mercoledì 4 aprile 2012

Madagascar, la favola di un’isola I Bambini del Madagascar



Il Madagascar è una grande isola, la quarta al mondo per estensione. La sua storia geologica è molto antica. Un tempo era unita all’Africa e all’India, poi, come una giovane bella e orgogliosa ma un po’ incosciente, decise di fare da sola e se ne andò via, in mezzo all’Oceano Indiano.
Per qualche milione di anni, fin che ci furono la giovinezza e l’entusiasmo, le cose funzionarono bene: i lemuri, che non vollero diventare uguali alle scimmie delle altre parti dell’Africa, continuarono a volteggiare tra le alte cime degli alberi tropicali; dovevano temere solo il fossa, un felino che rimase l’unico predatore e diventò un po’ superbo, in mancanza di leoni e ghepardi.
Ogni tanto qualche animale, o qualche specie vegetale alla deriva, attraversava il Canale di Mozambico e arrivava sul Continente, ma poi non ce la faceva a tornare indietro e così nessuno, in Madagascar, ne sapeva niente del resto del mondo e tutti pensavano che l’Oceano fosse infinito, come i giovani in fondo pensano della loro stessa giovinezza.
Le mangrovie regnavano incontrastate lungo le rive dei fiumi e per il resto erano palmebaobab e bambù, e frutti, tanti colorati e buoni frutti tropicali, come il mango, la papaya, l’ananas. Nei numerosi fiumi regnava il coccodrillo, che viveva anche sulle rive del Lago Alaotra, un posto di fitte foreste. Là i lemuri dovevano stare attenti, all’inizio, alle numerose specie di serpenti, che però, con tutto quel ben di Dio di cibo a disposizione, smisero di cacciare i grossi animali, ritrassero i denti e si accontentarono di uccelli acquatici, rane e altri piccoli animali. Uno addirittura diventò bravo a scavare sottoterra per catturare le prede e sviluppò un naso dalla forma buffa: da allora tutti lo chiamarono “naso di porcello”.
Un giorno, circa duemila anni fa, qualcosa arrivò dal mare. Gli animali pensarono che fosse un altro animale, solo che non avevano mai visto un animale viaggiare su pezzi di legno così grandi e ben fatti: erano i primi uomini che mettevano piede sull’isola e non venivano dall’Africa, ma dalla lontanissima Indonesia e dalla Malesia, viaggiando su strane imbarcazioni con un braccio sporgente di lato. Questi uomini cominciarono a farla un po’ da padroni e tagliavano in continuazione gli alberi per coltivare risaie e i lemuri più grandi scomparvero e i camaleonti, per difendersi,impararono a prendere il colore delle cose.
Poi l’uomo attraversò il Canale e sbarcò in Africa e da lì tornò con altri uomini dalla pelle molto più scura e così i Merina di origine orientale si mescolarono con i Bantu africani e i bambini che nascevano avevano a volte gli occhi a mandorla a volte no, e la loro pelle poteva essere del colore dell’ebano ma certe volte era chiara come la sabbia nella bassa marea. I Merina e i Bantu mescolarono i loro geni, la loro lingua, le loro tradizioni e gli strumenti musicali, e poiché, nonostante tutto, rispettavano e temevano gli elementi della natura, si trovarono d’accordo nelle pratiche religiose animiste, che dicevano esservi un solo Dio creatore e che i morti dovevano tornare con il loro corpo tra i parenti e gli amici dopo cinque o sette anni e che bisognava festeggiarli con cibo e bevande per vari giorni, per poi salutarli con la risepoltura.
Attorno alle capanne, tra i bagliori dei fuochi, gli zebù osservavano sonnolenti, con le loro lunghe corna e la gobba sulla schiena che li faceva sapienti e tristi. Furono gli Africani a pretendere un grande rispetto per gli zebù che davano cibo con la carne e il latte, coperte con la pelle e ciotole e posate con le grandi corna. E così nacque un popolo che ebbe l’Africa come madre nutrice e il continente asiatico come padre.
Poi vennero gli Arabi e i colonizzatori europei e nel 1960 il Madagascar ebbe l’indipendenza dalla Francia e da tutti quelli che ancora lo desideravano. Ma questa è storia politica. La storia umana, quella della vita biologica, si legge invece nei sorrisi ingenui e luminosi dei bambini con la faccia scura dell’Africa e negli occhi pensosi dei bambini figli dei temerari venuti con le piroghe dal lontano mare dell’Asia

"Bambini del madagascar"

"Bambini del Madagascar" nasce da un incontro casuale, avvenuto presso la missione di Santa Teresa del Bambino Gesù, sull'isola di Nosy-be in Madagascar, dove Flo e Beppe si occupavano dell'istruzione e della crescita della piccola Maria Teresa, una bambina abbandonata all'esterno dei cancelli della missione senza notizie, ancora oggi, sulla sua identità, mentre Enza e Aldo si occupavano di Volatiana, una bambina molto triste e solitaria orfana di padre ed abbandonata dalla madre.
Le due coppie hanno presto intuito di poter condividere un percorso di solidarietà, potendo contare sulla grande esperienza di aiuti umanitari in tutta l'africa di Enza e Aldo e sull'entusiasmo, la credibilità e la grande capacità di coinvolgimento di Flo e Beppe.

Il progetto
In pochi mesi piccoli progetti che apparivano estremamente ambiziosi cominciavano a prendere forma, le adozioni a distanza si moltiplicavano, nuovi amici decidevano di abbracciare lo stesso percorso di solidarietà, fino a quando si è reso necessario dotarsi di un'organizzazione che potesse gestire nel migliore dei modi e con la massima trasparenza il flusso di donazioni che cominciava ad essere significativo.
A fine dicembre 2011 i bambini adottati a distanza alla Missione di Nosy Be sono 115, mentre quelli adottati a Kongony sono 45.
Oggi "Bambini del Madagascar" è una onlus con uno statuto, un consiglio direttivo ed un organigramma formato da entusiasti ed infaticabili amici che operano gratuitamente per garantire ai piccoli malgasci le necessità fondamentali: cibo, salute ed istruzione.
Ma soprattutto è un ricettacolo di sorrisi, disponibilità, solidarietà, entusiasmo e profonde emozioni. Non esitate: unitevi a noi!
Fontewww.bambinidelmadagascar.it

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