Generale della Congregazione.
[18]
Carlo
Toso, Il Congo, cimitero dei cappuccini nell’inedito di p. Cavazzi ;
Teobaldo Filesi-Isidoro da Villapadierna ,
La Missio antiqua dei Cappuccini nel Congo (1645-1835); Lorenzo da Fara, La Missione dei Cappuccini veneti in Angola.
[20] Nel Madagascar, praticamente non esistono i cognomi.
Si tratta di nomi veri propri - cui spesso si aggiungono quelli del battesimo -
messi dai genitori al momento della nascita
[22] Più tardi si
aggiunsero un diacono e un fratello laico.
In tutto arrivammo ad essere in cinque
[23] Nota a parte merita l’OFS (l’ex TOF-Terz’Ordine
Francescano), che beneficiò dell’opera pastorale notevole, soprattuto, di due
grandi Pastori: Mgr. Symphorien Mouard, savoiardo (Vicario Apostolico,
1882-1888); Mgr. Marcel Olivier Maradan, svizzero (Vescovo, 1937-1972). L’OFS era presente
tutte le comunità parrocchiali delle Seychelles. Al nostro arrivo trovammo
silenzio quasi assoluto. Dappertutto.
[24] Il
lavoro, fine febbraio 2012, è stato affidato alle cure del confratello
cappuccino Salvatore Vacca, direttore della Rivista Lauretianum del Collegio internazionale dei Cappuccini in Roma e vice preside della scuola
teologica di Palermo.
[25]
Il
confratello, ex missionario del Madagascar, delle isole Comore e del Congo-
Brazzaville, il 17 di ottobre 2010, alla soglia di quasi 70 anni, rivedrà il
suolo d’Africa, nella missione cappuccina del
Benin - missione fondata dai confratelli cappuccini
delle Marche -, seguito, il 19 ottobre 2011, dal giovane Fra Alessandro Di Blasio.
[26] Come
detto sopra, tra i quattro missionari cappuccini romani del primo scaglione,
partito per la missione del Madagascar, nel novembre 1967.
[28] Motto-vita di Felice da Cantalice (“Frate-Deo gratias”), primo santo della
Famiglia francescana dei Cappuccini, di cui ricorre quest’anno il 300°
anniversario della canonizzazione (22 maggio 1712 - 22 maggio 2012).
[29] Questi aggiornamenti, insieme alle brevi note a piede
di pagina, sono state introdotte in Roma-Verano, in data 15 maggio 2012. Chi
desiderasse avere queste note (Appunti di
vita missionaria) via email, può
rivolgersi a fr. Luca Casalicchio o al sottoscritto, Vincenzo Sirizzotti,
secondo gli indirizzi di posta elettronica indicati nella pagina che segue.
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