martedì 22 maggio 2012

Scatti dal mondo


Inaugurata a Roma la mostra del fotografo Tano Siracusa. Le foto del viaggio con un medico volontario, raccolte in un libro.
Trenta scatti di altri mondi. Mongolia, Madagascar, Foresta Amazzonica brasiliana e Isole Solomon. Sono le opere del fotografo siciliano Tano Siracusa, esposte a Roma nella galleria d'arte "Monty&Company".
Le fotografie sono tratte dal volume Con i suoi occhi. In viaggio con un medico volontario che l'artista ha da pochi mesi pubblicato per Polyorama e che è stato presentato da Vittorio Alessandro, ufficiale del comando delle Capitanerie di porto. 
Tano Siracusa ha pubblicato su numerose riviste in Italia e all'estero, ma rivolge il suo sguardo e il suo obiettivo prevalentemente alla sua città, Agrigento, e ai Paesi del sud. Questa volta ha deciso di seguire un medico volontario occidentale nella sua attività, in quattro periferie estreme. Uno dei tanti medici volontari che operano nei Paesi poveri del mondo raggiunge ogni anno queste realtà. E lo fa in modo anonimo, lontano dai riflettori, dai media. 
Il libro e la mostra fanno vedere a noi ciò che il medico ha visto durante questi suoi viaggi. "Con i suoi occhi" presenta quattro luoghi diversi del pianeta dove, ci accorgiamo, i tempi e i modi occidentali stanno lentamente penetrando. Il medico volontario lavora in luoghi lontanissimi dal centro e lontanissimi tra loro ma che tuttavia sono periferie di un unico Occidente, al quale tutti apparteniamo. E che "riesce ad irradiare fin laggiù, qualcosa dei suoi simboli, delle sue tecnologie, del suo umanesimo e del suo potere distruttivo", ha evidenziato lo stesso Tano Siracusa. 
Tra le capanne, la sera, la luce fioca e misteriosa del televisore infatti rischiara la notte. Un gruppo elettrogeno alimenta la scatola magica. Mucchietti di abitanti del villaggio si radunano nello spazio di quel fascio di luce. E ci guardano. 
Così la nostra identità, beffardamente, finisce con il dipendere anche dall'immagine di noi che hanno questi individui, così lontani. Perché è vero quel che aveva scritto Sartre ne "L'essere e il nulla": lo sguardo che gli altri pongono verso di noi, contribuisce a definirci. Nello stesso tempo, mentre ci identificano, questi mondi che sono "altro-da-noi", iniziano, lentamente e maldestramente, ad imitarci, a penetrare il nostro mondo "civile", moderno. 
Qualcuno si muove in equilibrio su un vecchio scooter. Modelli di due ruote che sono spariti da decenni dalle nostre strade. Molti altri invece una volta al mese, racconta il fotografo, sudano e strillano in un affollato capannone dove, da qualche parte e in qualche modo, sono arrivati telefoni cellulari che possono essere acquistati.
Per uno strano gioco di specchi, il nostro riflesso, il riflesso della nostra vita arriva a quella gente che, arrancando, cerca di uniformarsi all'Occidente. Dall'altra parte del concetto, noi. Nell'illusione di una civilizzazione che ci fa apparire invece i soggetti visti dal medico e fotografati da Tano, come altri esseri viventi. Che ci imitano. E che sono carichi di vibrante poesia e dolcezza.
Per la prima volta troviamo nel volume foto a colori di Tano Siracusa, che fino ad oggi aveva sempre preferito misurarsi con il bianco e nero. Così volti di bambini, madri e vecchi dei villaggi, assumono una connotazione caravaggesca. 
Il sole che filtra dalle fessure, nelle capanne, delinea le guance piene di bimbi a piedi nudi e pochi oggetti poveri. Il fotografo però sceglie di non fissare mai immagini cruente. Piuttosto ci fa conoscere la vita delle estreme periferie del mondo, a presentarcene il dolore, fissando l'obiettivo su mani che si agitano, sguardi, corpi distesi o in movimento. O semplici letti vuoti. 
C'è un grande pudore, un'estrema delicatezza nello sguardo del fotografo dietro l'obiettivo. Sentimenti che prendono forma nelle stampe. E tutto quel che accade, fissato in uno scatto, alla fine, ci sembra umanamente vicino, anche se irrimediabilmente lontano. Lontano dall'illusorietà quotidiana con cui si misurano le nostre vite. Regolate e scandite da modi e tempi che in quei villaggi non ci saranno mai. Eppure, quei bambini, quelle donne dall'età indefinibile, quei vecchi consunti, ci osservano. Perché in fondo, quei bambini, qui vecchi, quelle donne e quegli uomini, non sono altro che l'estrema periferia di un unico, caotico e immenso Paese. 
Fonte:Globalist.it

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