Si pensava
che i prolemuri dal naso largo (Prolemur simius - lemuri maggiori del bambù del
Madagascar) fossero ormai ad un passo dall'estinzione, con una popolazione
ridotta a circa 300 individui. Ma sulle pagine dell'American Journal of
Primatology è stata pubblicata una notizia che arriva dal Madagascar e che da
speranza per la sopravvivenza di questa specie. I ricercatori dell'Ong
malgascia Mitsinjo, insieme all'Aspinall Foundation, il gruppo di studio dei
primate del Madagascar Gerp e Conservation International Madagascar hanno
seguito le indicazioni ed i racconti delle popolazioni locali ed hanno
ritrovato di nuovo una popolazione "persa" di questi lemuri,
una "scoperta" che raddoppia la superficie del ridotto areale
di questo primate endemico del Madagascar.
Il team di
ricercatori opera nell' Ankeniheny-Zahamena Corridor, dove resta la maggior
parte delle foreste della costa orientale del Madagascar e stanno lavorando con
le comunità locali per monitorare e proteggere le specie della foresta
pluviale devastata e spesso annientata dalla distruzione degli habitat da parte
dell'industria illegale del legname, dalla caccia e dalla produzione di carbone
di legna.
I prolemuri
dal naso largo sono l'unica specie nota del genere Prolemur e si nutrono
principalmente di bambù e questa dipendenza da un unico cibo, come per il panda
cinese, li ha resi particolarmente vulnerabili ai cambiamenti ambientali.
Si tratta di
lemuri di taglia medio-grande: 25-45 cm di lunghezza, con una coda di 25-55 cm,
e pesano da uno a 2,5 kg. Hanno una pelliccia color crema e grigio-bruno sulla
testa, con ciuffi di peli bianco-grigiastri che ricoprono le orecchie. E'
spesso descritto come una delle specie più rare del mondo e come uno dei 25
primati più minacciati del pianeta. L'ultimo rapporto dell'Iucn parlava dell'esistenza
di meno di 250 individui maturi.
Rainer Dolch, che nel 2007 ha coordinato delle ricerche su una prima popolazione sopravvissuta, spiega alla Bbc News che di questi lemuri «Si pensava che fossero confinati nel sud-est del Madagascar fino a quando non abbiamo scoperto una nuova popolazione nelle paludi di Torotorofotsy, i primi individui della specie scoperti a nord del fiume Mangoro da 130 anni».
Rainer Dolch, che nel 2007 ha coordinato delle ricerche su una prima popolazione sopravvissuta, spiega alla Bbc News che di questi lemuri «Si pensava che fossero confinati nel sud-est del Madagascar fino a quando non abbiamo scoperto una nuova popolazione nelle paludi di Torotorofotsy, i primi individui della specie scoperti a nord del fiume Mangoro da 130 anni».
Il suo team
ritornata l'anno scorso in Madagascar per esaminare i siti isolati ai margini
del corridoio Ankeniheny-Zahamena , dopo aver raccolto notizie tra la
popolazione locale sia sulla presenza dei lemuri che del loro habitat del bambù
e i loro sforzi sono stati ricompensati con l'avvistamento di 65 individui di
lemuri maggiori del bambù e le prove della presenza di una popolazione di
Prolemur simius di una densità di oltre il doppio di quella riscontrata in
altri siti dove vivono. La scoperta estende l'areale di questi lemuri 85 km più
a nord di quanto si sapeva fino ad oggi.
Dolch
attribuisce il merito del ritrovamento dei lemuri "scomparsi"
all'aiuto avuto dalle popolazioni locali che «Hanno avuto un ruolo cruciale
nella scoperta delle specie e giocheranno un ruolo cruciale nella sua
salvaguardia». E' del tutto evidente che la collaborazione delle povere
popolazioni della foresta con i ricercatori segna una svolta rispetto alla
caccia illegale, alla frammentazione e distruzione degli habitat che hanno
causato la quasi estinzione dei prolemuri dal naso largo.
Quello che
ora preoccupa di più l'Ong Mitsinjo sono attività umane come il taglio
indiscriminato della foresta e le attività minerarie e vedono nelle popolazioni
locali, che ne subiscono i danni, alleati preziosi per salvare la foresta e i
lemuri con azioni positive. «Stiamo lavorando a stretto contatto con le
comunità locali per il monitoraggio delle specie e la protezione del loro
habitat», assicura Dolch. Mitsinjo, che è prima di tutto una Ong sociale ed
umanitaria che si occupa anche di ambiente, e che sta lavorando insieme ai
ricercatori stranieri per ripiantare alberi e collegare con corridoi ecologici
le zone frammentate di foresta pluviale.
Fonte: Greenreport
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