“la
timpulata allegra” (traduzione: l’allegro schiaffo)
Vorrei parlarvi del divertimento a tutti i costi. Del
divertimento come dovere. Esattamente il contrario di quello che dovrebbe
invece essere: un piacere! Del divertimento nei luoghi “à la page” nel periodo
“giusto” con “gli amici importanti” e principalmente della vacanza di cui al
ritorno si possa parlare non rimanendo out (ecco, la solita storia: sono, se
sono nel gruppo, se invece sono diverso o faccio cose diverse ho paura,
un’angosciante paura).
Ed allora parliamo delle
vacanze nei villaggi. All’inizio i villaggi erano in Italia, in nostre belle e
poco conosciute località di mare. Oggi i villaggi sono invece in posti esotici:
Messico, Seychelles, Mauritius, Maldive ed ancora Indonesia, Polinesia
Madagascar, Haiti, ecc. ecc. Posti questi meravigliosi ma di cui poi alla fine
si vede e si conosce pochissimo. Infatti si arriva direttamente dall’aeroporto
nel villaggio dove tutto è massimamente europeizzato, se non addirittura
italianizzato, e dal villaggio si fa ritorno all’aeroporto. Delle usanze
(almeno di quelle poche rimaste in tempi di globalizzazione) dei costumi, dei
cibi caratteristici, delle abitudini di vita di quelle località se ne ha
soltanto un vaghissimo sentore. La vacanza in un villaggio è la condizione
paradigmatica dell’“uomo fotocopia” caratteristico di questi tempi moderni,
tempi che, l’avrete ben capito, proprio non riesco a digerire. Tutti intruppati
a fare le stesse cose, negli stessi orari ed allo stesso modo. Tutti ad
imparare a tirare con l’arco (pratica della quale al 99% degli ospiti non frega
assolutamente nulla). Tutti a ballare in acqua con l’animatore che a tutti,
qualunque sia la loro età dà del “tu”, perché qui, al villaggio, siamo tutti
uguali e coetanei. Tutti alla sera sul palco a fare un improbabile
spettacolino. Tutti a tentare di imparare a fare immersioni perché “diving” è
“in”, ma proprio tutti, anche chi ha sempre avuto un pessimo rapporto con il
mare, figuriamoci con le immersioni. Tutti a fare il karaoke, anche quelli che
non azzeccano mai una nota.
Tutti poi, di notte, a
tentare di concludere la tipica giornata da villaggio con l’ultimo “must”. Non
ha importanza chi ti porti a letto (bella/o o brutta/o, con la quale o con il
quale hai o non hai scambiato una parola, che ti piaccia o no) la cosa
veramente importante è che l’indomani, quando una nuova alba colorerà un nuovo
giorno al villaggio, tu possa dire di avere concluso la tua giornata come hanno
fatto tutti gli altri. Quale eresia, ad esempio, poter invece dire: “Ieri sera
io ho letto un bel romanzo e poi, stanchissimo, mi sono addormentato”.
Che poi viene davvero da
ridere a pensare che tante persone che hanno girato mezzo mondo in sperduti
villaggi vacanze non conoscano Todi e Spello, Assisi ed Alberobello, Piazza
Armerina e Noto, Pompei ed Ercolano, per non dire degli Uffizi e di Brera, dei
Musei Vaticani e dei Fori Imperiali. O, per parlare di mare, quanti italiani
del Nord conoscono Lampedusa e Filicudi, Marettimo e Linosa? In un passato non
lontano persone con gusti e desideri diversi tra loro si divertivano facendo
cose assolutamente diverse.
Alcuni andando a
pescare sulle rive di un fiume. Altri andando in campagna, a poche decine di
chilometri da casa, per godere dell’aria fresca e pulita e potere fare una full
immersion di letture. Altri ancora andando al mare in compagnia di pochi amici,
per passare alcuni giorni lontano dal lavoro tra una partita a ramino e una
grigliata sulla spiaggia. Altri, andando in barca a vela o organizzando delle
battute di caccia. Altri infine, amanti veri della montagna, organizzando epiche
gite nei rifugi con tanto freddo ed un buon bicchiere di vino.
A proposito di montagna,
vogliamo parlare della neve? In Italia vi sono circa 200 stazioni sciistiche
tra grandi e famose da una parte e piccole e molto meno famose ma altrettanto
accoglienti e con una disponibilità di piste per i principianti assolutamente
adeguata dall’altra. Bene, chi va a sciare oggi deve per forza andare in una
località “top” (Cortina, Courmayer, Campiglio, Cervinia ecc.), nel periodo
“top” (possibilmente dal 26 dicembre al 7 gennaio) e, principalmente, con una
attrezzatura nuovissima ed high tech. Tute che sopportano temperature di – 50°
C (che non si registrano neanche in Siberia) scarponi e sci che farebbero
morire d’invidia Tomba o Ghedina, e skipass per raggiungere tutte le piste del
circuito sciistico anche se poi si sa appena fare lo spazzaneve.
In queste località rinomatissime,
nei periodi clou è praticamente impossibile per i principianti riuscire a
sciare; infatti le piste, almeno le più facili, sono affollatissime. Quindi,
alla fine, si passa la gran parte del tempo a passeggiare lungo il corso tra un
aperitivo ed un costosissimo shopping. Inoltre, in alta stagione gli alberghi
hanno dei prezzi davvero stratosferici. Non sarebbe molto più logico
organizzarsi una settimana bianca in una località meno “importante” ma dove si
spende molto di meno e si scia molto di più? No, non si può. Ed allora il
sospetto che viene è che non si vada in queste località per “sciare” e per
stare in compagnia ma ci si vada per fare quello che è trendy nel posto più
trendy dove vanno le persone trendy e per potere dire, al ritorno, ero dove
erano tutti. Alla fine ha pochissima importanza se ho sciato, per quanto ho
sciato, se mi sono divertito o mi sono annoiato. Ma, “io c’ero”.
Poi avete notato che,
al ritorno dalla vacanza, tutti gli sciatori divenuti provetti vi raccontano
sempre di meravigliose giornate di sole, di una neve fantastica e di cibi
sempre squisiti? A questo punto, per contrappasso, non posso fare a meno di
raccontarvi le dolcissime “gite a Piano della Battaglia (dove ogni tanto c’è la
neve)”, ricordo per me tenerissimo di grande, semplice felicità. Premessa
indispensabile è precisare che in Sicilia Occidentale non vi sono vere località
sciistiche. L’unico posto che ha parvenza di località dove mettere gli sci ai
piedi è appunto “Piano Battaglia”. Soltanto 3 piste e 2 ski lift (oggi come 40
anni fa). Ma per noi ragazzi, alla fine degli anni ’60, Piano Battaglia valeva
tutte le Cortina d’Ampezzo e le Madonna di Campiglio del mondo messe insieme.
Innanzitutto, come ci si organizzava per andare a Piano Battaglia? In un modo
molto semplice, facendo la colletta di abbigliamento tra amici e parenti.
Chi ti prestava gli scarponi di suo padre, chi i guanti di suo zio, chi i pantaloni del fratello, chi la propria giacca a vento. Nessuno poteva invece prestarti gli sci. Infatti nessuno li aveva.
Chi ti prestava gli scarponi di suo padre, chi i guanti di suo zio, chi i pantaloni del fratello, chi la propria giacca a vento. Nessuno poteva invece prestarti gli sci. Infatti nessuno li aveva.
I giorni che precedevano “la
gita sulla neve” erano magici perché questa ricerca per comporre un
“completo neve” era di per sé già divertentissima. Infatti capitava che quando
andavi a prendere i pantaloni che il tuo amico ti aveva prestato ti accorgevi
che erano due taglie in più della tua e che quindi ci nuotavi dentro. Oppure
che gli scarponi ritirati la sera prima della partenza erano troppo stretti!
Quindi, alla fine, tutti noi eravamo un collage di indumenti alcuni troppo
piccoli, altri troppo grandi, per nulla “pendant” gli uni con gli altri, ma
proprio per questo tanto, tanto buffi. Eravamo tutti degli stupendi arlecchini.
Giorno fatidico. Appuntamento alle 6.15 nella mitica piazza Matteotti e
partenza, rigorosamente in pullman, alle 6.30. Durata del viaggio circa due
ore. Viaggio di andata caratterizzato, ed anche per questo impresso nella mia
memoria in modo indelebile, dal penetrante odore di pane e frittata (preparata
alle 5 del mattino dalle solerti mamme) misto a quello immancabile dei
mandarini.
Giunti sulla neve, tutti
inesperti in egual misura non soltanto dello sci, ma anche della neve, ci si
divertiva davvero con poco. Le battaglie con le palle di neve, il primo
approccio con improbabili sci affittati e le discese memorabili con i
leggendari slittini. Viaggio di ritorno, solitamente all’imbrunire
caratterizzato dalle epocali “schiniate in fondo al pullman”. Il termine
“schiniare” a Palermo significa “pomiciare”, amoreggiare. Bene, al ritorno da
Piano Battaglia insieme all’odore pregnante di abbigliamento, allora ben poco
impermeabile e quindi fradicio di neve e di sudore, era un classico il rito
della schiniata in fondo al pullman (alcuni addirittura facevano la gita
soltanto per potere schiniare al ritorno).
Anche in questo rito della
schiniata al ritorno da Piano della Battaglia, che differenza con
oggi, tempo in cui i genitori “moderni”, a volte forse troppo moderni, rendono
tutto talmente facile ai figli (case libere, telefonate di avviso prima di
rientrare, complete informazioni prepuberali sull’uso della pillola) da
renderlo forse anche ben presto meno desiderabile! Quindi, per concludere,
conoscere il nuovo non può non voler dire, ieri come oggi, godere delle cose
che ti interessano davvero e non di quelle che ti vengono imposte come un
dovere!
Fonte: Live Sicilia
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