martedì 15 maggio 2012

APPUNTI di Vita Missionaria


VINCENZO SIRIZZOTTI





APPUNTI di Vita Missionaria


Da una sponda
all’altra


A mia madre ELISA




Missione “ad Gentes”


Da una sponda all’altra

     La storia delle Missioni “ad Gentes”.
     Una specie di filmato, a scene continue, fatte di piccole o grandi “storie” degli attori stessi della Missione. Vescovi, Sacerdoti, religiosi/e, laici, che si fanno scrittori, direttori, sceneggiatori, attori di questo grande film che è la vita stessa delle persone, della Chiesa e delle Chiese, a cui sono inviate, della gente che incontrano sui loro passi.
     Queste persone“tuttofare” sono inviate, in primis, per l’annuncio del Vangelo, l’annuncio della Salvezza, la liberazione dalle varie schiavitù, al seguito del Cristo, il primo Evangelizzatore del Padre e dello Spirito, il sommo Liberatore dell’umanità. Sono inviate alla salvezza integrale dell’uomo. Come diceva Paolo VI°: salvezza di ogni uomo e di tutto l’uomo.
     Lo Spirito del Signore guida alla Missione, ispira in continuazione gli operatori dell’evangelizzazione. Ispira anche, sotto la spinta dei segni dei tempi, i modi e tempi di passare all’atto e di testimoniare all’uomo e alla donna concreti l’amore del Padre. Da aggiungere i carismi, le sensibilità, le capacità intellettuali e pratiche, il livello spirituale, l’ardore apostolico, i compagni di avventura.
     La mia lunga esperienza missionaria  ben trentasette bugie, l’11 ottobre 2010, al  momento in cui mi accingo a stendere queste note ) mi ha fatto conoscere persone che si son trovate coinvolte in avventure esaltanti che non erano sicuramente nella programmazione dei singoli, almeno al momento dell’invio in missione o dell’entrata in scena, in loco.
     In questa variegata scena della Missione, ogni attore scrive e fà la sua parte: fondatori di comunità cristiane, fondatori di scuole, di chiese, di ospedali, di dispensari, orfanatrofi, creatori di centri professionali, di aziende agricole, di università, ispiratori di movimenti ecclesiali, di istituti religiosi. Gente talmente impegnata nel sociale, nella difesa dei più piccoli, che si fa espellere dal Paese, pur di non lasciarsi mettere la “museruola” alla bocca. Gente che, per questo, ci ha rischiato e/o ci ha rimesso la vita.
    La storia della Missione è arcipiena di queste “storie”. Ogni Missione ha la sua storia e le sue “storie”.
     Qui, in Madagascar, scelgo due figure, totalmente contrapposte.
      L’una: il gesuita Silvain Urfer. Già attivo nel sociale, in Tanzania, dove pubblicò libri, che non piacquero a tutti, tanto che si disse che fu espulso dal Paese. Venuto, in Madagascar, da anni tiene la “sua” battaglia, tanto che il 10 maggio 2007 fu espulso malamente dall’allora Presidente della Repubblica, Marco Ravalomanana. Solamente con la caduta di quest’ultimo (moti popolari, guidati Andry Rajoelina, nei primi mesi del 2009) il gesuita ha potuto rimettere piede in Madagascar. In data 26 aprile 2009, eccoti un altro suo libro (“La crise et le rebond”), dove attacca il governo di transizione in carica. Una vocazione anche questa!
      L’altra figura :  Pedro Opeka, lazzarista, sloveno, di origini argentine.
      L’Opeka, stimolato dalle varie e multiforme “miserie” della Capitale (Antananarivo), - da oltre un ventennio, esattamente dal maggio 1989 -, ha messo su la sua Associazione Akamasoa (amico buono), e si è trasformato in un vero costruttore immobiliare (sociale), salvando migliaia e migliaia  di famiglie dall’immondizia e dalla fame. Due grandi centri “residenziali”, tutti e due chiamati Akamasoa. L’uno, a Andralanitra (Antananarivo-città). Sulla cima di una collina si stagliano, ben allineate, centinaia e centinaia di piccole casette, che, viste da lontano, sembrano costituire un immenso alveare. L’altro centro è a Ankazobe, al nord della Capitale. Si parla di mille piccole abitazioni costruite, tre mila operai fissi, 10.000 alunni (dalla scuola materna al liceo), una popolazione di 17mila anime.
     Idea – guida: non tanto elemosina, ma piuttosto ricupero delle persone, coinvolgendole nello stesso progetto Akamasoa, creando lavoro e sollecitando iniziative personali per rientrare, in maniera dignitosa, nel “privato”, quanto prima possibile.
     Agli inizi – sotto il regime Ratsiraka – non ebbe vita facile il lazzarista. Lo si rimproverava di intrusione nell’area dello Stato. Ma il motivo ultimo erano i soldi che i bailleurs de fonds e i vari ONG ormai indirizzavano totalmente all’Associazione Akamasoa.

Ambanja: missione cappuccina (1932)

     Per quanto riguarda i miei confratelli, sempre nel Madagascar, - pur col massimo rispetto per tutti, senza distinzione -  potrei  citare tre casi. Tre carismi, tre segni dei tempi seguiti.
     Il compianto confratello Norbert Meyer, cappuccino di Strasbourg, missionario in Madagascar, dal lontano 1937.
     La regione d’Ambanja - fino agli anni 1940-1960 - era vittima della terribile malattia della lebbra. Varie le cause. Il confratello alsaziano seppe “leggere”, in tempo, i segni dei tempi.
     Nel 1953, il via. Vescovo della diocesi Mgr Adolphe Léon Messmer[1]Nasce il “Centre hansénien St François”. Opera di Norbert Meyer e del Dott. Roger Lehmann, che coinvolgerà sua moglie Elisabeth e i suoi stessi figli. La famiglia Lehmann darà al Centre hansénien St François la bellezza di venti anni di servizio amoroso.
     Franca e efficace la collaborazione delle Suore Francescane di Notre Dame de Blois.
     Il lebbrosario d’Ambanja nasce con una duplice sede: Pavillon hansénien, in città (dépistages, cure, ecc.), Village d’accueil (accoglienza dei malati mutilati, ecc.), a 4 km, in piena campagna, su un terreno di 40 ettari, messi a disposizione da una “Compagnie” del luogo, commerciante di prodotti tropicali. Al villaggio – in seguito – sarà dato il significativo nome sakalava di Mahajanga (luogo che guarisce, ridà salute).
     Collaboratori finanziari e tecnici: Stato malagasy  e Istituzione “Raul Follereau”. Benefattori benevoli, fin d’all’inizio. Nel 1960, il Centre hansénien St François viene dichiarato “Oeuvre territoriale”.
     Dal punto di vista sanitario, il Dott. Lehmann sarà rimpiazzato dal Dott. Lezoma, a sua volta sostituito dal confratello medico Stefano Scaringella, dal 1988 (data della fondazione del “ Bloc Chirurgical-St Damien”) ai nostri giorni.
     Per quanto riguarda l’amministrazione finanziaria e l’animazione spirituale, Norbert Meyer rimarrà al timone della sua opera, fino alla vigilia del suo decesso (+ 23.11.1983).
     Norbert Meyer. Una figura gracile, muscoli e pelle, forse una quarantina di kg di peso. Un cuore grosso quanto una montagna!
     Nello spazio d’una cinquantina d’anni, il terribile male è quasi scomparso dal nord della Grande Isola. “Circuits-lèpre”, con depistaggi sistematici, e cure in loco. Cure intensive, in tempo.
     Le statistiche annuali attuali segnalano appena una trentina di nuovi casi. Lebbra che non fa più paura. Malattia che non sa più di vergogna. I malati non vengono più nascosti. Lebbra che non mutila e non sfigura più, come negli anni andati. Vantaggi socio-economici enormi. Anch’essi da mettere in conto. I nuovi casi, in effetti, non richiedono le cure e le spese di una volta!
      Battaglia quasi vinta, dunque. Tanto che il successore di Norbert Meyer, il confratello Marino Brizi[2] ha dovuto “riciclare” se stesso e molte strutture dell’ormai vecchiotto lebbrosario, aprendo il tutto alla cura e prevenzione dell’altra grave malattia che (ancora) colpisce detta regione: la tbc.
     Nuove modeste strutture, per cominciare. Centro TBC, Pavillon Elisabeth et Roger Lehmann, nel 1994. Opera di lotta contro il BK, attualmente integrata nel “Programme National de lutte contro la Tuberculose”. Statistische recenti segnalano: quasi duecento nuovi casi di tbc, all’anno. Una trentina di collaboratori (salariati). Laboratori con strumenti di punta. Farmacia e dispensario. Scuola per i bambini, nati nel villaggio – lebbrosario. Un discreto budget annuale.
     Una bella “storia” quella di Norbert Meyer e del suo amico-collaboratore Dr. Roger Lehmann!  Storia che continua, sempre a Ambanya.
     Stefano Scaringella - diplomato-laureato dell’Università Cattolica di Roma, arrivo in Madagascar 20.09.1983 - e il suo grande Centro Medico-Chirurgico “San Damiano” d’Ambanja, a cui collabora, puntualmente e con efficacia - oltre le Suore Francescane de Notre Dame de Blois e alcuni confratelli malagasy , il confratello Alessandro Munari di Latina (arrivo in Madagascar, 28.06.2002), più volte, vittima di attacchi banditeschi, che ne hanno messo in pericolo perfino la vita.
     Intuizione geniale, realizzazioni coraggiose, conduzione a tutta prova, quelle dello Scaringella. Il confratello medico chirurgo ha saputo leggere, in tempo, - forse anche aiutato dalla sua precedente esperienza africana (maggio 1980-luglio 1983) di Libenge (regione Équateur, Nord RDC, ex Zaire) - il sitz im leben della Chiesa e della regione, che il Signore della messe, gli affidò circa un trentennio fa.
     Dal 1988, al 1991, fu esimio collaboratore di Stefano Scaringella un chirurgo d’eccellenza: il Prof. Albert Zafy, futuro Presidente della Repubblica malagasy (1992-1996).
      Tappe principali. 1988: data di fondazione. Strutture: una sala operatoria, ambulatorio, laboratorio analisi, radiologia, servizio di odontoiatria, 45 posti letto. 1992: seconda sala operatoria, sevizio di oftalmologia, 62 posti letto. 2004: aggiunta di sala parto, sala maternità, 100 posti letto.
     Il tutto per malati che vengono, spesso, anche da molto lontano: 250-300 km, al sud; 100-230 km al nord.
     Prevenire, si dice, è la medicina migliore. Un’équipe sanitaria mobile (medico, ostetrico, specialista in laboratorio analisi), ogni anno, fa visita “a domicilio”, per donne incinte e bambini da zero a 54 mesi. Nel 2009, - in 12 comuni - l’équipe ha visitato 4.420 donne, in stato interessante. Distribuito latte a 13.960 bambini. Cifre che parlano da sole!
     Personale salariato: 110, di cui 17 infermieri, e 4 medici.
     Budget annuale, in Ariary malagasy, da molti zeri. In Euro, Alessandro Munari – bilanci redatti con pazienza e precisione certosina -  mi ha dato le seguenti cifre : entrate locali 163.836 € ; doni vari dall’estero : 216.206 € ; uscite totali : 383.386 €.
     Fin dall’inizio si è voluto evitare l’assistenzialismo tout court. Tuttavia, circa un 40% dei malati - causa povertà estrema - vengono curati gratuitamente.
     Il Centro Medico “San Damiano” si regge con aiuti finanziari esterni, più o meno aleatori. Tanto che lo Scaringella, ogni anno, si deve “sciroppare” ore e ore di aereo (e di treno) per “questuare”, a destra e a sinistra, euro, dollari o franchi svizzeri, affinché il suo aiutante di campo, amministratore finanziario-contabile, Alessandro Munari, possa sbarcare il lunario, ad ogni fine mese e ad ogni fine anno. Il grande benefattore del C.M. “San Damiano” sarà il compianto Carlo Vaquer, per oltre 30 anni, procuratore delle missioni cappuccine di Roma[3].
     Come terza “storia”, cito Pasquale De Gasperis, mio compagno di seminario serafico (Veroli, Montefiascone, Velletri), di studi filosofico-teologici, negli studentati d’Alatri (Fr) e di Viterbo.
     Anche per lui, la sua “storia” e i suoi “segni dei tempi”.
     Apostolato missionario e evangelizzazione tout court, a parte, il carisma particolare del confratello sembra che sia stato il binomio cimento – ferro. Innumerevoli costruzioni: le grandiose case di formazione dell’Ordine, dispensari, scuole, cappelle, chiese (una, quella di Fianarantsoa, vera e propria cattedrale), centri sociali, sale polivalenti, acquedotti , ponti, centri diocesani giovanili.
     Due grossi volumi di indirizzi di ONG, cattolici e non, alle cui porte – con i crismi dei timbri e delle firme generose dei vari vescovi diocesani – sta bussando, ormai da anni. Milioni e milioni di valuta pregiata. Una vera mini-impresa di costruzione, aperta a tutti: locale fraternità cappuccina, parrocchie, case religiose (soprattutto femminili). La diocesi di Fianarantsoa, soprattutto, ha beneficiato (ne sta tuttora beneficiando) dei suoi talenti e della sua “passione” nell’“immobiliare” sociale.
     Cito solo Fianarantsoa – Antamponjina.
     Una collina brulla (Antamponjina), quasi deserta, è stata trasformata -  in una decina d’anni - in una mini-city: chiesa parrocchiale, autentica cattedrale (“San Francesco e Santa Chiara d’Assisi”, di cui il confratello ne è tuttora “curé”, parrocchia completa di tutte le strutture, centrali e periferiche; la grandiosa  casa del post-noviziato dei Cappuccini e quella, a fianco, delle Suore FMM; sale di formazione professionale; edifici (a due/ tre piani) per scuole elementari, medie e liceo; campi sportivi; cappelle ; sale polivalenti e scuole nei quartieri periferici, sia all’est, sia all’ovest di Antamponjina; ponti, acquedotti.
     Il confratello, dove è passato - da Befandriana-Nord a Fianarantsoa - ha “seminato”, dappertutto, belle e efficienti realizzazioni, che – se messe insieme - potrebbero costituire un quartiere - media grandezza - di qualche cittadina italiana! Non sappiamo quanto abbia “seminato”, in quel di Capo Verde, nella sua decennale missione nell’Arcipelago omonimo.
    E, poi, quella mano destra che fruga nella tasca posteriore dei pantaloni (sempre piuttosto malandati) alla ricerca dell’obolo (di solito sostanzioso) da passare alle mani aperte dei suoi fedeli “clienti”, che - misteriosamente, quasi collegati via satellite – lo seguono e “perseguono” ovunque, nei suoi spostamenti. Carisma speciale, il suo! Squisito “senso” della carità, che - credo - non è fatto solo di soldi da dare o da poter dare, ma anche di tanta pazienza, di tanto bisogno di discernimento di fronte alla varietà delle situazioni personali di quanti, come dicevo or ora, lo seguono e perseguono, ovunque. Fare bene, il bene non è cosa facile!
     Dimenticavo di dire che il confratello – per quasi 20 anni – è stato responsabile, come Superiore Regolare, prima, e, come Vice Provinciale , dopo, della Fraternità Cappuccina, nel Madagascar. E da 20 anni è Assistente Nazionale dell’OFS[4].
      Sì: l’azione dello Spirito e i suoi i carismi, i vari segni dei tempi, che ti stimolano nel contesto della missione evangelizzatrice della Chiesa, e per il bene integrale dei fratelli e delle sorelle, con i quali sei chiamato a convivere. Ogni uomo, tutto l’uomo. Da sempre. Ancora oggi. Anche se lo Spirito Santo – anima della Chiesa e del mondo – avrà, anche Lui, - mi si lasci passare la battuta - il suo da fare per aggiornarsi e far aggiornare i suoi carismi ai ritmi dei segni dei tempi. Oggi come oggi, soprattutto. Èra della mondializzazione, dell’internet!  

                                                     Esperienza personale

     La mia esperienza missionaria non la posso mettere al livello di quanto detto sopra. Sarebbe semplicemente presunzione.
     Lo scopo di queste linee è di condividere, tout court, soprattutto, con i lettori di Continenti - in continuità con quanto ho fatto, spesse volte, negli anni passati (ultime mie note, in Continenti, n° 5/2005, pp. 26-30), qualche momento più rilevante della mia ormai lunga esperienza missionaria, lungo il fiume della mia piccola “storia” missionaria personale. Nei miei diversi stop, nelle diverse sponde da me approdate e accostate. Solo soletto e/o in compagnia di miei compagni (cappuccini e non) di avventura. Condividere la santa avventura della MISSIONE.
     Altra finalità, oltre la condivisione tout court: sollevare, insieme, gli occhi a Colui che guida i nostri passi nel cammino della Vita; dire anche un grazie, sempre insieme, al Padrone della mèsse, che chiama e invia ciascuno di noi nella Sua mèsse: l’umanità, la Chiesa. In ultimo, un gesto di gratitudine per tutte quelle persone care (alcune di famiglia) che si son fatte – lungo tutto il tratto dei miei 37[5] anni di apostolato missionario - canali di Provvidenza, per quanto lo Spirito del Signore e i segni del tempo mi hanno chiamato a realizzare, - insieme con i miei confratelli cappuccini, religiosi/e, e collaboratori/trici laici vari - a pro del Vangelo e del bene integrale dell’uomo e della donna, che ho incontrato sulle varie “sponde” della mia vita missionaria.
      Una “memoria”, tout court. Un flash back d’insieme, una“memoria” semplice,“tout de go”, sciorinata in quasi piccoli quadretti.
       La “memoria”. Valido sussidio di saggezza, e di discernimento “delle bontà del Signore” (salmo 106).
    Tutto questo, alla vigilia di una nuova avventura missionaria, di cui parlerò a chiusura di queste note.

Prima sponda

     Arrivo nel Madagascar, l’11 ottobre 1973.
     Una vocazione missionaria quasi sofferta: tre richieste d’invio (1962, alla vigilia della mia ordinazione sacerdotale, per la missione di Capo Verde; 1966 e 1970, in piena attività universitaria e d’insegnamento, per la missione del Madagascar, il cui primo appello veniva lanciato, nel 1966, dall’allora Ministro Provinciale di Roma, Biagio Terrinoni, futuro vescovo ausiliare di Roma e vescovo residenziale di Avezzano.
     Una vocazione missionaria, sempre dono, ma quasi ricercata, inseguita: quella piccola, quasi minuscola, rivista missionaria “Il Massaia-Continenti”, che circolava tra le mani di noi giovani fraticelli cappuccini; l’Associazione “Divina Pastora” e la rivista Cor Unum, da noi stessi fondate nello studentato teologico di Viterbo, la Missione d’Etiopia (Massaia), quella d’Eritrea (Roma), con i suoi vari eroi-attori. Una vocazione missionaria, infine, - “complice” (!) l’obbedienza - abbordata con un certo bagaglio di esperienza teologico - pastorale (insegnamento, assistenza scout, assistenza ospedaliera, predicazione spicciola, gioventù francescana-OFS, ecc.) e, anche, sanitaria (mi riferisco al mio diploma di infermiere professionale, acquisito, con l’allora corso biennale, all’ospedale civile di Viterbo).
     Partenza prevista per il primo ottobre 1973. Una vera e propria carovana: tre Suore Benedettine della Carità di Centocelle, il P. Ugo Nanni e il sottoscritto. Ma eccoti quello che sicuramente nessuno si aspettava: la morte tragica di mio fratello Sante, a New York, il 27 settembre 1973.
     Il grosso della carovana partì ugualmente.
     Venerdì 5 ottobre, i funerali. Mercoledì 10 ottobre, in serata, ero in volo (il primo della mia vita) verso l’Isola Rossa (chiamata così dal colore della sua terra). Viaggiai, - a partire da Roma-Fiumicino in buona compagnia: Manfrded Marent del Tirolo del nord, già nel Madagascar dagli anni 60, futuro Superiore Regolare e maestro di novizi; l’anziano  fratello missionario, Étienne Krauss (+ 22.02.1991), grande costruttore di chiese, scuole, case parrocchiali, e il Dott. Lehmann, il quale – causa studi dei suoi figli – si preparava a dare il suo addio definitivo alla sua amata Ambanja, alla quale – insieme alla sua famiglia  – aveva dato  un buon ventennio della sua vita .
     A Majunga (l’attuale Mahajanga), la prima notte in “gabbia”. Quella famosa zanzariera che non sapevo nemmeno cosa fosse e come fosse fatta. L’indomani – sempre in compagnia dei miei due compagni di viaggio – destinazione Antsohihy. In serata ero già a  Befandriana Nord, casa-madre dei missionari italiani. Il primo volo in Twin Otter, e le prime paure. Quei sali e scendi che ti mozzavano il fiato e che ti facevano ballare le “budella” ( intestini).
     Nel Madagascar, mi avevano preceduto, oltre l’ultimo arrivato (Ugo Nanni), i quattro battistrada della prima ora (novembre 1967): Ignazio d’Ercole (rientra In Italia, settembre 2004; + 04. 02. 2010), Carlo Frasca ( + 29.11.2008), Ambrogio Artuso, Franco (Gabriele) Nicolai[6].
    Dopo il corso di lingua malagasy, a Ambositra, i  primi quatto confratelli - nel corso dell’anno 1968 - furono destinati, quasi “localizzati”, provvisoriamente, nelle seguenti missioni: Carla Frasca e Ambrogio Artuso, a Bealalana; Franco Nicolai (Gabriele) a Antsohihy; Ignazio d’Ercole a Befandriana (il confratello vi resterà fino al suo rientro definitivo in Italia, settembre 2004).
     Tra parentesi: la prima destinazione sembra che fosse Mandritsara, per la fondazione di una nuova diocesi, al sud-est di Befandriana Nord. Tutto – sembra - finì con la partenza del Nunzio Apostolico in carica, Mons. Felice Pirozzi (1960-1967).
     Il 9 marzo 1973, erano giunti - da Capo Verde - anche Pasquale De Gasperis (10 anni, in detta missione, ormai nelle mani dei confratelli Piemontesi) e Enrico Ranaldi ( + 29.10.1998).
     Vescovo d’Ambanja, Mgr. Adolphe Léon Messmer.
      Superiore Regolare della Custodia, Irénée Noé (Madagascar 1964-1998, + 02.12.2002).
     Si era ancora nel vecchio regime dei “blocchi”: missionari di Strasbourg, nei centri tradizionali del nord (Nossibe, Ambanja), Bealalana (dove trovò posto – come già accennato sopra anche Carlo Frasca, fino al suo rientro forzato, - causa malattia - dopo appena tre anni, nel 1970), Befotaka, Analalava, Maromandia, Antsohihy; Nord Tirolo, Antsakabary ; Romani, Befandriana-Nord: Ignazio d’Ercole, Pasquale De Gasperis e Enrico Ranaldi; Franco Nicolai e Ambrogio Artuso, a Antonibe. Quest’ultimo, grosso villaggio ai bordi della grande baia di Narindra, sul canale del Mozambico, dove gli Israeliani progettavano di costruire un grande porto di scalo commerciale, progetto caduto in acqua con la svolta social-comunista di Didier Ratsiraka  (1976-1993 ; 1997-2002).
     Terminato il corso di lingua malagasy, a Antananarivo (novembre ’73- marzo ’74), si pose il problema della “localizzazione” degli ultimi due arrivati. I tempi per la terza stazione missionaria non sembrarono pronti. La visita del Provinciale di Roma, Corrado Gneo, aveva deciso - in attesa di eventi futuri - per due nuove “accoppiate”: Franco Nicolai e Vincenzo Sirizzotti, a Antonibe; Ambrogio Artuso e Ugo Nanni, nella missione di Antsohihy, insieme ai confratelli di Strasbourg e al confratello malagasy, Amédée Tovolaza, responsabile del distretto missionario, più volte candidato vescovo; per anni, segretario coordinatore della CEM (Conferenza Episcopale Malagasy).
     Ci fu un cambiamento. Al sottoscritto toccò l’ ”accoppiata” con il suo compagno di corso di lingua malagasy, appunto Ugo Nanni, nella missione di Antsohihy, sede (allora) anche del Superiore Regolare.
     Il diploma d’infermiere professionale - sebbene mi sarà molto utile nella vita pratica - andò a farsi benedire e se ne resterà, per sempre, solo soletto e buono, nel fondo delle mie valige! Visto il seguito degli eventi, non me ne dispiacerà punto!
     Annata 1974-1975. I primi passi della Missione li feci, appunto ad Antsohihy, grande centro della tribù tsimihety, al sud di Ambanja.
     Al confratello Ugo Nanni, toccò il nord. Al sottoscritto fu affidato il sud del distretto missionario, tra cui c’era anche Anahidrano, villaggio natale di Philibert Tsiranana, (primo Presidente della Repubblica malagasy), che ebbi l’onore di conoscere personalmente, di essere suo ospite, e di averlo - sempre con la sua Signora - , e spesse volte, durante l’anno, come fedele, alle Messe domenicali e/o festive, celebrate nella chiesetta del villaggio. Sempre puntuali e generosi, Président Philibert Tsiranana e Madame Kalotody Justine, all’appuntamento del  rakitra (obolo) offertoriale!
     Un anno indimenticabile. Sotto la guida del “curé”, Amédée Tovolaza, - a cui affidavo la messa a punto dei miei brevi toriteny (omelie) domenicali, in lingua ufficiale malagasy, omelie che facevano dormire i miei amici – piuttosto pochini e anziani – nelle mie visite alle varie cappelle, a me affidate. Mio primo compagno di avventura, un anziano catechista, che non conosceva una parola di francese. Provvidenziale. Da lui fui introdotto al dizionario tsimihety, da lui appresi i primi detti e proverbi locali. Detti e proverbi, ancora vivi nella mia memoria non più giovanile.
      Non fu cosa facile, il primo impatto con la realtà tsimihety locale. Marce a piedi, ore e ore spesso appesantite da bagagli e bagaglini, sotto un sole cocente, durante tutto l’arco dell’anno. E quelle simpatiche bestioline (cimici e pulci) che ti “solleticavano”, appena si spegneva la candelina, messa disposizione dalla famiglia, che – di turno – mi ospitava nella sua capanna di paglia. Bestioline che non ti facevano chiudere un occhio, la notte; bestioline, che ti lasciavano - per giorni - sulla pelle, irritata e tumefatta, i segni delle loro gentili “carezze”, e che, spesso - con grande meraviglia della nostra lavandaia -, allegre compagne di viaggio, emigravano, seguendomi fino a casa.
     Quella zanzariera che, ogni sera, ti piombava addosso come una gabbia. L’impatto col famoso vary (riso). mattima-pranzo-cena. E, poi, quelle brevi omelie che mi sembrava durassero un secolo. Omelie, anche se più o meno elementari, ma che la gente semplice delle campagne non comprendeva, e che sembrava volessero favorire qualche – sia pur breve - loro pisolino.
     Quei brevi toriteny ben limati, mi misero subito seriamente in crisi. Decisi di abbandonare quei benedetti fogli e foglietti. Tentai il primo discorsetto a braccio. Due lunghi minuti di brividi di freddo. Quella volta mi accompagnava una suora malagasy. Il tutto avvenne all’interno di una capanna, sulla strada di Befandriana-Nord, dove celebrai l’Eucarestia. Tre-quattro persone. Da quel giorno, - l’ultimo della mia vita missionaria - sono andato avanti sempre a braccio, live.  Ricordi inobliabili.

Seconda sponda: Maromandia

     Finito il primo anno di noviziato missionario ad Antsohihy, si pose di nuovo il problema della localizzazione degli ultimi due arrivati, Ugo Nanni e il sottoscritto. Per Ugo Nanni e il sottoscritto, “cap”, direzione Maromandia. Vero secondo anno di noviziato missionario e lancio vero e proprio della mia avventura apostolica “ad Gentes”.
     Maromandia: stazione missionaria, fondata nel 1934 e gestita da noi Cappuccini, fino dal 1994, al sud di Ambanja, al nord d’Antsohihy.Terza stazione missionaria passata – appunto nel 1975 - al blocco romano.
     Ci accompagnò P. Pasquale De Gasperis (anche qui ci fu un cambiamento, in quanto - come prima idea – sembrò che il P. Pasquale stesso fosse destinato a Maromandia e per me si profilasse la “localizzazione” a Befandriana-Nord). Il 15 agosto 1975, concelebrammo la Messa, tutti e tre (P. Pasquale, P. Ugo Nanni e il sottoscritto), nella piccola chiesa del centro, dedicata a Santa Teresa del Bambin Gesù. Gli effetti - sicuramente “over-dose” - della nivaquine (medicina antimalarica) cominciavano a farsi sentire sui fragili timpani delle mie orecchie. Celebrai la Messa, quasi sordo! Questione di cerume fortemente concentrato. Poi, tutto normale, con qualche attenzione in più.
    Partimmo in due, dunque, ma dopo due anni, Ugo Nanni – al primo “congé” (vacanza rituale) - rientrò definitivamente in Italia. Rimasi solo soletto, come sacerdote. Un fratello laico - il compianto Michelangelo di Fava (+ 31.12.2008) - fu mio compagno.
      Nel centro della missione - curata, fino al nostro arrivo, dal confratello alsaziano Bérard Ackermann (+ 23.10.1991) - trovammo un funzionale presbiterio (edificato dal grande architetto – costruttore, il  Fratello Étienne Krauss), la chiesa[7], un grande bacino per la raccolta dell’acqua piovana, le scuole elementari, cui aggiunsi, in seguito, per i più piccoli,  la sezione-scuola materna. Un discreto numero di alunni.
   Nelle campagne esistevamo: una piccola scuola elementare, a Ampomaventy; 8-9 cappelle, più o meno fatiscenti, 4-5 luoghi di preghiera, provvisori e quasi volanti, dispersi in alcuni piccoli villaggi, soprattutto all’est di Maromandia.
      All’ovest, - oltre le 4 quasi dignitose cappelle - esisteva una larva di fiangonana (cappella e comunità cristiana), a Anorotsangana. Villaggio, ai bordi del mare, sul canale di Mozambico, uno dei tanti ex porti negrieri, sul suolo malagasy; porto militare, durante il periodo coloniale francese. Una grossa faticata arrivarvi. Di solito via mare. Una sola volta potetti raggiungere il villaggio in jeep. La prima volta che – adulti e meno adulti –  potevano vedere, de visu, in loco, - occhi sbarrati e orecchie ben tese - una macchina e quel strano aggeggio del motore!
     Vecchia cappella distrutta. Si pregava in una capanna, dal cui tetto entravano beatamente i raggi di fratello sole e di sorella luna, soprattutto nei pleniluni australi. Casa-capanna, proprietà del presidente del fiangonana. Signore tri-poligamo, con tre donne, piazzate in tre diverse piantagioni di caffè, da lui “visitate” a turno; non battezzato. Dopo qualche anno, sollecitai - quasi per scherzo - il battesimo. Risposta immediata: - Subito!…, insieme con le mie tre donne!
     Dopo qualche tempo (non ricordo esattamente quando) ci raggiunsero le Suore Benedettine della Carità. All’arrivo della nuova missionaria, Suor Gemma, tutta vazaha (europea/bianca), in scarpette bianche, da corsia d’ospedale, volli farle  fare subito il primo “bagno”. Rischio di farlo sul serio. Lo dirò subito. Prima, un particolare: quella bevanda vegetale... servita in vaso da notte! E poi quella piroga, impazzita,  frustrata da un vento improvviso, quasi violento, sul canale del Mozambico, in quel pomeriggio, intenti all’amo, a qualche metro dalla costa. Rischiammo grosso. Fortunatamente la costa non  era lontana.
     Riveniamo alla grande comunità cristiana locale: un insieme di minuscole comunità cristiane, sia al centro, sia nei vari villaggi di campagna (montagna!). Gente sperduta nelle foreste, e tutti impegnati nelle culture del caffè, del cacao e del pepe. Pochissimi i battezzati, quasi inesistenti i matrimoni. In quasi cinque anni, riuscii a benedirne due.
     Una missione durissima, dunque. Forse - con il senno del poi - compito troppo oneroso per un “novizio” della Missione? Un interrogativo serio che mi pongo, post factum, e après  coup (dicono i francesi), dopo tanti anni.
     Passiamo ad altro. Lato geografico - esistenziale.
     Maromandia. Una missione, il cui centro era situato ai bordi del grande fiume Andranomalaza-Maitsomalaza, ai bordi della strada nazionale, in direzione della punta nord del Madagascar, Diego Suarez (l’attuale Antsiranana). Nel sud, direzione Antsohihy, punta nord della provincia civile di Mahajanga. Pista, al nord (la più terribile); pista, al sud; piste battute da grandi camion, spesso sovraccarichi d’ogni ben Dio, fino alla vigilia della stagione delle piogge (novembre-marzo). Strada disastrata, con punti di difficoltà quasi impossibili a superare, in certi momenti dell’anno.
     Aneddoti a non finire. Due soli. Una volta, viaggio in due verso Ambanja. Ugo Nanni al volante. Piccola inavvertenza. Un piccolo tronco, di traverso sulla pista. Perdita totale dei freni. Non era finita. Dopo qualche km: un filo strano viaggiava al fianco della jeep. Pensate! Era il filo del telefono che faceva le sue danze sulla strada! Piccola sbirciata al di sotto della jeep. Un cordone massiccio, al livello del blocco di trasmissione. Una faticaccia per liberalo. Ancora qualche metro, ed eccoti la scoperta del danno. Il para-olio, gravemente danneggiato. Stop obbligatorio. Ugo Nanni resta a guardia della vettura. Al sottoscritto, una diecina di km di marcia, fino al centro della Missione d’Ambanja, per allertare i soccorsi.
     Un’altra volta. La radio nazionale annunciò la fine del ciclone. Urgenze varie - tra cui i viveri - mi spinsero ad avventurarmi verso il nord, in compagnia di un amico della missione. Non partii alla sprovvista: argano, cavi, asce, vanga, ecc. Un ponte in legno saltato. Impiegai un giorno e mezzo per fare i 90 km, tra Maromandia e Ambanja.
     In poco tempo feci fuori una potente jeep. Sempre senza freni, rosi dai vari passaggi di canali e canaletti di acqua salata. Tentai anche con una piccola moto.
     Clima micidiale. Caldo umido, intenso.
     Geografia. Zona montagnosa, sia all’ovest (canale di Mozambico), sia all’est (regione di Manongarivo e di Bealalana), sia al nord-ovest (direzione d’Ambanja), dove erano la maggioranza delle cappelle. Al sud, due grossi fiume da attraversare L’uno (Maevarano, a Befotaka Nord), con il “bac” (grosso barcone a fondo piatto per traversare i fiumi) per traversare il fiume.
     Aneddoto. Jeep senza freni. Il confratello Michelangelo di Fava si avventura lo stesso. Ha fretta di rientrare. Partenza da Antsohihy. Una volta sul “bac”, a Befotaka, invece di spegnere subito il motore, cercò (invano) i freni. Tutti/tutto in bagno. Vi rischiò la pelle, schiacciato da un fusto pieno di carburante. Le avventure - sempre a lieto fine - con quelle strade sono stati talmente  tali che hanno segnato il mio inconscio più profondo: in quasi ogni incubo notturno (quando ci sono), eccoti la macchina senza freni... marcia indietro... shock.. risveglio liberatorio.
     L’altro fiume, Manambaro, ad una quarantina di km, al sud di Maromandia, da attraversare a piedi. Grossi guai, quando era in piena.
      Metà Novembre 1976: viaggio su Antananarivo. Primo mio “congé, prima visita rituale, in Italia. Tutto già programmato. La notte, un autentico diluvio. Arrivati sul posto, eccoti il fiume Manambaro in piena. Corrente abbastanza forte. Traversata a sghembo. Il mio aspirante catechista Pascal mi precedeva con la mia valigia sulla testa. Acqua fino alle ascelle. Per fortuna nostra, non vi furono segni di coccodrilli nei paraggi.
     Viaggi quasi tutti a piedi o in piroga. Una volta - impossibilitato a continuare a marciare a piedi, causa la puntura di uno  roitry (erba spinosa, per me super allergica), dovetti fare l’esperienza della zattera. Tutta una giornata di salti, sul fiume Andranomalaza-Maitsomalaza, aggrappato alle grosse canne di bambù.
     Da qualche anno, le cose sono cambiate! Le piste di una volta sono scomparse, cambiando anche il paesaggio circostante. Una magnifica strada asfaltata passa nel centro del paese. Magnifici ponti, - di cui il più lungo all’entrata della cittadina di Maromandia, sul fiume Andranomalaza-Maitsomalaza - ovunque. Un’ora, un’ora e un quarto e sei già a Ambanja! Un paio d’ore e ti trovi già alle porte d’Antsohihy!
     Da una zona, quasi deserta della tribù Tsimihety, ricoperta soprattutto di satrana (sorta di palmizio) e di mokonasy (alberello spinoso ricoperto di piccoli frutti, di un certo gusto se ben maturi), passavo a quella Sakalava. Altra regione, altro dialetto. Altra natura, altro ambiente naturale. Regione, ancora, attraversata dall’est (regione di Bealalana) all’ovest (canale di Mozambico) dal già citato grande fiume Andranomalaza-Maitsomalaza. Regione arci-verde. Ai bordi climatici (parte sud) della regione di Nossibe – Ambanja – costa  est, dell’oceano Indiano.
     I quasi due ettari di terra del centro della nostra missione: un vero giardino. Il tutto, popolato di bonara, alla cui ombra scoppiavano di vita caffè , cacao,  pepe, banane e moltissimi altri frutti  tropicali.
     Lato ecologico … francescano. Ci facevano compagnia e ci rallegravano dei loro gorgheggi polifonici - giorno e notte - una moltitudine variegata di uccelli. Una vera orchestra. Non rara la visita di qualche do (boa), fortunatamente non velenoso, ma che - ogni  tanto - ci faceva fuori qualche pollo del nostro già magro pollaio.
     Nei momenti liberi, mi dilettavo a passare alcune ore all’ombra dei grandi bonara, curando quanto già piantato, e piantando diecine e diecine di nuove piantine di caffè. Spesso pagando il “fio” alle punture-fulmine (terribilmente dolorose) dei fanendry  (una specie di vespa che nidifica sotto le foglie delle piante) e alle carezze del famigerato tainghilitro (erba rampicante, una volta secca, appena sfiorata, ti lancia  addosso una polverina terribilmente allergica.

Cultura e costumi locali

     Arrivavo in terra sakalava, a Maromandia, già sulla quarantina. Senza una guida esperta a fianco, dovetti cavarmela da solo. Pagando  più di qualche “fio”.
     L’impatto con le realtà locali - stregoneria, tabù di ogni sorta, sottosviluppo grave nel campo dell’educazione, dominazione possente dei re e reucci sakalava locali -, pur non disdegnando rispetto e contatti con le autorità civili costituite con i vari “saggi” tradizionali della regione e con la popolazione, specialmente quella a noi più vicina, fu veramente frontale.
     Di questo primo vero periodo di Missione - a parte i disagi di cui parlavo sopra - ricordo gli sforzi, quasi sovrumani, cui dovetti far fronte, nell’esecuzione di un acquedotto, per il quale dovetti affrontare -  a Befitina, regione di Ambanja - insieme al capo villaggio di Maromandia-centro, certo signor Pierrot - anche una seduta spiritica, interloquendo direttamente, per più minuti, col possessore dello tsiny (spirito). Motivo: la sorgente principale, abitata da detto spirito, a cui - tramite il suo“possessore” – si doveva riverenza, e il permesso di poter invadere il suo “dominio” arcisacro.
     Alla fine della seduta, pregai il signor possessore dello tsiny - per il bene della popolazione, e garantendogli tutte le spese di viaggio, ecc. -, di venire a Maromandia e liberarci la sorgente, per poter cominciare subito i lavori. Era un lunedì (giorno propizio per la seduta) di metà di novembre 1978, e la stagione delle piogge era alle porte. - Sì, sì.
     Appuntamento per il giovedì seguente. Non se ne fece niente. Il tutto, una vera e propria turlupinatura! Mi dissero, in seguito, che tutto si sarebbe risolto, a Befitina stesso, hic et nunc, con un biglietto cash di 50 mila FMG. La stessa cosa era successa a Jangoa d’Ambanja. Ma - per l’occasione - la gente mandò, semplicemente, a quel paese il nostro amico di Befitina.
     Fallito Befitina, - dietro consiglio d’una vecchia signora, meticcia vazaha (bianca) e d’accordo i con tutti i capi villaggi - si concluse di passare al famoso joro (sacrificio) di rito: un giovane torello, alcune monete, alcune gocce di miele, un mpijoro (sacerdote sacrificatore), accreditato all’uopo. Giorno convenuto, un venerdì. Mi aspettavo una folla di gente. Una diecina di persone, piuttosto anziane, tra cui la vecchia signora meticcia vazaha (bianca), Marguerite Privot.
     Nessuno aveva il coraggio di fare il mpijoro. – Fai tu, fai tu! Due - tre giri. Alla fine, un vecchio signore (non cristiano), cieco ad un occhio, afferrò la coda del torello, che, per nostra fortuna, se ne stette buono  (altrimenti tutto saltava, subito), e il rito potette cominciare. Si promise allo tsiny un altro joro, a esecuzione compiuta dei lavori. Ci si divide la carne del giovane torello. Rito compiuto. Tsiny abbonito. Tutti a casa. Tutto a posto. Si può stare in pace. - Tutte le paure finite? Il resto della storia dirà di no.
     Un’operazione colossale, che alla fine, finì per lasciare la gente – nel corso dei lavori e, anche, a cose fatte – con l’ancestrale paura. Le scoperte le facemmo man mano. Sul luogo - al lato est, ai bordi della sorgente e nascosti tra arbusti e foglie - un fijoroana”(specie d’altarino), ricoperto da una buona chilata   di monete e monetine. Ai piedi d’un grande albero: una grossa buca piena di bottiglie e bottigliette. Seri problemi nell’abbattere alberi e arbusti, di cui era coperta una delle due sorgenti. Per fortuna nostra, si fecero avanti i nostri catechisti, in riunione bimensile, in loco. Scavare il canale, - opera affidata ai rappresentanti dei vari villaggi - non fu cosa facile, causa - appunto - bottiglie e bottigliette rituali, sepolte nei dintorni della sorgente principale. Paura a non finire!
     Due sorgenti. Due bacini di raccolta.
     Al momento dei lavori (quasi all’inizio), - alla fatica ordinaria dei trasporti, via terra e via acqua, del cimento e tubi PVC, comprati a mille km di distanza (Antananarivo) - si aggiunsero altre paure e minacce. Nonostante gli sforzi d’intesa e di collaborazione con i vari capi locali e l’intesa con la gente, la collaborazione, in mano d’opera spicciola, saltò al secondo turno, e i nostri due muratori - originari degli Altipiani -  ricevettero minacce (verbali) di morte! – Non sarete voi a terminare i lavori!
      Ma, alla fine, ci si arrivò, e l’acqua ancora corre e scorre, tuttora, nelle fontanelle del villaggio. La gente - che prima beveva l’acqua saporita e profumata (!) del fiume Andranomalaza-Maitsomalaza, - da quel lontano fine anno 1978, beve acqua pura di sorgente. Quello che conta!  Dal “mio” tempo, fino ad oggi: molta acqua si è riversata - fiume Andronomalaza-Maitsomalaza tramite - nel canale del Mozambico. Qualche paura di meno, forse. Qualcosa di buono e di meglio, forse anche qualche barlume di fede cristiana - lo credo fermamente - sarà anche entrato nel cuore e nella testa dei miei cari amici sakalava della regione!
     Cinque anni di vita a ritmi un  tantino elevati, in piena zona malarica, con un’alimentazione - causa isolamento - non al 100%. Nemmeno una linea di febbre. In simili circostanze -  non lo sapevo ancora, per esperienza -  ci si deve aspettare, quasi sempre, la comparsa delle febbri malariche, sempre piuttosto violenti, soprattutto le prime. Così fu, per me. Siamo nel marzo 1979. Mi toccò la forma più cattiva.
     A Maromandia si gridò subito ad una “vendetta” del famoso “tsiny”. Una lezione alla mia “sfida”, nei riguardi dello tsiny stesso e dei suoi “adepti”. I bambini - sempre piena la jeep, nei miei vai e vieni da e per la sorgente d’Ankirìky - si vedevano, spesso, rimbrottati dai loro genitori, che li apostrofavano con “adala”, “lefaka” (scemi), ammonendoli a non seguirmi, perché - si diceva loro, i vazaha (bianchi) non hanno paura degli siny  e, poi: - Masina ry Mompera ! I Padri sono“santi”; ma, probabilmente, alludevano a protezioni speciali di Zanahary-Dio, dall’alto.
     Vari tentativi di completo riposo (Nossibe, Antsirabe). Invano. Dovetti rassegnarmi a partire per l’Italia. Ospedali: clinica tropicale (Umberto  I°)  e San Giacomo. Analisi a non finire. Si arrivò fino alla biopsia epatica. Una buona annata. Ricupero quasi completo.
      A Maromandia, mi ritennero spacciato per sempre, già morto, e seppellito. Tanto che, al mio ritorno, - maggio 1980 - di passaggio nel villaggio, la gente non credeva ai suoi occhi. Qualcuno osò dirmi candidamente: - Sei ancora vivo! Ti credevamo già “lasa”(partito). Eufemismo, per non dire, tout court, spacciato, morto!
     Dopo il mio abbandono forzato, i confratelli Ambrogio Artuso e il compianto Giuliano Giorgi[8]  furono incaricati del distretto missionario di Maromandia.

                                 Antananarivo: lavoro cercasi

     I medici sconsigliavano assolutamente il ritorno in missione. Qualche esitazione anche da parte  dei Superiori di Roma. Non mollai. Nei primi di maggio 1980, ri-volavo verso la “La Grande Isola”.
     Impossibilitato a far ritorno in zone ad alto rischio malarico, i Superiori del tempo  - Superiore  Regolare, il nord tirolese Manfred Marent - decisero per tentare una nostra presenza nella diocesi di Antsirabe, al sud della Capitale. Rischiai di diventare “curé” del distretto missionario di Tritriva, non lontano dalla casa madre dei nostri fratelli OFM, (giunti a Antsirabe-Andraikiba il 30.11.1960 e che avevano appena aperto il loro noviziato in terra malagasy ), con i quali si prospettava una collaborazione a livello delle case di formazione. Rimasi nella loro fraternità per quattro mesi, sostituendo Antoine Jacomy OFM nel distretto missionario di Mahaiza. Una bella esperienza, soprattutto sul piano francescano.
     In alto loco – soprattutto con la visita dell’allora Ministro Generale dell’Ordine, Pasquale Riwalski - fu deciso altrimenti. Fine novembre 1980, raggiunsi l’appena aperta casa di Analamahitsy (1979), nella Capitale (Antananarivo), in compagnia di tre Confratelli malagasy: un sacerdote (lo stesso che avevo avuto come primo responsabile del distretto missionario del centro tsimihety (Antsohihy), fr. Amédée Tovolaza[9], uno studente di teologia, Pierre Jaomazava (+ 04.08.2009), un fratello laico, Raymond Denis, - figlio del mio catechista-guida d’Antsohihy - apprendista in meccanica.
     Il sottoscritto, senza arte e senza parte.
     La Provvidenza guida i nostri passi e dà il pane secondo i denti. Questa volta – connivente la zanzara – dovetti inventarmi e trovarmi un lavoro. Con un fisico piuttosto debilitato, non avrei potuto lanciarmi in lavori fisici di un certo impegno. E così - pur dedicandomi moramora (piano piano) all’apostolato settimanale e domenicale spicciolo - decisi di lanciarmi nel francescanesimo, che finirà per essere un’autentica manna, in primis per me stesso, e, poi, per l’animazione delle vocazioni francescane e non, in genere
     Si era alla vigilia del VIII° Centenario della nascita di San Francesco (1981-1982). La Famiglia Francescana - OFM, OFMCap, OSC (Clarisse), ben cinque Congregazioni di Suore Francescane, centinaia di Terziari OFS - era tutta una specie di scompartimento stagno. Ognuno per sé, Dio per tutti.
     Da Antsohihy ,- dove avevo fatto (come detto sopra), nel 1974-1975, il mio primo anno di noviziato missionario,- nel mese di maggio 1980, lanciai l’idea di un Comitato Interfrancescano di Madagascar CIFM). Una lettera ai singoli Responsabili della grande Famiglia Francescana. La novità dell’idea non trovò di sorpresa nessuno. Alcuni incontri di contatto. Qualche messa a punto. Il CIFM vide la luce.
     Data ufficiale di fondazione: 16 dicembre 1980. I Fratelli/Sorelle fondatori/trici furono, nell’ordine: François Simon Perret, OFM; Manfred Marent, OFMCap; Jean-Bapiste (OSC, Clarisse); Cécile Rasoarisoa (FMM), Emilienne Bouvin, Petites Franciscaines de Marie; Lucienne Bourreau, Franciscaines Servantes de Marie de Blois; Teresa Marguerita Fontana, Francescane dell’Immacolata di Palagano (Mo); Mr Denis Randrianasolo, OFS. Alla testa del neo nato CIFM (Comitato Inter-Francescano di Madagascar, più tardi (2008) convertito in Conferenza Inter-Francescana di Madagascar) furono messi Fr. Jacques Tronchon, OFM e Fr. Vincenzo Sirizzotti, OFM Cap.
     Nella riunione di fondazione - che si tenne nella nostra casa di Analamahisty-Antananarivo, il 16 dicembre 1980, di fresca fondazione -  si misero, subito e bene, appunto gli scopi del CIFM: animazione francescana, traduzioni di fonti francescane, preparazione immediata delle celebrazioni del VIII° Centenario della nascita del Serafico Padre San Francesco (1981-1982).
     I Fratelli/Sorelle fondatori/fondatrici – eccetto François Perret e Denis Randrianasolo - sono ancora sulla breccia. Quest’anno 2010 corre il terzo decennio di fondazione. La ricorrenza sarà celebrata,  a Ambohimalaza-Antananarivo, da tutta la Famiglia Francescana della Capitale,  unitamente alla celebrazione annuale di San Francesco d’Assisi, il 10 ottobre 2010).
     L’imminenza delle celebrazioni centenarie francescane (VIII° Centenario della nascita del Poverello d’Assisi, appunto) ci impegnò subito e seriamente: traduzione di una vita di San Francesco (si scelse quella d’Ivan Gobry), animazione della famiglia francescana (ritiri, esercizi spirituali, conferenze...) con l’invito di  francescanofili di un certo calibro: il Ministro Provinciale del Tirolo,W. Egger (futuro Mgr. W. Egger, vescovo di Bressanone-Brixen), OFMCap; Michel Hubaut, OFM; Hubert Delesty, OFMCap.
     L’intero anno 1981 fu tutta una fioritura d’iniziative, che coinvolsero un po’ tutta la Chiesa Cattolica, in particolare, le scuole cattoliche di Madagascar. Per le scuole cattoliche fu lanciato un concorso di disegno nazionale, la cui esposizione (nel 1982) fu ospitata alla sede dell’Ambasciata d’Italia, a Ankadivato. Furono coinvolti anche uomini della cultura e della vita civile. Un certo Vahandanitra, compositore e attore alla Radio malagasy, ci preparò il testo e la messa in scena della vita di San Francesco, nella cui esecuzione - nella sala di teatro del Collegio “Saint Antoine” delle Suore FMM d’Ankadifotsy - egli stesso ne fu direttore e attore, nel personaggio di Innocenzo III.
     Una conferenza di alto livello, sempre su San Francesco, - tenuta nel Centro Culturale Francese “Albert Camus”, animata dalla corale della parrocchia “Saint Étienne” d’Ambandia-Antananarivo, corale diretta dal parroco-compositore, Don Pietro Ganapini, sacerdote “Fidei Donum”, di Reggio Emilia - fu affidata all’ex Ministro dell’Educazione Nazionale della neonata  prima Repubblica del Madagascar (indipendenza 26 giugno 1960), certo Laurent Botokeky, originario di Belo sur Tsiribihina, fervente OFS (volle essere sepolto con l’abito francescano OFS), alla cui Famiglia, Madame Hélène Setopulos Botokeky e figli, - tutti tanto simpatici - , sono tuttora legato da vincoli di amicizia fraterna francescana.
     Chiusura solenne – nella chiesa Saint François d’Assise, a Antananarivo-Andravohangy – il 4 ottobre 1982. Festa tutta francescana e di colore, soprattutto OFS: tutti – giovani e meno giovani – rivestiti del marrone saio francescano.


Stampa e opere sociali

     Il seguito della vita del CIFM sarà segnato - oltre che dall’animazione spirituale - da tutta una serie di traduzioni di libri francescani : scritti di San Francesco e di Santa Chiara, Fioretti – fumetti  (Franco Nicolai) e testo completo - , Anonimo di Perugia, altra vita di San Francesco (Omer Engelbert), una vita  di Santa Chiara  (Chiara Augusta Lainati), Regole TOR e OFS, Statuti Gioventù Francescana, Manuale OFS, Messale francescano; piccole biografie di santi Cappuccini (San Crispino, San Leopoldo) e di Padre Pio (di quest’ultimo – al momento in  cui stendo queste note – è in corso di stampa una biografia aggiornata e un libretto sui “Gruppi di Preghiera”), Costituzioni OFMCap.
     A ridosso delle celebrazioni centenarie, due iniziative importanti.
     In collaborazione con le monache Trappiste di Vitorchiano (Vt) e con l’aiuto dell’amico gesuita, Santi Zocco di Siracusa (economo - tuttofare della diocesi di Fianarantsoa), si cominciò la stampa e la diffusione - per migliaia e migliaia di copie - di preghiere di San Francesco. E altre: le più significative e le più conosciute. Tutto in lingua malagasy.
     Il CIFM - tramite il gruppo musicale nazionale Ankalazao, sotto la direzione di Gilles Gaide, OSB - si fece promotore anche della messa in musica di varie preghiere e temi francescani. Il Cantico delle Creature e le “Lodi di Dio Altissimo” sono passate a far parte del libro dei canti, a livello nazionale. Le “lodi di Dio Altissimo” sono state cooptate come “Gloria” della Messa.
     Ulteriormente (1998) – dietro iniziativa delle Suore Clarisse e sostegni finanziari procurati dal nostro Pasquale De Gasperis - il CIFM , oltre i testi tout court,  pubblicò, con note musicali, officio e messa di san Francesco e di santa Chiara.
     Le attività del CIFM - passato in seguito in altre mani - sono continuate senza soluzione di continuità: esercizi spirituali annuali, animati alternativamente da un OFM e da un OFMCap.; incontri fraterni informali, capitoli delle stuoie, celebrazioni di voti o di ordinazioni sacerdotali, giubilei, lutti. Ultimamente, gennaio 2010, si è aggiunto - fortemente voluto dal Provinciale Francesco Vinci - un corso (due volte l’anno) di formazione francescana e delle scienze educative in generale, per tutti gli educatori e educatrici della Famiglia Francescana. Animatori/trici: membri esperti della Famiglia Francescana.
     Ma forse, senza forse, il fiore all’occhiello del CIFM è stato, e resta, la creazione dell’Associazione ASA (1991) con il suo Centro CASA (Centre d’Action Sociale, 1995) - nel contesto del “Village Saint François” d’Antananarivo-Andrianarivo - , fortemente voluto dai confratelli OFM, col sostegno costante, soprattutto finanziario, di Pasquale De Gasperis.
     Il centro, Antananarivo-Andrianarivo - di proprietà della Famiglia Francescana, e a qualche centinaia di metri dalla grande Casa Penale della Capitale - accoglie, da anni: un Foyer de vie (centro per persone anziane), un dispensario, una farmacia popolare, una bella cappella, FIEFA (Associazione per la protezione dei diritti civili), l’École Sainte Thérèse (scuola materna e elementari; nel 2007-2008: apertura delle scuole medie).
     Il confratello Pasquale De Gasperis - in qualità di Assistente Nazionale dell’OFS -, vi ha fissato, in seguito, la sede nazionale dell’OFS, istituzione intitolata a Lucien Botosoa, terziario OFS, morto martire della fede, nell’insurrezione del 1947.
     Cosa chiama cosa. Dalla CASA - sollecitato dal particolare sitz im leben della Capitale - ebbe origine un’altra bella realtà, tipicamente francescana: il grande centro agricolo d’Ampasipotsy, nell’ovest della Capitale (Antananarivo), nella regione di Tsiroanomandidy, il cui primo fondatore è stato l’OFM, Fr. Jacques Tronchon, di formazione storica (noto il suo libro sull’insurrezione malagasy del 1947), fratello non chierico, tuttora sulla breccia. Migliaia di ettari di terreno (cifra esatta 20.000!), quasi desertici, salvati ai rituali fuochi stagionali annuali , e ora ricoperti di verde; fondi valle, abbandonati a se stessi, trasformati in fiorenti risaie. Paesaggi quasi lunari, una volta. Un villaggio pimpante di vita e “brulicante” di bambini, attualmente.
     Chiesa  ecumenica (dedicata alla “Sacra Famiglia, consacrata nel 2.000). La comunità cattolica - retta attualmente da un sacerdote originario d’Ambanja - è ancora sotto il distretto di Mahasolo. Per l’animazione spirituale e per la gestione delle le scuole l’ASA  si è assicurato l’aiuto e la collaborazione di tre comunità religiose: Suore Divine Providence de St Jean de Bassel (8  settembre 2004), OFM (natale 2009), Clarisse congolesi (8 settembre 2009). Le scuole: dalla scuola materna alla terza media, distribuite in tre centri - Ampasipotsy, Kambantsoa, Ambalatalahihazo, per un totale di 1645 alunni, anno 2009-2010). I tre centri scolastici sono affidati, soprattutto, alla cura delle Suore Divine Providence de St Jean de Bassel.
     Centro Sanitario di Base (2005), dispensario, atelier per legno e ferro.
     Lavoro, salute, famiglie unite. Una comunità variegata. E, poi, per tutti: una vita degna ad essere vissuta.
     Detto Centro, fu concepito e creato, dopo accurate analisi e ricerche sociologiche, con lo scopo specifico di salvare gli accattoni (e loro famiglie) della Capitale dalle immondizie e dai ricoveri fortuiti delle strade e delle arcate del centro d’Antananarivo.
     Nel 2001 – a dieci anni dalla fondazione – Ampasipotsy ospitava già 100 famiglie!
     Il Centro agricolo - attualmente ben 29 villaggi, di cui 15 per contadini senza terra - forma due fokontany (unità civile malagasy di base), Ampasipotsy e Kambantsoa, per un totale di 3.000 anime. L’ASA si prepara a chiedere allo Stato malagasy l’erezione di un comune rurale autonomo!
     Anche qui, la Provvidenza si è fatto, e si fa onore.
     Aiutato per qualche tempo dall’UE, attualmente l’ASA va avanti con aiuti di diversa provenienza: Raul Follereau, Partage, ASA/France, Famiglia Francescana (tra cui  la MZF, tedesca) .
     Il CASA d’Antananarivo-Andrianarivo, il giovedì Santo, 12 aprile 2001, ebbe l’onore della visita dell’Abbé Pierre.

Terza sponda: in paese Betsileo

     Dal 27 agosto 1932 - data  dello sbarco dei primi  confratelli cappuccini di Alsace-Lorraine, a Nossibe, nel nord del Madagascar - la presenza cappuccina, a parte la prima fondazione nella Capitale (Antananarivo), anno 1979, di cui sopra, si era ristretta alla sola diocesi d’Ambanja, la cui estensione – dopo la grande aggiunta territoriale dell’8 luglio 1947 - comprendeva la  parte sud della provincia civile di Diégo Suarez (attuale Antsiranana) e la punta nord della provincia di Majunga (attuale Mahajanga).
     Ci si preparava all’erezione della Vice Provincia “St. Fidèle de Sigmaringen”[10].
     L’implantatio Ordinis (impiantazione dell’Ordine cappuccino) imponeva altre presenze, in ambienti - culturali e religiosi - più favorevoli alle vocazioni religiose e sacerdotali. La scelta cadde su Fianarantsoa, regione abitata dalla tribù betsileo, evangelizzata, da oltre un secolo, dai Padri Gesuiti. Terreno fecondo di vocazioni.
     Il sottoscritto stesso fu incaricato di preparare, d’intesa con il vescovo diocesano, il gesuita Mgr. Gilbert Ramanantoanina, il luogo più adatto alla nostra fondazione. Dopo varie ricerche, la scelta cadde – con grande sorpresa del Vescovo stesso - su Ivato-Alakamisy, a 15 km d’Ambositra, capitale dell’artigianato malagasy.
     Siamo a fine dicembre 1983. Il Pastore diocesano, all’annuncio della mia scelta, (ricordo come adesso), prese la sua agendina e decise, hic et nunc, subito, la data della nostra istallazione. Qualche esitazione e paura da parte di Gesuiti e clero locale. Si temeva la nostra “pesca” furibonda vocazionale, nei seminari e nelle parrocchie della grande diocesi betsileo. Molto positiva l’accoglienza dei confratelli cappuccini dell’allora, ancora, Custodia del Madagascar.
     Sul posto trovammo un anziano missionario, gesuita siciliano, (P. Lombino), un buon  presbiterio e la chiesa del centro, dedicata a Saint Vincent de Paul. Tre scuolette di campagna. Al centro, ancora, quattro palmi di terra, al nord della chiesa, e un grande stabile incompiuto, con destinazione scuola, e che ospitava - con seri disagi per i pochi giovani alunni (una cinquantina) e maestri (2), la scuola elementare cattolica. Le due piccole e malandate scuole di campagna Soafandry e Andranonanakova), registravano, in tutto, una sessantina di alunni. Due maestri.
     Il 15 gennaio 1984, il vescovo diocesano ci istallava ufficialmente nel distretto missionario d’Ivato-Ambositra. Ricordo ancora una frase della sua omelia. Si augurava che lo spirito militare di Sant’Ignazio di Loyola facesse unità e armonia  con la semplicità e umiltà del Santo di Assisi!
     Un paio di anni dopo, il distretto d’Ivato annetterà anche il distretto d’Antoetra, tribù Zafimaniry, in piena foresta, all’est d’Ambositra, anch’essa  famosa per le sculture in “art malagasy”.
     Si cominciò in due: l’ormai anziano confratello alsaziano, Gérard Rapp (uno dei fondatori della diocesi d’Ambanja) e il sottoscritto. Il confratello Gérard Rapp (arrivo in Madagascar, nel 1937; + 04.05. 1995, a Strasburgo), causa età avanzata e disturbi di salute, dovette rientrare in Francia, nel corso del 1986.
     Nei primi di luglio, ci raggiunsero due confratelli della Provincia di Siracusa: Michele Lombardo e Francesco Vinci.
     Michele Lombardo - già professore di teologia morale nella sua Provincia monastica di Siracusa -, si fece subito la mamma di casa della nostra casa, ancora sprovvista di tutto. Metà novembre 1984 – durante il corso di lingua malagasy – lo sorpresi, bocconi a terra, ai piedi del suo tavolo, in una stanza dei Padri Gesuiti, a Ambositra. Un mezzo infarto. Due suoi compagni di corso di lingua malagasy, un gesuita ungherese e suor Rossella delle Suore Orsoline (tutti e due medici) gli prestarono i primi soccorsi. In fondo, lo salvarono.
     Dovette farsi operare di cuore a Parigi. Ritentò di nuovo il coraggioso confratello. Nel luglio 1986, Michele Lombardo, lasciava definitivamente Ivato-Ambositra e il Madagascar. Si ritirò a Leonforte (En), suo paese natale, dove si spense il 24.12.1997.
     Francesco Vinci (attuale Provinciale del Madagascar), invece, resterà sul posto per dieci anni, dando un contributo di qualità sia all’apostolato missionario, sia alla formazione dei nostri giovani postulanti.
     Qualche altro confratello ci darà una mano. Oltre i fratelli malagasy che saranno a Ivato/Ambositra - dal 1995 -, come corresponsabili del distretto missionario e del postulato, ci saranno d’aiuto l’ex missionario alle Seychelles, André Marie Koller, fratello laico della Provincia Svizzera, specialista nelle costruzioni[11]., Ilidio da Luz Ramos (capoverdiano della provincia di Roma), Angelo Tricomi e Angelo Catalano (tutti e due della Provincia di Siracusa).
     In fondo saremo noi due - Francesco Vinci e il sottoscritto - a portare, per oltre un decennio, il grosso del peso del distretto missionario e della formazione dei giovani postulanti, sempre piuttosto numerosi e con conseguenti problemi seri di gestione logistica e educativa.
      Il 5 novembre 1994, Francesco Vinci rivolava verso la sua Sicilia, nella sua Provincia monastica di Siracusa, di cui sarà guida e animatore per un sessennio. “Accoppiata” ciociaro-aretusea, finita. Missione compiuta per Francesco Vinci.

Scuola di formazione agricola e artigianale

     Il sitz im leben locale impose, fin dagli inizi, un’attenzione particolare alla scuola e alle scuole, al centro e nelle singole cappelle della campagna. Per i bambini in età di scolarizzazione, ci si attaccò, senza soluzione di continuità, alla fondazione di nuove scuole della missione. In poco tempo se ne misero su una dozzina. 
     Le Suore Orsoline rimisero in sesto il grande stabile lasciato incompiuto dal sacerdote diocesano Georges Ranaivoson. In seguito – dato l’aumento degli alunni -  aggiungemmo noi stessi 4 nuove magnifiche aule scolastiche - giusto ai bordi della strada nazionale Antananarivo-Fianarantsoa -, inaugurate il 12 dicembre 1992.
     Le Figlie di Angela Merici si incaricarono subito della scuola del centro che diventò “Collège Sainte Angèle Merici”: scuola materna e scuola elementare, prima; scuole medie, subito dopo.
     Le Suore Orsoline si presero cure anche delle scuole di campagna.
     Sia la scuola centrale che quelle di campagna (ormai sulla diecina) si riempirono subito di alunni, e con eccellenti risultati pedagogici.
     Quello che, però, ci interpellò più intensamente fu quella massa di giovani (ragazzi e ragazze) della campagna, senza arte e senza parte, cresciuti senza una scolarizzazione degna del suo nome e senza una preparazione umana e tecnica, per la loro situazione specifica di gente della campagna, già alla vigilia della formazione di una loro famiglia.
     Siamo agli anni 1980-1990, in piena rivoluzione socialista, in piena crisi di valori (ancestrali e più ancora cristiani).
     Il vescovo diocesano ci allertò fin dall’inizio. Ci parlò subito di un liceo agricolo.
    La nostra risposta fu una struttura polivalente di formazione agricola - artigianale, che ci guidò alla creazione (mi dovetti inventare architetto)  di un complesso strutturale imponente, comprendente un grande foyer (ostello di accoglienza, completo di dormitori, aule, refettori,  ecc.), un grande atelier (officina) per falegnameria e forgia (atelier, subito riempito di macchine varie, dono generoso del compianto confratello Carlo Vaquer, segretario dell’Animazione Missionaria della Provincia di Roma), una grande sala di riunioni e spettacolo.
     Il centro di formazione, cui demmo il nome “Soa Fiadanana” (Bene e Pace), nacque sotto il segno della collaborazione tra i responsabili del distretto missionario (noi cappuccini, appunto), le Suore Orsoline di Verona[12] col centro CAPR (famoso centro di formazione agricolo - professionale, gestito dai Gesuiti di Fianarantsoa). Tre sessioni annuali di formazione. Durata quindici giorni.
     Alla prima sessione, rispose all’appello un centinaio di giovani, ragazzi e ragazze. Le ragazze, affidate alle Suore Orsoline; i ragazzi, ai nostri “monitori” laici. La sessione si chiuse con una foto souvenir (che ancora conservo nel mio album fotografico) di tutto il gruppo, con i giovani che brandivano in mano, con orgoglio, la loro “sarcleuse” (macchinetta per sarchiare le giovani piantine di riso), strumento prezioso, costruito, di sana pianta, dalle loro mani, nell’atelier del loro centro di formazione.
     Due parole sul riso (vary): cereale, non tanto amato dagli italiani, piuttosto pastaroli e spaghettari, ma di cui si nutre, probabilmente, una buona metà del globo. Una piantina fragile ma prodigiosa, che può moltiplicarsi fino al 60-70-80%. Produzione: fino a 10-12 tonnellate, all’ettaro, per soli sei kg di sementi (coltivazioni SRI del Giappone e dei Paesi del sud-est  asiatico).


Antananarivo (12.12.2010). Santuario mariano in piena foresta

Messa a cielo aperto



 Grazie a Mons. Pasquale Magnano

 Suonerà presto a festa (02.09.12)

Chiesa  San Pio da Pietrelcina…in attesa di migliori sorti.

Inaugurazione nuovo distretto missionario. 24 Ottobre 2010

Felici e contenti...
Scuola e scuole a oltranza



 I bambini: nostri battistrada

              

in attesa di strutture sportive ad hoc: basket, volley ball, campo di  foot
che potrebbero salvare tanta gioventù. A quando ?...



Grazie!... OPAM!




Riso e salute

     Riveniamo a noi. - Sì, il riso (vary). Alimento base del popolo malgascio, tanto che far colazione, far pranzo o cena = mihinam-bary (mangiare il riso).  La sua coltivazione -  in modo tecnico e moderno (SRI) - ci si impose come uno dei punti forti della formazione del centro Soa Fiadanana, inaugurato dal Cardinale Razafimahatratra Victor, S.J., arcivescovo d’Antananarivo, il 16 luglio 1992.
     Il terreno non manca, anche se spesso distrutto dai fuochi stagionali insulsi, l’acqua non manca, il sole nemmeno. In molte regioni del Madagascar (vedi Morondava, di cui parleremo più in basso), si possono fare fino a due-tre raccolte di riso, l’anno! Quello che manca - e che gravemente pesa e resta tuttora un handicap grave - è la tecnica di produzione: piantine di riso, - trapianto ideale a 10-15 giorni dalla momento della semina - che vengono  trapiantate dopo tre - quattro mesi, quando la povera piantina è già rachitica. Fisicamente e biologicamente impossibile un rendimento dignitoso, anche medio; per cui, alla fine, quel poco che si produce viene a costare molto più caro di quello che si può comprare al piccolo bazar del villaggio.
     La forza delle cose ci spinse a scendere personalmente (per qualcuno fu quasi uno scandalo) nelle risaie, insieme ai nostri giovani del centro Soa Fiadanana, ai nostri postulanti e alla gente del villaggio. Francesco Vinci e il sottoscritto ci facemmo uno di loro. Personalmente, vi dovetti pagare il “pedaggio” della bilarziozi intestinale.
     Per cominciare, affittammo un piccolo appezzamento di terreno, dove facemmo le nostre prime belle esperienze: dai circa 550 kg iniziali, passammo, nello spazio delle tre raccolte seguenti a 1,550 kg. Per soli due kg di semenza!
     Un po’ più tardi, comprammo due ettari di terra che trasformammo in magnifiche risaie. Un lavoro ciclopico la sistemazione del terreno: duecento angady (vanga malgascia) trasformarono quei due ettari di terreno, sconnesso e ricoperto di erbacce d’ogni genere, in quattro perfette risaie. Il tutto, per un piatto di riso. Il gesto mi commosse. Anche qui, una magnifica foto di souvenir, tuttora nel mio album fotografico.
     Attualmente, nelle campagne d’Ivato-Ambositra, varie famiglie seguono i nostri  metodi  di cultura SRI.
     Le suore Orsoline penseranno alla salute della gente, con un provvidenziale dispensario. Noi pensammo all’acqua. Vari pozzi, - di cui uno con castello e maxi-bacino - nel dominio della missione. Due magnifici acquedotti: uno per Ivato (inaugurazione il 31 luglio 1998), con doppia sorgente ; l’altro - opera soprattutto di Francesco Vinci - a Ankarénana. (Antoetra).
     La gente beveva l’acqua profumata del fiume Ivato. Noi stessi attingemmo, per qualche tempo, in una quasi pozzanghera, al di là della strada nazionale. Acqua potabile e lavaggio della biancheria a Ambositra (15 km). Anche qui -  dall’estate 1987 - l’acqua pura di roccia corre e scorre nella diecina di fontane  d’Ivato-Alakamisy, centro del Comune omonimo.
     Una notizia dell’ultima ora.
     Una dei tanti fiangonana (cappelle e comunità) del mio ex distretto missionario d’Ivato/Antoetra, Soafandry-Ivato – in quest’anno 2010 è in festa per i suoi 100 di vita. Come “souvenir”di questo fausto evento, ho suggerito - all’occasione della festa patronale del 19 marzo scorso, cui ebbi l’onore di essere presente e di presiedere, in compagnia d’un mio fratello sacerdote malagasy, l’eucarestia festiva – l’erezione di un edificio scolastico, degno del centenario.
     Grazie alla collaborazione dell’OFS e della Fraternità cappuccina di Monte San Giovanni Campano (Fr), mi sono impegnato - come ex loro “curé - a collaborare nell’opera di costruzione dello stabile, garantendo le lamiere - terribilmente care in loco - per i tetti delle quattro nuove aule scolastiche (7m x 6m), tutto in duro [13].

Altra sponda: Congo - Brazzaville

     Metà novembre 1996 – come risposta agli appelli dei Superiori della mia Provincia-madre di Roma, per l’apertura di una nuova missione, tra i pigmèi, nel nord del Congo-Brazzaville, - dopo 25 anni dati al missione cappuccina del Madagascar - lasciavo (anche dietro consiglio dell’allora Consigliere Generale per l’Africa, Juda Taddeus Ruwa’ichi, dal 15.01.2005, vescovo di Dodoma archidiocesi di Dar-es-Salaam, in Tanzania, nell’estate 1996, in visita nel Madagascar), via l’isola di La Réunion, dove passai una gradevole settimana in casa della Famiglia André, la Grande Isola dell’oceano Indiano, per l’Africa,.
     Mi costò molto, ma mi sembrò onesto dare ascolto all’appello dell’Africa. Lo feci anche, credendo all’urgenza dell’appello stesso che mi veniva dalla mia Provincia-madre di Roma, cui credevo di essere in debito di gratitudine e di riconoscenza per quanto mi aveva dato, durante i lunghi della formazione iniziale, degli studi universitari, ecc. Al momento della partenza - dopo 12 intensissimi anni, di cui 10 partecipati con intesa fraterna perfetta con il confratello Francesco Vinci - lasciai a Ivato-Ambositra, una missione lanciatissima. 11 ettari di terra, di cui otto di bosco. Agricoltura e allevamenti di punta; trattore, macchina per pilare il riso, macchina per farine e mangimi; grande gruppo elettrogeno. Il centro Soa Fiadanana (foyer super equipaggiato, atelier pieno di macchine, ecc.), in piena efficienza. Oltre la scuola “Collège Sainte Angèle Merici” del centro, 9 nuove scuole di campagna, 7 nuove chiese (molte costruite con l’aiuto delle Suore Missionarie di San Pietro Claver di Roma), il grande stabile della casa di formazione “P. Pio”.
     Detta casa di formazione – al momento dell’inaugurazione - fatta nell’agosto 1987, all’occasione della visita fraterna del Ministro Generale dell’Ordine, Flavio Roberto Carraro[14], fu messa sotto la protezione del santo Confratello di Pietrelcina, di cui ricorreva, in quell’anno, il centenario della nascita. Il postulato, tuttavia, aveva  aperto le sue porte ai primi giovani candidati – in uno stabile affittato, ai bordi della strada Ambositra-Fianarantsoa - già dal 1985.
     Il tutto - al momento della mia partenza per l’Africa - fu lasciato nelle mani e sotto lo sguardo materno della Mamma di tutti, che dall’alto della grotta di Ankarinjato (inaugurazione il 13 maggio 1990) ha continuato a seguire i passi dei confratelli malagasy, la comunità cristiana locale, la comunità delle Suore Orsoline, le quali - impegnate nella fiorente scuola della Missione, e in quelle della campagna - hanno già “pescato” molte e solide vocazioni nel distretto missionario d’Ivato.
     Incontrarsi - dopo anni - con queste giovani Suore, conosciute ragazze nel fondo delle campagne d’Ivato-Ambositra, è una gioia (direi quasi una festa), sia per loro che per noi missionari. Questo soprattutto, alle occasioni delle celebrazioni dei loro voti solenni.
     Tra parentesi, devo segnalare che le Suore Orsoline FMI di Verona – insieme alle Suore San Giuseppe d’Aosta, alle Suore del Sacro di Gesù di Ragusa, alle Suore Carmelitane di Santa Teresa di Torino, tutte fondazioni “italiane” (degli anni 1960), in numero e in qualità -, sono una bella realtà nel contesto delle Congregazioni religiose femminili in terra malagasy.
     In Congo - Brazzaville vi arrivai i primi di marzo 1997, insieme con un collaboratore laico, che fu, anche, un po’ la mia croce. In loco, trovai una situazione alquanto difficile. L’impatto fu abbastanza  duro. Ma, ormai, già ben rodato alle situazioni difficili, la cosa non mi turbò più di tanto.
        Dalla metà maggio 1997, avevo iniziato il corso di lingua lingala, a Brazzaville. Dopo il  vai e vieni tra centre-ville e Ouenze, mi stabilii nella parrocchia omonima Santa Maria delle Vittorie, a Ouenze, al nord della Capitale.

Guerra civile. Rifugiato a Kinshasa

     Il 5 giugno mattina, scoppiò la guerra. Guerra civile. Il pomeriggio del 5 giugno, l’ultimo contatto con l’esterno. Si trattò di una telefonata di Franco Nicolai, che potette ascoltare live gli spari dei Cobras impazziti e gli scoppi assordanti delle prime bombe. Dopo mezz’ora, tentai di richiamarlo, per rassicurarlo della mia pelle. Black out completo. Forse fino alla fine della guerra, mese di ottobre seguente.
     Una guerra civile folle, per la follia del potere e del petrolio, con Elf, Agip e C. a contendersi le diecine di pozzi di petrolio di Pointe Noire, e a far gara per accattivarsi i detentori del Potere, anche aiutando a farli fuori causa, prima del tempo, per annullare vecchi contratti o per motivarne dei nuovi più vantaggiosi. Così si bisbigliò, in loco, a proposito della guerra civile del 1997.
     Si parlò di 15.000 morti. Brazzaville quasi distrutta, soprattutto il centro-città.
     Per me, lo scoppio della guerra, significò lo stop forzato al corso di lingua lingala, e, soprattutto, 10 giorni di grosse paure. Alle nostre spalle -  a qualche centinaia di metri - il fronte di Sassu Ngesso e i suoi Cobras. Dal centro-città, la risposta dell’altro fronte, di Lissouba.  Un via vai di mini-missili, a grossa gittata, che passavano sulle nostre teste. Nella tarda serata, e, talvolta, la notte: un vero spettacolo pirotecnico!
     Il 14 giugno, l’abbandono forzato di Ouenze. Partenza, decisa, in primis, dalla paura delle bombe. Il mercoledì seguente lo scoppio della guerra: nella prima mattinata fu portata via la macchina della parrocchia; verso le dieci, la visita di una squadra di Cobras. Ero sulla piccola veranda della mia stanza. – Sautez! Sautez! (salta! salta!). Ma, probabilmente – a corto di francese – volevano dire: scendi giù! Lo feci.
     Pensai che fosse il giorno della fine. I visitatori furenti erano alla rabbiosa ricerca d’una radio BLU (radio emittente – trasmittente), che, di fatto, si celava nella casa contigua delle Suore, le quali (sempre furbe le Suore!) - per prevenire problemi e eventuali saccheggi, sempre all’aria e quasi di moda, in simili frangenti - avevano subito assoldato due-tre Cobras, a protezione della loro casa e dei loro beni, compresa appunto la BLU, che continuava a funzionare, nonostante la guerra già in atto!
     Un altro giorno, trovai una pallottola sulla piccola veranda della mia stanza.
     Ci si aggiunse anche la fame. La canonica si era trasformata in vero proprio asilo e ostello. La già povera dispensa del bravo e simpatico parroco - Yves Monot, Cssp, attuale vescovo di Ouesso - si era svuotata completamente. Rifornimenti quasi impossibili. - Un piatto di meno a tavola. Mi dissi. E, poi, salvare la pelle. - La morte in guerra o a causa della guerra, non ha fatto martire nessuno!  Mi dissi, ancora.
     Alcuni studenti Cssp, nigeriani, rimasti ingabbiati nella parrocchia allo scoppio della guerra, - anch’essi affamati e con la volontà di salvare la pelle - quella mattina del famoso mercoledì, terrorizzati dall’arrivo dei Cobras - saltarono il muro di cinta che dava sulla casa delle Suore. Qualche giorno dopo se la dettero a gambe e passarono a Kinshasa.
     Tentare non nuoce. Dietro consiglio del parroco, decisi di avviarmi verso la riva del fiume Congo. Ero senza documenti (depositati al Ministero degli Interni, per richiesta di vista di soggiorno). Chiesi - come passaporto - una dichiarazione dal parroco. Due righe. Passaporto da guerra, che compì, a perfezione, la sua missione.
     14 giugno, nella prima mattinata. Se ben ricordo, era di sabato.
     Mi guidò un giovane della parrocchia. Ci aspettavano i temuti Cobras. Milizia, specialmente addestrata, al servizio di Sassu Ngesso, già al potere per 11 anni, durante i famosi due blocchi (est-ovest). L’ex dittatore -  all’approssimarsi delle elezioni generali (previste per il mese di luglio-agosto 1997) -, dopo diverse provocazioni nel nord del Paese, aveva dichiarato guerra al presidente in carica, legittimamente eletto, Lissouba. Ci aspettavano vari posti di blocco. A parte il pedaggio del mbongo (denaro), obbligatorio nei vari stop - trasformatisi subito in quasi “dogana-pedaggio”, quasi salario di guerra, a pro immediato dei Cobras stessi - non furono, poi, così, malvagi. Mi credevano di residenza a Ouenze, e, quasi, si meravigliavano che abbandonassi il mio posto di servizio pastorale!
     Un’autentica avventura, la traversata del fiume Congo. Un grosso barcone in ferro, spinto da un vecchio motore, che ogni tanto faceva cilecca. Deriva, e abbandoni frequenti del barcone alla corrente (abbastanza forte) del fiume. Mi adattai subito alla situazione, dando una mano, sollevando il piccolo serbatoio, affinché la poca benzina arrivasse nel carburatore. Un’ora e mezzo di traversata, contro i 15-20 minuti dei tempi normali. Sbarcato a Kinshasa Beach, mi sembrò di entrare nella Terra Promessa!
     Accoglienza superlativa all’Ambasciata d’Italia. Brindisi, e una discreta somma di dollari. Molto calda e fraterna l’accoglienza dei confratelli di Limeté, che avevo visitato recentemente (7-12 maggio), mentre Laurent Désiré Kabila avanzava, a gran passi su Kinshasa, e che trepidavano della mia sorte.
     Venti interminabili giorni a Kinshasa, in attesa del nuovo passaporto e di qualche contatto con Roma, che finalmente - tramite telefono satellitare d’occasione - si rese possibile. Fr. Antonio Ascenzi, futuro Vicario Generale dell’Ordine Cappuccino (+ tragicamente, a Francofonte-SR, 31.05.2003), allora Ministro Provinciale di Roma, mi pregò di rientrare, appena possibile, in Italia.
      Abbandono forzato di Sembé, e della missione, appena aperta (ottobre 1996).
     Il 4 luglio 1997, lasciavo Kinshasa, e ripartivo per Roma, via Bruxelles.
     L’altro confratello di Cosenza, P. Leonardo, se n’era già andato, per conto suo, via Cameroun. Non seppi nulla della sorte delle Suore. Suppongo, però, che anche loro - anche se il fronte della guerra era ben lontano dalla regione Sangha - abbandonarono Sembé, per raggiungere le loro Consorelle, a Yaoundé (Cameroun).
     Varie pressioni - Nunziatura Apostolica di Brazzaville, Vaticano e, probabilmente, anche Madre Ines Pavani, Superiora Generale delle Suore Francescane del S. Cuore –  decisero per il non abbandono definitivo della missione cappuccina di Ouesso (Souanké e Sembé). I Superiori Generali dell’Ordine convinsero i Superiori Provinciali di Roma e dell’Abruzzo a formare una nuova équipe, e a far ritorno nella diocesi di Ouesso, diocesi poverissima di sacerdoti (4-5) e con gravi problemi di gestione.

Ritorno. Nuova équipe

     Nuova partenza, quindi, con una nuova équipe. In quattro. Un confratello abruzzese, P. Carmelo Sciore ( + 24.03.2007), e tre confratelli di Roma : Umile Giletti, Franco Nicolai e il sottoscritto. Tutti non più giovani (66, 61, 58, 57 candele già spente) e, anche, di una certa “stazza” fisica. “Cap”, direzione: regione della Sangha, in piena foresta tropicale. La gente - da Kinshasa, a Brazzaville, a Ouesso - ci guardava come bestie rare! Quella barba biblica, quel lungo saio francescano-cappuccino, quel suo “gabarit” , quel suo incedere maestoso… fecero di Umile Giletti (gli chiedo venia, se faccio il suo nome) la nostra vedetta.  – Héros ou bien fous !?... (tradotto alla romanesca : - ‘Sti fratoni so’ eroi o so’ scemi!?). Si saranno domandati.
     Gennaio-febbraio 1998. Via Bruxelles, arrivammo a Kinshasa in due mini-scaglioni. Il primo - P. Umile Giletti e il sottoscritto -, arrivava a Kinshasa il 13 gennaio 1998.
     In attesa degli altri due confratelli, che arrivarono verso la metà di febbraio; in attesa anche delle condizioni minime di sicurezza per entrare nell’altra sponda del Congo-Brazzaville, ebbi a disposizione una buona mesata. Ne approfittai per approfondire un po’ la lingua lingala, il cui apprendimento l’avevo iniziato, appunto, a Brazzaville, dalla metà di maggio fino allo scoppio della guerra, il 5 giugno 1997. Mi portai a Gemena, nella regione dell’Équateur, dove era superiore-parroco, fr. Nadonye Jean Bertin, attuale Vice Provinciale della RDC.
      A Bwamanda - a 75 km di pista da Gemena - potetti ammirare le grandi opere sociali della giovane Fraternità congolese, da quattro anni eretta in Vice Provincia Generale. Opere grandiose. Già totalmente in mano congolese. Il responsabile locale, al nord, era, allora  fr. Nadonye Jean Bertin. Il direttore generale - aiutato, nella sede di Kishasa, da Suor Chiara, torinese di Torino – era il Vice Provinciale, fr. Fridolin Ambongo Besungu (vescovo di Bokungu-Ikela (Mbandaka-Bikoro, dall’11 novembre 2004) ne era il Direttore Generale.
     Opere ideate e realizzate dai confratelli missionari fiamminghi, in primis Gérulf Evenes e Léonard van Baelen (ex primo Vice Provinciale e attuale professore di teologa morale alla facoltà cattolica di Kishasa), e dal Dr. Van Mullen.
     Il famoso C.D.I. (Centre de Développement Intégral). Attività agricole, medico-sanitarie, socio-culturali e tecniche. Il C.D.I., oltre che all’Équateur, raccoglieva prodotti anche a Batuntu, nei dintorni di Kinshasa. Due grossi battelli solcavano, in continuazione, il fiume Congo, ai cui bordi  - a Kinshasa - dominavano i grandiosi capannoni dell’ex Bata, trasformati in immensi  magazzini di stoccaggio.
     Bwamanda: 50.000 abitanti (la regione), centro di raccolta di prodotti agricoli (mais, soia, riso, caffè, olio di palma), grandiosi magazzini di stoccaggio, un via vai di giganteschi camion. Diecine e diecine di persone salariate. Migliaia e migliaia di tonnellate di prodotti agricoli, acquistati a prezzi reali ai contadini-produttori, riversati, parte, in loco (a metà prezzo), parte (soprattutto caffè), esportati e rivenduti (in Europa), secondo i prezzi di mercato. I benefici finanziari ricadevano direttamente sulle opere sociali, dipendenti e sostenute dal C.D.I. stesso, che -  giocoforza - doveva contare su sostanziosi  aiuti esterni, soprattutto C.E.E.
     Una grossa “boutique”, questo C.D.I. Il suo progetto e i suoi programmi avevano valicato, da qualche tempo, le frontiere di Bwamanda, raggiungendo anche vari centri delle diocesi di Molengbe, di Bujala e di Lisala. Un campo, in cui il C.D.I. si era impegnato a 360°, era quello sanitario, campo in cui lo Stato era quasi assente. Una delle priorità essenziali era stata l’acqua potabile. In quel periodo, il C.D.I. aveva impiantato - appunto per l’acqua - 500 pompe manuali, per altrettanti villaggi. Venivano, poi, le strutture sanitarie, vere e proprie.
     Il C.D.I., in quel tempo, gestiva 8 ospedali e 50 centri sanitari, due scuole per infermieri (Bwmanda e Wapinda). A Bwamanda, una farmacia comunale assicurava medicine per buona parte della popolazione. Un sistema mutualistico, semplice ma efficace, assicurava l’accesso alle cure sanitarie di oltre 100.000 persone, nei vari ospedali gestiti dal C.D.I., il cui fiore all’occhiello era sicuramente il grande ospedale di Bwamanda-centro.
     Ogni giorno: una folla immensa di gente, un vero formicaio umano. Qui feci conoscenza diretta della mosca tsè-tsè e dei suoi effetti devastatori sulle persone. Ancora fissi nei miei occhi, gli occhi sbarrati di un giovane infermo, vittima appunto della “malattia del sonno”, con encefalopatia grave, quasi terminale.
      Dopo la gloriosa storia missionaria dei Cappuccini Italiani dei secoli XVII° - XIX° (1645 - !865), nel regno dell’antico Congo - chiamato in quel tempo Bassa Etiopia o Etiopia inferiore -, Congo, definito “cimitero dei Cappuccini, l’Ordine Cappuccino fece ritorno in una parte dell’ex regno del Congo (l’ex Zaire, l’attuale RDC), nel 1910, con i Cappuccini della Provincia delle Fiandre, fiamminghi e valloni.
     A Kinshasa e a Bwamanda, potetti ammirare gli sforzi dell’“implantatio Ordinis” (impiantazione dell’Ordine), oramai sotto direzione congolese. Dal marzo 1997, infatti, una nuova équipe guidava la giovane Vice Provincia  Generale: tre congolesi, un italiano, un fiammingo.
     Come Vice Provinciale era stato eletto Fr. Fridolin Ambongo Besungu, allora appena trentasettenne. I Cappuccini congolesi erano, in quel tempo, una dozzina. Una dozzina, anche, gli studenti di teologia-filosofia. Due novizi. Una diecina di postulanti.
     Ancora molto attiva – anche se quasi a “fine corsa”- la presenza dei confratelli missionari era la seguente: fiamminghi (10), italiani (Alessandria, Salerno), una diecina: un vallone. Tre confratelli sardi, dal 1989, si erano trasferiti nella Missione delle Seychelles. Giulio Baldus e Federico Furcas raggiunsero Mahé il 25 febbraio 1989. Ferdinando Tuveri, invece, il 19 luglio dello stesso anno.
     Lo studentato (filosofia e teologia) di Kinshasa - Limeté, era nelle mani del salernitano Modesto Fragetti. Il postulato di Bwamanda, invece,  era diretto dall’alessandrino P. Anselmo.
     Quasi dimenticavo di dire che - durante il mio soggiorno a Gemena - moriva a Bwamanda,  soccombendo ad un grave attacco di malaria, preso forse - si disse - un po’ alla leggera, il confratello P. Domenico di Salerno, allora missionario-parroco a Libenge, ai bordi del grande fiume Oubangui. Ebbi modo di accompagnare il feretro da Bwamanda a Libenge. Una folla straordinaria, lungo tutto il tragitto. Pianti e ovazioni ai suoi funerali, a Libenge, dove riposano i sui resti mortali. Un gran missionario! Così, lo pianse la gente.

Di nuovo tra i Pigmèi

 Verso la metà di febbraio - sempre via Kinshasa-,  arrivò il secondo mini-scaglione: Franco Nicolai e Carmelo Sciore. Fui subito richiamato a Kinshasa.
     Accertata lo stato di sicurezza minima nel Congo-Brazzaville, il 18 febbraio 1998, passammo all’altra sponda dell’ex Zaire. Dovevamo ricuperare il nostro fuoristrada a Douala (Cameroun). Toccò al sottoscritto.
     Il 26 febbraio, viaggio-lampo a Douala, via Bangui, dove rischiammo la pelle, causa - al momento dell’atterraggio - il blocco completo dei carrelli dell’Air Afrique. Solo paura. Un giorno e una notte di sosta forzata.
     Il 10 marzo ero a Ouesso, capitale della regione Sangha, pronto a raggiungere gli altri tre confratelli che mi avevano preceduto, a Souanké, dove pensavamo costituire, a quattro, la nostra fraternità missionaria. Non fu così. Date le distanze e i disagi degli spostamenti, si finì per dividerci le due stazioni missionarie: Franco  Nicolai e Carmelo Sciore[15], a Souanké; Umile Giletti e Vincenzo Sirizzotti, a Sembé.
     In piena foresta tropicale. Oltre duecento km di pista tra Ouesso (centro della diocesi, retta allora da Mons. Hervé Itoua) Sembé - Souanké. Strada-paraocchi: ammantata di verde da un viaggio all’altro, quasi un grande corridoio-tunnel, tagliato in una foresta fittissima, alberi giganteschi a destra e a sinistra, cielo, strada che spesso diventava sapone, alberi giganteschi che spesso ti sbarravano la strada. Motosega sempre a bordo.
     Clima arci-micidiale. Ne fecero le spese, quasi subito, i  confratelli Carmelo Sciore e Umile Giletti, che dovettero abbandonare la missione. Carmelo Sciore, appena quindici giorni dopo il suo arrivo. Umile Giletti - dopo due tentativi (vani) Brazzaville-Roma-Brazzavile - ci lasciò anche lui, dopo qualche mese.
     A Sembé, ci avevano preceduto le Suore Missionarie Francescane del S. Cuore, il cui primo impatto segnò, fin dall’inizio, la loro presenza in terra pigmèa. La Superiora Generale, Madre Ines Pavani, in visita esplorativa alla loro futura missione, a mezza strada - causa l’ingombro stradale invalicabile, opera dei giganteschi alberi di foresta, di traverso sulla strada - dovette fare marcia indietro.
      Due per due stazioni missionarie. Distanze, isolamento e disagi per gli spostamenti, come già accennato. I due confratelli restanti fecero il loro meglio per assistere le Suore Francescane e le piccole comunità bantù e pigmèe, stagliate lungo la pista Souanké-Sembé-Ouesso.
     La sicurezza ancora aleatoria, la mancanza di prospettive per l’avvenire, fecero decidere, in alto loco, dopo una visita ufficiale del Vicario Provinciale di Roma, Fr. Carmine Antonio  De Filippis, attuale Ministro Provinciale del Lazio, la chiusura della missione.
     Ci piangeva un po’ il cuore, soprattutto nel dover abbandonare le Suore Francescane, che avevano atteso per mesi l’arrivo del primo missionario cappuccino (P. Leonardo di Cosenza),  che erano state, anche, un po’ il nostro sostegno morale, e che ora si vedevano abbandonate di nuovo.
     Le Suore[16], meritavano le nostre attenzioni. Ben sostenute dalla loro fiorente fondazione del Cameroun, avevano fondato un rispettabile dispensario (con annessa farmacia) e una piccola scuola per bambini pigmèi. Erano pronte per altre fondazioni, verso la strada di Ouesso.
     La gente le amava e le rispettava. Aiutarono molto il confratello P. Umile Giletti. Rimasto solo soletto, mi erano state, personalmente, molto di aiuto e di sostegno morale, soprattutto all’occasione d’un serio attacco di malaria[17].
      Decidemmo di lasciare un “ricordo” del nostro quasi-passaggio, della nostra presenza, sia pur breve, cappuccina. A Souanké, Franco Nicolai completò definitivamente - ornandola anche di pitture murali - la grande chiesa, lasciata incompiuta dall’Abbé congolese che l’aveva preceduto. Un gran bel lavoro, come suo stile, di gusto artistico. A Sembé, lasciammo la nuova casa parrocchiale e la chiesina (ex sala di teatro), completamente trasformata. Una piccola grotta di Lourdes.
     Missione compiuta!? Credo fermamente di no. Credemmo, fino all’ultimo istante ad un possibile salvataggio. Mi risulta che ci furono vari solleciti da parte della nostra Curia Generale. Più in basso vedremo il resto.
     Partenza definitiva - via Cameroun - con il confratello Franco Nicolai, il 18 agosto 1999, all’indomani dell’inaugurazione dei due lavori completati. Io rientrai a Roma, via Douala-Nairobi-Amsterdam, il 30 agosto 1999
     L’Africa lascia i suoi segni. Che cosa ricordare, in modo particolare?
     I pigmèi e i loro “trulli” di foglie, stagliati ai bordi della grande pista (Sembé-Ouesso). Abitazioni quasi volanti, che scomparivano da un giorno alla’altro. I loro “mobili”, fatti di rametti d’albero di foresta. Le loro mani lunghe (i pigmèi sono scalatori di alberi di alto fusto e dalla circonferenza ben pronunciata), i piedi piuttosto corti, petto e i seni (uomini e donne) piuttosto pronunciati. Ricordo con piacere uno di loro: sposato cattolicamente (cosa rarissima), fedele collaboratore delle Suore nella gestione di piccole scuole, per bantù e pigmèi. Nostro battistrada nei nostri contatti con la popolazione pigmèa. Aspirante (se fossi rimasto in loco!) mio maestro di lingua baka.
      Il contatto diretto con la piccola e grande stregoneria locale. Non lontano da noi, era sorto un quasi ospedale, gestito da una grande matrona - stregone, che accoglieva gente anche dal lontano Cameroun. Gente che veniva da 500 km. Due decessi “misteriosi”, alla vigilia di Natale 1998: AIDS e incidente automobilistico, in piena foresta. Ricerca affannosa del “chi”: lo zio paterno del giovane, schiacciato da un fusto pieno di gasolio; l’ex amante - lontano mille miglia da Sembé - per la giovane nostra catechista! 
     Quelle cerimonie di circoncisione di giovani, bantù e pigmèi, ormai ventenni: un mese di isolamento, entro i trulli di foglie, sempre (giorno e notte) unti di oli di foresta, con temperature che toccavano i 40-50 gradi - se non più - all’ombra. Quelle veglie mortuarie che, a turno, si ripetevano - giorno e notte e fino ad alba inoltrata -, intorno alla nostra casa, e che non ti lasciavano chiudere un occhio. Quei fulmini che - durante le tempeste tropicali - si abbattevano nei circondari immediati del nostro villaggio e della nostra missione. Una vera guerra! Infine, quella canna di fucile, respinta di forza, tra lo stipite e la porta, alla vigilia della nostra partenza! Un grido e via. Un po’ di paura. L’ultima, in terra d’Africa.
     Un’esperienza unica, quella biennale tra i pigmèi. Oltre le fortissime febbri malariche, feci l’esperienza anche della filaria, curata tempestivamente,  con l’aiuto di Suor Rita Pia.
     Il tempo libero mi permise… il passatempo della lettura. Sui pigmei, in primis. Su di loro feci un lungo servizio per Continenti.
     I miei due brevi soggiorni in RDC (ex Zaire) mi avevano abbastanza “solleticato” sulla storia della Chiesa locale, sulla sua liturgia. Soprattutto il rito zairese, di cui avevo tanto sentito parlare. Il giorno dell’Ascensione, 7 maggio 1997, nella chiesa di “Sainte Catherine de Sienne” - celebrante principale Modesto Fragetti di Salerno, già da dieci anni, missionario in loco - ebbi la “chance” (occasione) di vivere “live” quella magnifica liturgia. Non, poi, troppo strana, come logica liturgico - teologica! Il
Cardinale Malula e i suoi Mongambe (sorta di laci-parroci), la facoltà teologica di Kinshasa, quelle numerose congregazioni religiose.


La Missio antiqua

     Oltre il già detto sulla Missione cappuccina congolese moderna, mi incuriosì molto la famosa Missio antiqua (1645 – 1865). Interesse vivo anche per la più recente Missione Cappuccina Veneta, nel Congo Portoghese/Angola (1948), missione impiantata sulla “memoria” dei 12 loro confratelli della Missio antiqua. Da ricordare: P. Giovanni da Belluno. Si dice che portasse le stimmate. Dopo 9 anni di missione, morì in mare mentre rimpatriava. Sepoltura, in mare! Aveva 53 anni.
     Partii da Roma già abbastanza equipaggiato. Tre libri importanti nelle mie valige[18].  A Brazzavile, comprai un quarto libro sulla Missione dei Padri Spiritani: Jean Ernoult, Les Spiritains au Congo de 1865 à nos jours. Matériaux pour une histoire de l’Église au Congo.
     Quattro libri, ad hoc, per il mio scopo, e per le mie “curiosità” libresche. Il più interessante, sicuramente, il libro del Filesi T.- Isidoro da Villapadierna. Me li  “sciroppai” tutti e quattro. Quello del duo T. Filesi- Isidoro daVillapadierna, soprattutto. Una miniera di notizie su quella che fu - sicuramente - la storia missionaria più gloriosa, scritta dai missionari cappuccini italiani.
     Un lungo articolo. Continenti, prima, L’Italia Francescana (n° 1, gennaio-aprile 2002, pp.43-60), dopo, se ne fecero tramite per i lettori delle due riviste.
     Missio antiqua del Congo.
     Cominciamo dall’antico regno di Loango, punta  ovest dell’attuale Congo-Brazzavile. Qui la presenza dei missionari della Missio antiqua fu quasi fugace. In effetti, vi lavorò, praticamente, un solo missionario, Bernardino Ungaro, della provincia religiosa di Roma. Col suo compagno il fratello Leonardo da Nardo, l’Ungaro vi mise piede nella prima metà del 1663. Lavoro intenso, e senza sosta. Battezzò e unì in matrimonio il figlio del re e un gran numero di cortigiani. In meno di un anno, 6mila battezzati e molti matrimoni (Cavazzi). Causa siccità e carestia prolungate, e seguente caduta di piogge abbondanti -  tutto (creduto) dovuto alle preghiera del confratello - , l’Ungaro si vide attribuito il titolo di  “Sacerdote della pioggia”. Il suo cadavere – per paura di dissacrazione – fu gettato in mare (18.06.1664).
     Altro vano tentativo, nel 1777.
     Missio antiqua del Congo, soprattutto: tutto l’ex Zaire (RDC), tutto l’ex Congo Portoghese (attuale Angola).  Territori immensi. Difficoltà - fisico-sanitarie, tecnico-pedagogiche, ecc. - sovrumane. 440 missionari cappuccini. Vi si andava “per evangelizzare e per morire”. Così si diceva in quel  tempo. Duecento venti morti, nei 190 anni effettivi della Missio antiqua (1645-1835). Morti su terra, morti ( e sepolti!) in mare. Morto trucidato, con cadavere che suda di liquido odorifero, Giorgio da Gell. Morti avvelenati:  Francesco Maria da Volterra (1660); Stefano da Castelletto e Giacinto da Faenza. Questi ultimi, appena dopo qualche giorno del loro arrivo, a Soyo (1777).
      Quel Padroado (Patronato d’Oriente) portoghese, che, talvolta, si trasformava in vera e propria persecuzione; quelle poco edificanti presenze delle gerarchie civili e ecclesiastiche, quella vita godereccia dei molti residenti bianchi. Quel problema grave della “lingua naturale”. Quei
maestri-interpreti, traduttori-traditori! Quei frequenti pericoli di cannibalismo (antropofagia)!
     Dire Missio antiqua - oltre che il numero delle vittime - significa anche cifre mirabolanti di battesimi, matrimoni, confessioni, ecc. Emblematici i nomi di Cherubino da Savona, considerato “il più grande missionario di tutti i tempi”: 700mila congolesi battezzati e 37mila coppie unite in matrimonio. Il tutto, in tredici anni e mezzo. Girolamo da Montesarchio: 100mila battesimi, in 20 anni (1648-1668). Media quotidiana: 400, 500 600…, fino 1070, “in modo che dalla mattina alla sera non havea tempo di rifiatare” (una sua lettera).
     Qualche altra cifra. Raimondo da Dicomano, rimasto a Salvador dal 1792 al 1795, scrive di avervi battezzato 25mila bambini. Luigi Maria da Assisi, nella sua “missione volante” di 10 mesi a S. Salvador, nel 1814, battezzò 27mila persone e ascoltato circa 6mila confessioni!
     Secondo studi fatti, la media annuale scese di molto negli ultimi 35 anni (1800-1835). Ma le cifre sono là. Ogni commento è difficile e imbarazzante. “Il dubbio che sorge spontaneo - sussumono i due autori citati - è che, se sotto queste cifre grandiose […], potesse nascondersi un cristianesimo del tutto superficiale”. - Sacramentalizzazione ad oltranza? Ci si domanderebbe, oggi.  Cito ancora i nostri due autori: “Si badava forse più alla quantità che alla qualità? Gli elementi che militano a favore dell’una o dell'altra interpretazione sono vari e più o meno credibili”.  
     Altri tempi, altri metodi di evangelizzazione. Figure poliedriche di missionari, rimaste scolpite nella “memoria” storica delle moderne Chiese dell’ex Zaire, del Congo-Brazzaville e dell’Angola.
      Qualche nome. Bonaventura da Alessano, Serafino da Cortona, Antonio da Gaeta, Francesco da Licodia, Giovanni Antonio Cavazzi da Montecuccolo. Missionari dai notevoli contributi scientifico-linguistici, sulle lingue kimbundu e kikongo. In primis, Bernardo Maria da Canicattì. Poi, i nomi eccellenti di Bonaventura da Sardegna, Giuseppe da Pernambuco, Francesco da Veas, Serafino da Cortona, Giacinto Brugiotti da Vetralla, Antonio Maria da Monteprandone, Serafino da Cortona, Antonio da Tenuel... Contributi storico-geografico-etnografico-antropologici, con la colossale opera di Giovanni Antonio Cavazzi da Montecuccolo[19]. “Senza dubbio l’opera più monumentale, più nota e più ricca di notizie e di osservazioni d’ordine missionario, storico, tra quelle redatte dai cappuccini italiani del Congo e dell’Angola” ( T. Filesi e I. da Villapadierna).
     Il 7 maggio 1845, Bernardo da Burgo, ultimo prefetto della “Missio antiqua”, - in compagnia del fratello converso congolese Bernardo da San Salvador - lasciava il Congo, imbarcandosi a Luanda. Conclusione di una storia di 190 anni. Con almeno 440 missionari cappuccini italiani che, - pur con i limiti storici del tempo - avevano evangelizzato, il più delle volte mettendo a repentaglio la propria vita, quelle immense regioni dei due Congo e dell’Angola moderni.
     Vari tentativi furono avanzati - dietro solleciti di Propaganda Fide (10.08.1854; 20.04.1865) -  per richiamare in vita la Missio antiqua.
     Risposta negativa (definitiva) dei Superiori Generali OFMCap, 31 luglio 1865.
     Propaganda Fide, con decreto  del 10.08.1865, affidava - con la stessa posizione giuridica e gli stessi diritti - l’ormai ex Missio antiqua alla Congregazione dello Spirito Santo (Spiritani).
     Il 14 marzo 1866, i primi padri Spiritani sbarcavano a Ambriz, nell’attuale Angola.
     Per quanto riguarda l’ex regno di Loango, e l’attuale Congo-Brazzaville, la nostra presenza di due anni, a SouanKé e Sembè, non fu vana. Oltre che lasciare qualche piccolo “segno” sul posto, servì anche a smuovere le acque, in vista di un ritorno definitivo dell’Ordine cappuccino, anche in questa piccola porzione della Missio antiqua La nostra partenza, effettivamente, risultò una chiusura provvisoria. La Provvidenza pensò a trovarci degni epigoni, senza problemi di “lingua naturale”.
     Da domenica 20 ottobre 2001 - dietro mandato del Ministro Generale, John Corriveau, che accoglieva positivamente la domanda di Mgr. Jean-Claude Makaya, vescovo di Pointe-Noire - la Vice Provincia Generale del Congo (Kishasa) metteva piede - questa volta definitivamente - nell’altro Congo (Congo-Brazzavile). Fraternità a tre. Chiesa parrocchiale di “St. François d’Assise”, a Pointe-Noire.
     In presenza del Vice Provinciale, Fridolin Ambongo Besungu e del suo primo consigliere, Nadonye Jean-Bertin, il Vicario Generale della diocesi congolese (Mgr Jean-Claude Makaia assente, causa sinodo dei Vescovi, a Roma), istallava ufficialmente i Cappuccini a Pointe-Noire.
     Un vuoto (nostro quasi fugace passaggio, a parte) di 224 anni (1777-2001). Lunga vita alla presenza cappuccina-congolese, in Congo-Brazzaville!

Madagascar: altre sponde

     L’Africa aveva dato un’altra pennellata alla mia vita missionaria. La natura arci-ricca - in flora e fauna - della foresta tropicale, mi aveva quasi ammaliato. La popolazione pigmèa mi aveva toccato un po’ al cuore. La maestà fisica dei bantù non mi lasciò indifferente. I bisogni dell’Africa, immensi.
     Ci furono varie “sirene” che tentarono di fermarmi sul suolo del continente nero. In primis il Generale d’allora che pensava di spedirmi in qualche casa di formazione cappuccina dell’Africa dell’ovest. Ma quell’infinità di dialetti (lingue?)! Pensate: a Sembé, omelia in francese, bisogno di interprete, e la gente rideva; omelia, in lingala, ancora interprete, la gente rideva, ancora. Traduttore – traditore! Morale della favola: tutto doveva passare tramite la lingua-dialetto locale, già differente a Souanké. Se fossi rimasto, mi ero già impegnato con la lingua “baka” dei pigmèi.
     Non più giovane per far fronte ad altri inizi (in Africa – causa, soprattutto, i problemi linguistici appena accennati - più difficili che altrove), feci subito richiesta ai Superiori (sia a Roma che in Madagascar) di poter far ritorno nell’ormai mia seconda “patria”, e la cui lingua ufficiale - compresi dialetti vari  - era diventata da tempo la mia seconda lingua. E, poi, quel bagaglio enorme di antropologia e cultura malagasy; quei detti e quei proverbi, ormai “tandra vadin-koditra” della mia vita (profondamente assimilati). Poi, non ultimo, quella massa di giovani fraticelli malagasy, ancora imberbi, non troppo maturi, ecc., a cui, forse, potevo essere utile, come zoky (fratello maggiore) e/o come ex mpanabe (educatore-formatore). Un insieme di cose e di motivazioni, che pesavano sulla bilancia, e che pendevano -  di nuovo -  verso l’altra sponda, al sud dell’Africa.
     Sette mesi e mezzo a Monte San Giovanni Campano (Fr), in attesa della celebrazione del capitolo provinciale di Roma. Mi godetti un po’ gli ultimi giorni di vita di mia madre Elisa, anche lei arci-felice - dopo anni di assenza e visite triennali passeggere - di avermi accanto per così lungo tratto di tempo.
     2 marzo 2000. Pranzo di addio, nel convento di Monte San Giovanni Campano. Alla fine del pranzo - quasi scherzando, ma con voce chiara e alquanto sostenuta, (lo ricordo come fosse ora, mentre stendo queste note) – mi dissi testualmente: - Adesso ci salutiamo. Quando ritornerai, se mi trovi, bene; altrimenti, vieni a trovarmi, dove sto, accanto a tuo padre!
      Il 19 maggio seguente - in piena celebrazione del giubileo dell’anno 2000 (unitamente a tutti i sacerdoti della diocesi di Ambanja, guidati dal giovane Pastore Odon Marie Arsène Razanakolona,  vecchia mia conoscenza in quel di Fianarantsoa), a Bemaneviky d’Ambanja - mamma Elisa se ne andò. Lo seppi due-tre giorni dopo, di ritorno a Nossibe. Mamma della mia vocazione religiosa, mamma e benefattrice della mia vocazione missionaria. Benedette mamme di sacerdoti, di persone consacrate! Benedette mamme di missionari/e!
     Il 14 marzo 2000 ero di nuovo nel Madagascar.
     L’apertura della nuova missione di Belo sur Tsiribihina, in diocesi di Morondava, nel sud-ovest del Madagascar, era nell’aria da qualche tempo. In attesa di una decisione finale, fui mandato dal nostro Superiore d’allora, Pasquale De Gasperis da Castelliri (Fr), al nord del Madagascar. Un  anno a Nossibe, fraternità “Mgr. Calliste Lopinot”, come incaricato di Nosy Komba, l’isola dei Lemuri.
     Un’esperienza indimenticabile. L’ habitat paradisiaco dei lemuri con la loro visita quotidiana pomeridiana: quella mezz’ora di “mu… mu”, sull’albero dell’ ylang-ylang, accanto alla grande veranda della nostra casa, in attesa della rituale banana ; quel profumo intenso degli ylang-ylang, da cui i vecchi missionari alsaziani avevano estratto, fino a qualche decennio prima, e per quasi mezzo secolo, probabilmente, migliaia e migliaia di litri di essenza; quei fondi marini popolati di coralli di ogni genere, di tartarughe di mare che spesso le vedevano galleggiare beatamente sulle onde azzurre del canale del Mozambico, nei dintorni di Nossibe, Nosy Komba, ecc.; quel mare spesso minaccioso, ma anche tanto attraente. Quella gente - soprattutto i pescatori - tanto simpatica.
     La nuova chiesa a Antitorona, la grotta di Lourdes, le piantagioni di ananas, i fiori… Anche qui bei ricordi.

Belo sur Tsiribihina

     Fine aprile 2001, raggiunsi Belo sur Tsiribihina, e vissi, quasi 4 mesi, con l’ équipe missionaria locale: un missionario della Salette e un sacerdote diocesano. Presi contatto  con la nuova realtà locale.
     Il primo settembre 2001, la nostra istallazione ufficiale da parte del vescovo diocesano, l’americano Mgr Joseph Donald Leo Pelletier, ms. La popolazione locale si incuriosì subito dei nostri sai cappuccini. Si attendeva da noi qualcosa di grosso e forse di nuovo, il cui piano era già maturo nella mia testa. Lo rivelai subito al Vescovo diocesano: al centro, ritorno delle Suore Francescane Missionarie di Maria alla gestione della scuota, apertura del liceo, istallazione di una radio FM; nelle campagne: scuola e scuole ad oltranza.
     Équipe iniziale: il sottoscritto e tre confratelli malagasy (due sacerdoti e un fratello laico).
     Da una missione - Ivato Ambositra, ai bordi della strada nazionale, strada asfaltata, molto frequentata, la strada del sud dell’Isola - passavo ad una regione quasi completamente isolata, con piste disastrate, con un grande  fiume (Tsiribihina) da traversare, fiume che durante la stagione delle piogge si trasforma in mare aperto. Da una popolazione cristianizzata quasi al 100%, passavo  alla cura - a parte Belo-centro - di una dozzina comunità più o meno vive, con chiese-cappelle, eccetto una manata, quasi tutte fatiscenti.
     Al centro, trovai la grande istituzione scolastica “San Francesco d’Assisi” con i suoi 600 -700 alunni, dalla scuola materna alla terza media. Scuola della Missione, sotto la responsabilità dei sacerdoti, ma a gestione laica; scuola, che avrebbe dovuto funzionare, ma che in realtà “girava” poco e male: diplomi facili, gestione del denaro poco chiara, serietà morale e professionale a scappamento ridotto.
     I problemi del distretto missionario erano vari, e tutti di non facile soluzione immediata. Cominciai dal centro, dando, come si dice, un colpo al cerchio, e un colpo alla botte.
     Il livello di formazione dei maestri - tutti figli della rivoluzione social - comunista di Didier Ratsiraka - era preoccupante. Notai, fin dall’inizio, la mancanza quasi assoluta di libri, sia per i maestri, sia per gli alunni. I maestri  andavano avanti (ancora) con i loro quaderni di appunti delle loro scuole medie e del loro liceo.
     Di qui, l’urgenza di libri scolastici e di una biblioteca. Corsi di formazione intensiva, corsi di lingua francese (tramite l’Alliance Française); apertura internazionale per maestri e alunni (canale TV satellitare). Quasi uno shock per molti! Qualche maestro “marinò” i corsi di lingua francese!
     Si fondò una biblioteca, ben presto fornita di qualche migliaio di libri, direttamente scolastici e non scolastici. Il canale satellitare fu messo a disposizione di tutta la scuola. I maestri, pian piano, si accomodarono ai nuovi ritmi di formazione.
     Con l’aumento del numero degli alunni e il miglioramento del livello scolastico, nel 2005, aprimmo anche il liceo. Mettere fuori il direttore laico (oltre tutto, senza diploma adatto) non fu cosa facile. La Provvidenza ci venne incontro con l’arrivo dell’attuale direttore, il confratello P. Élisée Jean Philippe de Neri Ratoloniainomenjanahary[20], neo diplomato nelle scienze della comunicazione all’università salesiana di Roma. Le Suore Francescane Missionarie di Maria - da oltre trenta anni presenti in loco, fondatrici della scuola, ma lontane da qualche tempo dall’istituto scolastico - fecero ritorno all’ovile. La scuola ritrovò il suo nuovo soffio vitale. Dai 600-700 alunni del 2001, si passò ben presto alla bella cifra di 1500.
     A Belo sur Tsiribihina-centro - grazie al gemellaggio con le scuole elementari  e medie di Veroli (Fr), mio paese natale, e all’aiuto spicciolo di vari amici benefattori (citazione a parte per  una cara famiglia di Carpi-Modena, la famiglia Anna Maria e Luciano Malagoli, mia fedelissima e generosa benefattrice) –, ci fu possibile comprare libri, costruire la biblioteca, e quattro nuove aule scolastiche.
     L’aiuto importante da parte dell’“Église en Détresse” e della Missione Francescana Tedesca (MFZ) ci permise di costruire un magnifico salone di riunioni e di spettacolo.  Con l’aiuto finanziario di “ Manos Unidas” di Spagna, costruimmo un efficiente “foyer” per le ragazze. Un vecchio stabile fu adattato per i ragazzi. Tutti studenti al “San Francesco d’Assisi”.
     Nelle campagne s’imponeva una duplice azione: culturale e direttamente evangelizzatrice.
     - Dove cominciare? Pio XI diceva: prima scuola, poi chiesa. Seguimmo tale tattica. Scegliemmo come motto-guida: scuola-passaporto-per-il Vangelo e-per-la-vita. Mancando delle strutture scolastiche minime, lanciammo il nostro programma-scuola e scuole ad oltranza, accogliendo i primi bambini (scuola materna, età 3 anni e mezzo-4 anni ) nelle cappelle fatiscenti, dove esistevano. Primo lotto di apertura: 8. Secondo lotto: 3. Si arrivò quasi subito ad una popolazione scolastica di oltre 1.000 alunni. Le tasse scolastiche, in pratica, coprirono, fin dall’inizio, le spese per i salari dei maestri.
     Costruzione di nuove aule scolastiche.
     Una a Berendrika, all’est di Belo sur Tsiribihina, in direzione di Berevo -ai bordi del fiume omonimo. Qui, grazie agli aiuti di una cara famiglia, la famiglia Raffaele e Fabiola Sbaraglia di Alatri (Fr), mettemmo su piede - unitamente alla nuova cappella – una nuova scuola (scuola materna e elementari), insieme ad un pozzo. Sorella acqua. Acqua = vita. Fu il nostro motto.
     La gente beveva l’acqua saporita e profumata del fiume Tsiribihina (a noi familiare, soprattutto, per la doccia e  per il caffè mattutino!).
     Un’altra scuola - anche qui unitamente alla nuova cappella - a Ambakivao, sul canale del Mozambico. Grazie al sostanzioso aiuto d’una coppia di coniugi, Giuseppe e Laura Afferni, di Vespolate (No). Anche qui -oltre la scuola-cappella - potemmo dotare d’acqua dolce e potabile tutto il villaggio, che beveva acqua salmastra.
     Nella costruzione di queste cappelle e scuole, abbiamo sempre richiesto - come condizione previa, conditio sine qua non - la collaborazione, in materiale locale e forza umana, della comunità locale interessata.
     Principio base: da parte nostra, “aiuto”, ma non sostituzione tout court  del carico che doveva portare la popolazione interessata. In effetti, - esperienza insegna - la collaborazione personale all’impresa, dovunque e qualsiasi essa sia, dà valore aggiunto alla stessa opera e la fa sentire propria, garantendone efficacia e perseveranza nel tempo. In tre-quattro casi, dovemmo far marcia indietro e respingere le domande dei capi del villaggio e della popolazione.
     Fu davvero duro mettere in moto l’animazione di una popolazione abbandonata un po’ a se stessa. Ci appoggiammo molto sulla collaborazione delle autorità civili e scolastiche locali, che sollecitammo attraverso la radio locale, lettere, e i contatti personali.
     Le scuole di campagna divennero presto “mature” e cominciarono a sfornare alunni con diploma elementare BPC. Alcune sono talmente cresciute (vedi quelle di Antsiraraka e di Masoarivo) che da tempo fanno pressione per l’apertura, in loco, del CEG (scuola media). Tutto questo senza dimenticare la scuola “San Francesco d’Assisi” di Belo sur Tsiribihina-centro che sarà la prima beneficiaria della fioritura delle piccole scuole di campagna. Effettivamente: scuole di campagna significò subito vivaio per la grande scuola-liceo di Belo sur Tsiribihina-centro.
     Dal punto di vista più strettamente ecclesiale e civile cercammo di investire di responsabilità sia la sparuta comunità cristiana sia la popolazione dei vari villaggi. Per i pochi cristiani, motto-guida: Isika no fiangonana, antsika ny fiangonana (Noi siamo la chiesa, la chiesa è nostra). Per tutti: antsika ny  sekoly (la scuola è nostra). La scuola: parte integrante della vita cristiana e della vita sociale, in genere. Cosa non facile far entrare quest’idea vitale nella testa e nel cuore della gente, attanagliata da ben altri problemi.
     I frutti? I primi benefici sono stati per le famiglie. Sono stati i nostri giovanissimi alunni che si son fatti piccole guide dell’intera famiglia. Dal lavarsi mani e alla preghierina, prima dei pasti, alla Domenica.
      I frutti, in effetti, si sono visti anche per le nostre cappelle. Dopo qualche tempo dall’apertura della scuola (aula scolastica la stessa cappella traballante), le abbiamo viste riempite di adulti e di giovani. Apostoli, ancora, i nostri piccoli allievi. In un luogo (Masoarivo) esisteva una specie di cappella, una vera catapecchia. Vi trovai letteralmente quattro vecchie signore. Tramite le Suore di San Pietro Claver di Roma, potemmo costruire - oltre due pozzi - la nuova scuola e la cappella. Quest’ultima si rivelò subito insufficiente!

                                               Il fiore all’occhiello

     La modesta radio locale ci servì - oltre che per i nostri programmi direttamente religiosi, tutti i venerdì sera - per lanciare i nostri programmi  scolastici, e per l’animazione delle autorità civili e scolastiche locali e della gente comune.
     I mass media sono stati da sempre un po’ la mia passione. Li ho utilizzati quasi tutti: mini proiettori a pile, per diapositive; il super 8 e il 16mm, per il cinema; i moderni video-proiettori con schermi giganti.
     Mi restava la radio. Come detto sopra, una delle tre priorità di cui parlai subito al Vescovo diocesano. Un’impresa colossale, che fa venire i capelli bianchi al solo pensiero della vastità dei problemi cui far fronte, sia per la sua messa in atto e, soprattutto, per la sua gestione quotidiana.
     Dove trovare i soldi per le apparecchiature sì costose? É risaputo che dette apparecchiature radio non sono bruscolini (dicono a Roma). Richiedono soldoni e tecnici specializzati di supporto, sia per l’acquisto del materiale che per l’istallazione delle apparecchiature. Per quest’ultimo  aspetto ci appoggiammo subito ai sacerdoti Salesiani, già lanciati in radio locali e Radio Don Bosco d’Antananarivo (che trasmette da anni, via satellite, su tutto il Madagascar). Collaborazione e sostegno perfetto.
     I finanziamenti? - Bussate e vi sarà aperto! Bussammo, in primis - con semplicità francescana, ma anche con un di po’ coraggio - ai nostri confratelli cappuccini francesi. Risposta quasi immediata e positiva. I confratelli francesi ci garantivano l’acquisto delle apparecchiature. Per le strutture murarie più essenziali (pilone per l’antenna, studio e annessi  vari), bussammo ai nostri confratelli Cappuccini di San Giovanni Rotondo. Dimenticavo di dire che alla Radio - fin dall’inizio - fu dato il nome di Filongoa Soa-P. Pio. I confratelli di Foggia furono altrettanto solleciti nella loro risposta. La Provvidenza, per le cose belle, c’è stata e ci sarà sempre!
     Ci rimaneva la direzione tecnica e l’animatore spirituale. Dovetti battermi un po’ con il nostro superiore provinciale locale (Serge Rufin Andrianjava) dell’epoca, per avere la persona adatta. Alla fine la spuntai.
     Il confratello P. Élisée Ratoloniainomenjanahary - di mia conoscenza, a Ivato-Ambositra, fin dall’età di 12 anni -, tornava in Patria, diplomato in scienze della comunicazione, nell’università salesiana di Roma. Oltre la direzione del Liceo, si apprestò a prendere in mano l’istallazione della Radio Filongoa Soa – Padre Pio, e la sua direzione.
     Un’altra provvidenza!


Ancora altra sponda: Seychelles

     Alla vigilia del lancio della messa in opera di tutte le strutture, l’Obbedienza mi destinava all’apertura della prima missione della Fraternità Cappuccina “San Fedele da Sigmaringen” del Madagascar[21] nelle isole Seychelles (missione dei cappuccini savoiardi-svizzeri-sardi  per oltre 150 anni).
     Feci l’obbedienza con un bemolle. Due anni, e poi ritorno “in patria”. Arrivammo là in tre (due sacerdoti e un diacono[22]), il 23 ottobre 2006. Il vescovo diocesano – Mgr. Denis Wiehe, Cssp, originario di Mauritius - ci accolse nella splendida panoramica montagna del Beauvoir - La Misère, affidandoci la cura del santuario nazionale, dedicato al S. Cuore, metà di mega-pellegrinaggi annuali.
     Ci demmo da fare per rimettere in onore - col contributo dei due Comitati (pastorale e finanziario) - sia la cappella-santuario, sia le celebrazioni annuali. Lanciammo l’idea di una nuova grotta di Lourdes, meta di nutriti pellegrinaggi settimanali. Facemmo la nostra piccola parte, sia nella collaborazione con i vari parroci (Mahé e Praslin), sia nell’assistenza spirituale alle due comunità religiose locali, le Suore di St. Joseph de Cluny e la congregazione delle Suore Filles de Marie-Suore de Sainte Elisabeth (fusione 16 dicembre 1998), quest’ultime fondate dal Cappuccino svizzero, Maurice Roh (ultimi mesi del 1939).
     Seychelles: Eden! È vero. Oltre Mahé - l’isola più importante, con la capitale, Victoria - ho avuto la gioia di visitare cinque delle isole minori, tra cui quella di Bird (l’isola degli uccelli).
     Madre-Natura sembra si sia divertita a spargere, a piene mani le sue meraviglie, su tutte le 115 isole e isolotti (veri punti delle carte geografiche ufficiali): flora (tra l’altro, il famoso cocco di mare) e fauna (in primis, la tartaruga  “Esmeralda” di Aldabra) da sogno; fondi marini da giardino.
       I due anni passati alle Seychelles mi permisero di ammirare - attraverso le opere murarie e la comunità locale già ben solidamente affermata - l’immenso lavoro fatto dai missionari savoiardi (1851-1922), prima, e svizzeri (1922-1995), dopo. Rilevante, anche se breve (1989-1992), l’opera dei cappuccini sardi. Attraverso i documenti storici, ho potuto ammirare l’immane opera pedagogica dei Fratelli delle Scuole Cristiane (fine settembre 1867 - primi mesi 1876), dei Fratelli Maristi (4 gennaio 1884 - 6 settembre 1946), i Fratelli dell’Istruzione Cristiana di Ploërmel (21 novembre 1949 – 12 dicembre 1998).
     Da parte delle religiose, immane il bene operato dalle Suore St. Joseph de Cluny, nel campo dell’educazione, soprattutto femminile, dal loro arrivo nell’Arcipelago (15 gennaio 1861; dieci anni appena dopo la fondazione della Missione) fino alla nazionalizzazione delle scuole della Missione (1977), opera del social-comunista France Albert René.
     Immane la fatica (le lotte continue) dei missionari, sia savoiardi che svizzeri, per l’affermazione dell’educazione cattolica, soprattutto attraverso le scuole della missione, fondate, fin dagli inizi, sulle isole principali di Mahé, Praslin e La Digue.
     Per quanto riguarda le vocazioni locali, grandi sforzi sono stati fatti sia per religiosi/e che per il clero diocesano. Particolare attenzione - soprattutto con l’arrivo di Mgr. Denis Wiehe – ai movimenti laicali moderni[23].
     Il tempo disponibile, la mia curiosità intellettuale e il sollecito di P. Egidio Picucci, direttore della rivista missionaria dei Cappuccini italiani (Continenti), per un articolo per la sua rivista, mi lanciarono, fin dall’inizio, in ricerche storiche amatoriali sulla Missione delle Seychelles. Ricerche che si sono, col tempo, allargate - dato il loro legame storico - alle isole Mauritius e La Réunion, e alla chiesa anglicana. Il lavoro di ricerca mi ha fatto entrare pian piano in tutto il fenomeno della politica coloniale franco-britannica dell’oceano Indiano del tempo, con riferimento specifico alla tratta negriera. L’articolo per P. Egidio Picucci ancora non l’ho fatto, ma il lavoro è molto avanzato! Spero nella mano esperta di qualche confratello “storico” di professione, per la messa a punto[24].
     L’opera infaticabile dei missionari savoiardi e, soprattutto, svizzeri, sono tuttora evidenti nelle bellissime chiese e campanili, piazzati negli angoli più suggestivi delle isole di Mahé, Praslin, La Digue. Menzione a parte per la cattedrale di Victoria e la cosiddetta “Domus”, opera semplicemente monumentale, terminata fine anno 1934. E poi quegli innumerevoli istituti scolastici, sparsi  su Mahé e nelle altre isole principali. (istituti – come già accennato sopra - nazionalizzati nel 1977). Il tutto, opera, per lo più, di Fratelli laici di alto calibro intellettuale.
     I Missionari svizzeri hanno segnato le Seychelles, oltre che con pietre e cimento, con la loro intensa opera di evangelizzazione, portata avanti -  esito molto al dirlo - piuttosto al singolare che al plurale (vita fraterna). Un limite che ha influito, probabilmente, sull’”impiantazione” dell’Ordine nell’Arcipelago, e forse - con-causa anche l’isolamento insulare - anche sul conflitto generazionale degli anni ’70-80. Grosso punto interrogativo.
      Dei Cappuccini sardi, devo ricordare, in modo particolare, l’opera coraggiosa di Giulio Baldus nella conduzione della rivista diocesana L’Écho des Îles.

Voce chiara e potente

     Fine Luglio 2007, visita lampo a Bel sur Tsiribihina. Anteprima, a Tsaraotana, villaggio ai bordi del fiume Tsiribihina, sulla strada di Berevo: inaugurazione di una nuova scuola, finanziata - tramite di amici di San Giovanni Rotondo - da una banca dell’omonima cittadina garganica. Celebrazione, solenne e alquanto extra, di un matrimonio di una giovane coppia di fidanzati di San Giovanni Rotondo, super innamorati del Madagascar: Marianna e Sascha. Celebrante: P. Elisée. Testimone: Vincenzo Sirizzotti. Invitati: celebrante e testimone. Pranzo di nozze: il solito piatto di vary (riso). Macchina nuziale: un vecchio rimorchio, trainato dal trattore della missione. Il tutto, 26 luglio 2007. A Praslin e Bird (Seychelles) ho benedetto due matrimoni di coppie italiane. Tutt’altro contesto!
     A Belo sur Tsiribihina, l’opera-radio - insieme ad altre belle iniziative - erano già in “gestazione” avanzata, al momento della mio trasferimento alle Seychelles. Il confratello P.Élisée portò allegramente e felicemente (contrariamente - sono obbligato a dirlo - a Ivato-Ambositra) a termine tutta l’opera di “gestazione”: radio, scuole, chiese, ecc.
     Attualmente il confratello - oltre che la direzione della scuola-liceo, la cura delle scuole elementari di campagna, e della radio FM - è impegnato nell’agricoltura e allevamenti e, soprattutto, nella costruzione di un grande centro medico-chirurgico, finanziato da un ONG belga (“Louvain - Coopération au Développement”), opera di cui la regione di Belo sur Tsiribihina ne aspettava, da molti anni, la realizzazione, e di cui mi ero già fatto promotore, anche attraverso la stampa.
     Per il felice evento della “nascita” e per il lancio ufficiale della radio Filongoa Soa – Padre Pio,- seconda emittente cattolica del Menabe - ebbi la gioia di assistere al  felicissimo evento della sua inaugurazione.
     Il 27 luglio 2007 - in presenza del Ministro Provinciale di Roma, fr. Carmine Antonio De Filippis, e del Segretario Provinciale dell’Animazione Missionaria di Roma, fr. Franco Nicolai[25]  - il vescovo diocesano, Mgr. Joseph Donald Leo Pelletier, ms, benediceva solennemente la nostra  Radio Filongoa Soa – Padre Pio.
     Felici e benèfici inizi d’una voce ormai di casa, in tutta la regione, e familiare a tutti, grandi e piccoli.
     Ogni volta che torno in Italia, aprendo la mia radiolina, ho l’impressione di essere investito da una valanga di onde che sembrano quasi di voler far violenza sull’ascoltatore. Qui, no. Una sola voce o, per esser più precisi, una voce e mezzo (il “mezzo” si riferisce alla radio locale, veramente a scappamento ridotto).
     Una voce chiara e potente, quella di Filongoa Soa –Padre Pio. Raggio di diffusione sui 100 km, a linea d’aria, soprattutto verso il sud-est Programmazione completa: catechesi e formazione cristiana, programmi culturali, educazione civica, formazione sanitaria, ecologica, agricola; informazioni locali, nazionali e internazionali, sport...
     Il tutto, in una regione immensa e senza strade. Nonostante l’arrivo del telefonino e dell’internet, la Radio FM Filongoa Soa-Padre Pio conserva sovrana la sua posizione di guida e di punto di riferimento per una popolazione di oltre 100.000 abitanti.
     La Radio Filongoa Soa-Padre Pio - grazie all’aiuto sostanzioso della famiglia Frasca-Riccitelli, famiglia del compianto confratello Carlo Frasca di Veroli (Fr)[26], aiuto giuntoci tramite un giovane OFM, Mario Silvio Riccitelli, membro di famiglia – vive e vivrà sogni tranquilli, almeno per qualche tempo.
     Tramite questa sponsorizzazione, (un buon gruzzoletto), di cui siamo sommamente grati alla famiglia Frasca- Riccitelli di Artena-Roma, la Radio Filongoa Soa-Padre Pio - oltre che il beneficio di un sostegno finanziario a lungo termine -, ha potuto essere subito dotato  di un pezzo preziosissimo, atteso da lungo tempo: l’antenna parabolica, per  il collegamento satellitare stabile con la Radio Don Bosco dei Salesiani della Capitale (Antananarivo). Radio che - come già accennato sopra - trasmette via satellite i suoi programmi (compresa la Radio Vaticana) su tutto il  Madagascar. Salto di qualità, dunque, che sicuramente porterà i suoi frutti su tutta la regione Menabe.
     Ognuno di noi carpisce il valore apostolico e culturale di un simile strumento, possente e altamente performante. Pensate: 5 sacerdoti per meno di 2.000 cristiani battezzati. Domenica e/o giorni festivi: un migliaio - sì e no, ma più no che sì - di fedeli praticanti. Radio Filongoa Soa: un solo microfono per 100mila anime, dalle 6 del mattino fino alle 22. Tutti i giorni!
     La bontà della cosa, non ci risparmia dal considerare da vicino il suo costo: spese di gestione (pezzi nuovi, computer, gruppi elettrogeni, carburante, salari del personale, ecc.)  che si cifrano a più zeri. Soldoni - in ariary  malagasy - a vari pacchetti. La propaganda spicciola, gli annunci pubblicitari  ecc., permettono di ricuperare qualcosa. Ma siamo molto lontani dall’ammontare delle spese ordinarie e straordinarie cui si deve far fronte, mensilmente. Si annunciano crisi di gestione economico-finaziaria serie. Crisi già in  atto, mi diceva recentemente il confratello Direttore. Crisi, dovuta in gran parte all’aumento dei prezzi della fattura dell’elettricità, dei pezzi di ricambio, e, anche, alla diminuzione degli annunci pubblicitari, conseguenza della diffusione crescente dei cellulari, anche nei fondi più reconditi delle campagne.
     Un budget annuale da capogiro[27].

L’ultima sponda

     Il 14 settembre 2008 - missione compiuta per il Seychelles - ho fatto ritorno nel Madagascar. Nel frattempo la giovane Provincia “Saint Fidèle” del Madgascar - dal 29.04. 2008 - è stata affidata a Fr. Francesco Vinci di Siracusa, mio compagno di missione, a Ambositra.
     Fine anno 2008, l’équipe iniziale, cui si erano aggiunti, in seguito, altri due confratelli (un diacono e un fratello laico), lascia definitivamente Mahé. Una mezza crisi, aggravata da altri elementi. Ma, alla fine, Fr. Francesco Vinci vi trovò una soluzione. Oggi come oggi, tre confratelli malagasy, tutti e tre sacerdoti, risiedono nella Fraternità “San Pio”, a Beauvoir-La Misère.
     Quanto al sottoscritto, in attesa di una possibile destinazione e decisione ulteriore - nel mio cuore e nella mia mente c’è stato sempre il desiderio di un ritorno in una vera zona di missione, possibilmente da partenza zero -, per due anni mi sono adattato ad un lavoro piuttosto intellettuale e di animazione spirituale, in una nostra casa alla periferia est della Capitale, a Ambohimalaza, all’ombra dello studentato di teologia “Sain Laurent de Brindes”, membro della fraternità responsabile del foyer “Sainte Marie des Anges”.
     Due anni molto intensi, appunto in attesa della decisione finale sull’apertura di una seconda casa-missione nella diocesi di Morondava, di cui mi ero fatto sostenitore già dai primi anni della nostra prima fondazione a Belo sur Tsiribihina, di cui abbiamo lungamente parlato sopra.
     L’anziano vescovo, Mgr. Donald Pelletier, ms, aveva già avanzato la sua richiesta ufficiale, nel mese di novembre 2009. Il nuovo Vescovo, Mgr. Marie Fabien Raharilamboniaina, ocd, ha reiterato la stessa richiesta. Il Definitorio Provinciale, fine giugno 2010, dava la sua decisione ufficiale: semaforo verde per l’apertura della seconda casa, nella diocesi di Morondava.
     Oltre il servizio apostolico nel nuovo distretto missionario e la presenza del nostro carisma francescano-cappuccino nel contesto della vita consacrata locale, detta nuova fondazione sarà anche un valido aiuto - come piede a terra - per i nostri confratelli di Belo sur Tsiribihina, finora obbligati a trovare ospizio occasionale, bussando - a qualsiasi ora - alle porte delle case religiose di Morondava, ormai quasi indisponibili.
     Il centro di detta nuova casa-missione, Tanambao Marofototra, è situato a 15 km da Morondava-città, ai bordi della strada nazionale Morondava-Mahabo, all’incrocio della strada (pista) che va verso il nord, in direzione di Belo sur Tsiribihina, fino a circa 70 km.
     Già abituato alle “fondazioni”, i Superiori mi hanno affidato nuovamente quest’arduo compito. Dico “arduo” per non usare un altro aggettivo. Senza contare l’età avanzata, effettivamente, si tratta di partire da zero, sia al centro sia alla periferia. Una periferia (che qui significa: aperta campagna, foresta, villaggi sperduti) ancora da definire e dove quasi non esiste la pur minima struttura e traccia di vita cristiana. Tutto da inventare, dunque: cappelle, scuole, catechisti, maestri, collaboratori.
     Come da esperienza ormai più che trentennale, cominceremo dalle piccole scuole, e dai piccoli, che saranno i nostri primi amici e battistrada-collaboratori di sfondamento.
     Per cominciare, saremo in tre: un diacono, un fratello (già mio compagno alle Seychelles), il sottoscritto. Inizi forzatamente in sordina. Ma avremo bisogno, subito, di altre forze giovani.
     La Provvidenza ci ha fatto subito un preziosissimo regalo: le Suore MIC Missionnaires Immaculée Conception, (fondazione di origine canadese), specializzate nella gestione delle scuole, che dal primo ottobre p.v. saranno già a lavoro per le iscrizioni dei bambini della scuola materna e della prima elementare, classi con le quali daremo inizio alla nostra Missione, a Tanambao Marofototra di Morondava.
     Oltre l’evangelizzazione, che passerà, soprattutto, attraverso le scuole e la scolarizzazione tout court, avremo l’arduo compito dell’animazione agricola, soprattutto la SRI (cultura intensiva del riso).
     Avremo bisogno di terreno e di mezzi, ma anche di tanto coraggio. Dovremo scendere nelle risaie, insieme con la nostra gente. La riuscita, in questo campo dovrebbe, anch’essa, contribuire a dare peso, quasi valore aggiunto, e “autorità” morale alla nostra presenza, in una zona benedetta da Madre Natura: acqua, sole, terra ancora quasi vergine. Culture del riso (senza parlare di manioca, mais, cocco, papaia...) fino a due-tre raccolte l’anno. Le indimenticabili esperienze del SRI d’Ivato-Ambositra, vorremmo portarle e attuarle,  in pieno e in comunione con la nostra gente, in questa nuova fondazione.
     Avevo già programmato, dall’ottobre 2009, con la benedizione dei Superiori di costruire, a Ambohimalaza (Antananarivo), una cappella, un vero e proprio santuario mariano, con annessa grotta di Lourdes, in piena foresta, a forma d’anfiteatro, che potesse accogliere circa cinquecento pellegrini. Detto santuario - che credo fermamente sarà bene accolto dalla gente della Capitale e farà tanto bene - porterà il nome di Oasis Notre Dame du Rosaire.
     Al momento in cui scrivo queste note i lavori sono in pieno corso. Le pareti interne saranno ornate di artistiche pitture dei tre grandi promotori del Rosario (San Luigi Grignon di Monfort, Beato Bartolo Longo, San Pio da Pietrelcina) e dei quattro Beati della Chiesa Cattolica nel Madagascar. Ci sarà anche il Beato Giovanni Paolo II. Totus tuus! Papa, innamorato della Madonna e del Rosario.
     Il 12 dicembre 2010: l’inaugurazione.
     Il tutto sarà a ricordo di due carissime persone della mia famiglia d’origine, compagne fedeli e benefattrici generose, per anni, della mia ormai lunga vita missionaria.
     Per la giornata mondiale delle Missioni (24 ottobre 2010) - in presenza del nostro provinciale, Francesco Vinci, di molti nostri confratelli - il nuovo Vescovo diocesano, Mgr. Marie Fabien Raharilamboniaina, ocd, ci presenterà ufficialmente alla comunità locale, sicuramente curiosa dei nostri sai cappuccini, curiosi sicuramente anche di vederci all’opera, tra di loro, con il nostro stile francescano-cappuccino. Le autorità locali, clero e religiosi/e i cristiani di Morondava, rappresentanti delle comunità cattoliche e delle Chiese cristiane sorelle di Morondava e dintorni, faranno sicuramente corona alla comunità di Tanambao Marofototra. Quest’ultima, sicuramente felice del privilegio di aver una comunità religiosa di Frati Cappuccini, tutta per loro.
     Ci si richiederà fede e coraggio. Partenza zero - come già detto - su tutta la linea. Tutto da inventare.
     Il nuovo distretto missionario, nel suo insieme, e la futura chiesa del centro -  accordo già avuto dal Vescovo diocesano.- saranno messi sotto la protezione di San Pio da Pietrelcina. Sarà la prima chiesa a lui dedicata, in tutto il Madagascar.
      Il Santo Confratello ci sarà modello permanente di ardore apostolico e d’illuminata ricerca del bene materiale e spirituale della nostra gente, in questa seconda fondazione cappuccina, nella regione del Menabe.
     Conclusione della “memoria”
     -Tutto perfetto? - Lungi!
     La Chiesa, nella liturgia, ci fa quotidianamente coniugare due verbi: magnificare (Magnificat) e confiteri (Confiteor). Due verbi molto francescani.
     Ovvero, due parole brevissime, ma densissime di significato: - Deo gratias![28]  -  Miserere!
     Il famoso missionologo svizzero, il cappuccino Walbert Bühlmann, parlava di una duplice missione da parte del/la missionario/a “ad Gentes” : in primis, missione “ad intra” (animazione delle proprie fraternità, delle proprie comunità, e chiese locali, di origine, di partenza), e missione “ad Gentes” tout court, poi.
     Se queste linee fossero - sia pur modestamente -  occasione di aiuto all’approfondimento della nostra vocazione missionaria battesimale, sia all’origine - per giovani, soprattutto -, anche di qualche nuova vocazione speciale, sacerdotale-religiosa-missionaria, o nascita di qualche nuovo gruppo missionario avrebbero, già, raggiunto pienamente il loro scopo.


    Antananarivo (Madagascar)
    Edizione finale, in data 20 settembre 2010

Fra Vincenzo Sirizzotti.  OFMCap



AGGIORNAMENTI.


     Nuovissima fondazione missionaria: Tanambao Marofototra, Morondova, Madagascar
     Fatta l’inaugurazione del santuario mariano Oasis Notre Dame du Rosaire, - con la partecipazione dell’Arcivescovo della Capitale malagasy, Mgr Odon Arsène Razanakolona, mia vecchia conoscenza nella diocesi di Fianarantsoa, che considera subito l’opera come una benedizione per l’arcidiocesi d’Antananarivo, il 12 dicembre 2012 – il 14 dicembre ero già in viaggio verso Morondava. Due confratelli malagasy - già dai primi di settembre 2010 - mi avevano preceduto in questa nuova sponda della mia missione di Tanambao Maoroftotra, nella diocesi di Morondava, regione del Menabe, sul canale del Mozambico.

     Nuovissima missione !... veramente

     PRIORITA’ ASSOLUTA

     Tutto da inventare, ma priorità assoluta alle piccole SCUOLE, soprattutto di campagna.
     Il 26 marzo 2011 - sotto la presidenza del giovane Vescovo diocesano, Mgr. Marie Raharilamboniaina, ocd, le cui priorità pastorali diocesane sono appunto scuola e scuole - lanciammo il nostro programma “Scuola e scuole a oltranza”, chiamando a raccolta tutti i responsabili civili della regione. Un successo! 
     Di scuole, per ora, ne abbiamo già aperte tre, nella povertà più assoluta. Puntiamo su una diecina.
     Dal Belgio, l’Associazione (OFS) MADA QUATRE, ci dà già una mano, ed è pronta a sostenerci per creare strutture complete per un centro scolastico per elementari, a Andranomena  a circa 20 km dal centro della missione, ai bordi della pista, verso Belo sur Tsiribihina.
     Al centro abbiamo già realizzato un primo lotto, per una scuola elementare completa e che porterà il nome “Laurent e Hélène Botokeky”. Quattro belle e spaziose aule scolastiche. Scuola già ben lanciata (circa 120 alunni, per cominciare), scuola gestita, sotto l’aspetto economico-pedagogico - in collaborazione con le nostre Suore MIC (che ci aiutano anche per le scuole di campagna). Un grazie sentito all’OPAM che ci ha aiutato per banchi, tavoli, armadi e scansie.
     Prima nuova chiesa. Cantiere già in stato molto avanzato. Piccolo stop, a causa della stagione delle piogge. Chiesa, in onore della Madonna delle Lacrime di Siracusa, finanziata da Mons. Pasquale Magnano, un sacerdote di Siracusa, ex rettore dell’omonimo santuario aretuseo. Inaugurazione prevista per il 2 settembre 2012. Per l’occorrenza - in concomitanza con le celebrazioni in Siracusa - si profila una nutrita presenza aretusea nel Menabe.
     Progetti: una chiesa (al centro) in onore di San Padre  Pio da Pietrelcina (ora preghiamo riparati da un gran tetto di paglia, sempre con la paura che qualche ciclone ce lo spazzi via!), e un salone di riunioni (cultura e ricreazione) in onore del Padre Mariano Paolo Roasenda da Torino, il predicatore della TV italiana degli anni 60-70, oggi Venerabile, in attesa della Beatificazione.
     Sogno (anche): l’apertura di un dispensario. Da mettere sotto la protezione del Beato Giovanni Paolo II. Abbiamo già delle Suore pronte a portarlo avanti. Presi contatti per la ricerca di eventuali sponsor, sia per la chiesa centrale (San Pio) che per la sala multiuso e il dispensario.
     In vista di una testimonianza credibile di amore al lavoro per i nostri confratelli malagasy, in vista anche di  una educazione al lavoro per la nostra gente - dietro aiuto dei nostri fratelli cappuccini di Francia - abbiamo acquistato 12 ettari di terreno, da destinare in parte a rimboschimento di essenze pregiate locali, alberi da frutta (soprattutto mango), manioca e altri  prodotti destinati all’alimentazione, quale complemento del famoso piatto di riso quotidiano.
     Davvero notevole la precarietà della nostra vita quotidiana: acqua potabile e doccia a 150 m. dalla casa. Traino: carriola. Acqua per servizi igienici: pozzo provvisorio, acqua tirata con corda e secchio. Illuminazione: candela e torcia a pile.
  
     Segnaliamo le seguenti URGENZE:

     Pozzo e castello per l’acqua.  Istallazione di un sia pur modesto impianto fotovoltaico. Terreno di basket per i nostri bambini della scuola e per la grande massa dei nostri giovani.  Li aiuteremo subito con DVD. Per il momento, nella sala spettacolo esistente: la nostra chiesa in paglia[29].

MISSIONE P. Vincenzo Sirizzotti, in MADAGASCAR

INDICAZIONI UTILI

Per il dispensario,
     Referente: Dott. Passi Mauro, Via della Repubblica,2 - 03029-Veroli (Fr). Cellulare: 331.309.74.00. Email: mauropassi@hotmail.com

 Per il tutto.
      Referente: Fr. Luca Casalicchio, procuratore missioni cappuccini romani, Via V.Veneto, 27 – 00187 Roma. Cellulare:388.858.09.52
email: roma.missioni@fraticappuccini.it

 Mass media, Locandina “verde” e sito web: sosbaobabmakisos

In Italia.
      5 x mille, pro missionari cappuccini romani, ONLUS
C.F. 975448700588.
     Conto corrente bancario: Monte dei Paschi di Siena, filiale n° 8682 di Roma. IBAN: IT97R0103003268000001613981

 In Madagascar
Tel. 00261.33.19.138.03  o 00261.34.96.447.89
Indirizzo postale: P. Vincenzo Sirizzotti, BP. 132 – 619 MORONDAVA Madagascar.
     Conto corrente bancario: BFV-SOCIETE GENERALE, sede di Morondava  619. Titolare: ECAR EGLISE SAINT PIO MORONDAVA.
IBAN: MG4600008007700500400630402. BIC BFAVMGMG

                                                          ***
GRAZIE VIVISSIME a AMICI e BENEFATTORI
                                                               ***


 Grazie sentite a Fr.  MARCO PALMERANI per la sua preziosa collaborazione tecnica.


                  Roma Verano, 22 maggio 2012


[1] Madagascar 1932-1975 ; ex missionario in India, uno dei primi battistrada alsaziani, al momento del cambio di guardia Spiritains (Cssp) - Capucins di Strasbourg, nel lontano 1932, e che aveva convissuto - da primo attore - con l’ancora giovane comunità sakalava-tsimihety. Prefetto Apostolico (14.06.1938), Vicario Apostolico (08.03.1951), Vescovo residenziale d’Ambanja (14.09.1955 - 05-06.1975). Nel 1975, fu nominato Amministratore Apostolico delle Isole Comore. Si è spento a Strasbourg, + 10.02 1987.
[2]  Arrivo in Madagascar, 31 marzo 1983, entrato in carica del detto Centre hansénien St François, nel 1988, maremmano di Pianzano (Vt) con diploma di Infermiere Professionale.
[3] Il confratello  - vero “questuante” delle missioni “ad Gentes”, dalla parola facile e convincente -, sapeva toccare il cuore dei suoi amici benefattori, soprattutto nelle sue  omelie di animazione  nelle  “giornate missionarie” che  lo ospitavano nelle parrocchie (anche fuori del Lazio) o nelle chiese dei conventi dei Cappuccini del Lazio. Il confratello si spense a Roma il 3 agosto 2008.
[4] Il confratello P. Pasquale De Gasperis (fu anche Vicario Generale della diocesi d’Ambanja), era stato trasferito,  nel mese di ottobre 2011, nella piccola isola di Nossibe, nel nord-ovest del Madagascar, con  compiti ancora  molto impegnativi (costruzione di una grande chiesa  - da dedicare a San Pio da Pietrelcina  -  nell’ “isola dei profumi”; casa dell’Ordine, nella nuova fondazione cappuccina,  a Antsiranana.  Durante  la visita pastorale del vescovo diocesano, Mons. Saro Vella, salesiano di Sicilia, nell’isola di Nossibe -  consunto dal lavoro, compianto da tutti  -   si è spento,  il 15 aprile 2012.  Le sue spoglie mortali riposano a Ambanja, accanto alla chiesa cattedrale, di cui era stato parroco.
[5] Oggi alla soglia dei quaranta.
[6] Mi permetto di dare il quadro completo dei missionari Cappuccini Romani: Ignazio d’Ercole, Carlo Frasca, Ambrogio Artuso, Franco Nicolai, Pasquale De Gasperis, Enrico Ranaldi, Massimino Faenza, Giuliano Giorgi, Roberto di Fabio, Antonio Pazienza, Marino Brizi, Stefano Scaringella, Ilidio da Luz Ramos, Alessandro Munari.

[7] La cui prima pietra fu benedetta da Mgr. Adolphe Léon Messmer, allora Prefetto Apostolico d’Ambanja, il 19 maggio 1949.
[8] Il confratello, arrivato nel Madagascar nel 1984, lavorò – sempre generosamente – a Maromandia  e, poi, più a lungo, a Befandriana Nord. Famose le sue “tournées” a piedi. Morì a Antananarivo, colpito da tifoide non curata in tempo, il giugno 1998.. Le sue spoglie mortali furono riportate in Italia. Fu sepolto nel cimitero del suo paesino natale, Montorio Romano (Roma).
[9] Il venerato confratello - oltre che “curé” d’Antsohihy  - è stato il primo “curé” cappuccino della parrocchia “St. Jean Baptiste” d’Ambohimalaza-Antananarivo, educatore nello studentato cappuccino d’Ambohimalaza-Antananarivo. Intelligenza sveglia e acuta. Sostegno spirituale delle Sorelle Clarisse. In data 5 settembre 2010, si è spento a Antsirabe, dove è stato per lunghi anni  tra i zoky (fratello maggiore) della fraternità dello studentato di filosofia. E’sepolto nel cimitero dei  Cappuccini, a Antananarivo-Ambohimalaza.
[10]  Dal primo dicembre 1946, la Prefettura Apostolica d’Ambanja era stata messa sotto la protezione del protomartire di Propaganda Fide, il cappuccino svizzero, Fedele da Sigmaringen. La Vice Provincia “Sait Fidèle de Sigmaringen de Madagascar” sarà proclamata all’occasione della visita del Ministro Generale, Flavio Carraro, il 21  agosto 1987.
[11] Giunto a Madagascar, in data 15.09.1981; + a Ambanja, 22.07.2010. Fu sepolto nel piccolo cimitero, accanto alla chiesa cattedrale d’Ambnaja.
[12] Le Figlie di Sant’Angela Merici si istallarono a Ivato-Ambositra l’8 settembre 1986.
[13] Dati i ritardi di esecuzione del progetto, il piccolo fondo l’ho destinato al primo lotto di aule scolastiche del centro della mia nuova missione,  Tanambao Marofototra, a Morondava.
[14] Futuro vescovo di Arezzo, Cortona, San Sepolcro (08-06-1996 – 25-07-1998) e di Verona (25.07.1998 – 08.05.2007).
[15] Ex missionario di Colombia, ex Provinciale degli Abbruzzi. Si spense a Pescara il 24.03.2007.
[16] Suor Rita Pia, superiora, infermiera-ostretica; Suor Pier Domenica, tutto fare; una Suora camerunese, Sylvie, unitamente ad una volontaria laica, della svizzera italiana, Poncini Anita, loro benefattrice e aiutante di campo.
[17] Contatti recentissimi con la Casa Madre “Assisium” di Grotta Rossa di Roma mi confermano la continuazione della Missione di Sembé. Suor Rita Pia e Anita Poncini sono ancora in loco. Suor Pier Domenica è da un anno in Italia per motivi di salute. Suor Sylvie sarebbe in Cameroun, vittima d’un grave incedente automobilistico in cui ha perso la vita la Vicaria Generale della Congregazione.
[18] Carlo Toso,  Il Congo, cimitero dei cappuccini nell’inedito di p. Cavazzi ; Teobaldo Filesi-Isidoro da Villapadierna , La Missio antiqua dei Cappuccini nel Congo (1645-1835); Lorenzo da Fara, La Missione dei Cappuccini veneti in Angola.


[19] Istorica descrizione de’ tre regni Congo, Matamba et Angola.
[20] Nel Madagascar, praticamente non esistono i cognomi. Si tratta di nomi veri propri - cui spesso si aggiungono quelli del battesimo - messi dai genitori al momento della nascita
[21] Provincia, 10.07.2005, con visita  del Ministro Generale John Corriveau.
[22]  Più tardi si aggiunsero un diacono e un fratello laico.  In tutto arrivammo ad essere in cinque
[23] Nota a parte merita l’OFS (l’ex TOF-Terz’Ordine Francescano), che beneficiò dell’opera pastorale notevole, soprattuto, di due grandi Pastori: Mgr. Symphorien Mouard, savoiardo (Vicario Apostolico, 1882-1888); Mgr. Marcel Olivier Maradan, svizzero  (Vescovo, 1937-1972). L’OFS era presente tutte le comunità parrocchiali delle Seychelles. Al nostro arrivo trovammo silenzio quasi assoluto. Dappertutto.
[24] Il lavoro, fine febbraio 2012, è stato affidato alle cure del confratello cappuccino Salvatore Vacca, direttore della Rivista Lauretianum del Collegio internazionale dei  Cappuccini in Roma e vice preside della scuola teologica di Palermo.
[25] Il confratello, ex missionario del Madagascar, delle isole Comore e del Congo- Brazzaville, il 17 di ottobre 2010, alla soglia di quasi 70 anni, rivedrà il suolo d’Africa, nella missione cappuccina del  Benin  -  missione fondata dai confratelli cappuccini delle Marche -, seguito, il 19 ottobre 2011, dal giovane  Fra Alessandro Di Blasio.
[26] Come detto sopra, tra i quattro missionari cappuccini romani del primo scaglione, partito per la missione del Madagascar, nel novembre 1967.
[27] AAA. Benefattori e Sponsor stabili cercasi!

[28] Motto-vita di Felice da Cantalice (“Frate-Deo gratias”), primo santo della Famiglia francescana dei Cappuccini, di cui ricorre quest’anno il 300° anniversario della canonizzazione (22 maggio 1712 - 22 maggio 2012).
[29] Questi aggiornamenti, insieme alle brevi note a piede di pagina, sono state introdotte in Roma-Verano, in data 15 maggio 2012. Chi desiderasse avere queste note (Appunti di vita missionaria) via email, può rivolgersi a fr. Luca Casalicchio o al sottoscritto, Vincenzo Sirizzotti, secondo gli indirizzi di posta elettronica indicati nella pagina che segue.



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