La
discussione seguita all’articolo in cui parlavo dell’osceno vezzo di alcune
popolazioni dell’estremo oriente di mangiare cani e gatti, ha preso una piega
inaspettata:
Un utente
di Stampa Libera che si firma Lupo nella Notte ha preso le difese dello
sciamanesimo, da me considerato espressione arcaica di quello stesso
antropocentrismo dominante nelle società odierne.
In
pratica, il lettore afferma che il vero sciamanesimo non uccide animali, ma
porta chi lo pratica ad instaurare un rapporto di armonia con la natura, anzi
di vera e propria immedesimazione con l’animale totemico.
Eppure,
in base alle mie limitate conoscenze, mi risulta che ovunque nel mondo siano
presenti tracce residuali di sciamanesimo, il sacrificio di alcuni animali è
contemplato, previsto e praticato.
Se
viceversa ha ragione il lettore, allora si deve concludere che, come il
cristianesimo originario ha subito una degenerazione, essendo stato contaminato
da credenze pagane, così anche lo sciamanesimo delle origini è andato decadendo
in pratiche cruente di sacrifici animali. Ciò contrasta con la Storia come ci è
stata insegnata, dal momento che gli àuguri e gli aruspici, per non parlare dei
leviti, praticavano abbondantemente sacrifici animali per scopi di divinazione
o per ingraziarsi i favori della divinità.
Se
vogliamo ammettere che anch’essi fossero già l’espressione di una religiosità
decaduta, allora dovremmo accettare per vere le teorie di Atlantide e dell’Età
dell’Oro di cui favoleggia Platone e altri autori più o meno noti. In tal caso,
i sacrifici animali che al giorno d’oggi non vengono più compiuti per
ingraziarsi la divinità, ma per mero piacere gastronomico, sono un segnale di
matura decadenza dell’attuale umanità e, in un’ottica di ciclicità della
Storia, di avvisaglia di un prossimo cataclisma planetario.
Ne
consegue che quello che normalmente viene chiamato sciamanesimo in realtà non
lo è, essendo il vero sciamanesimo delle origini estinto e sostituito da
interpreti truffaldini che mirano a sfruttare i creduloni esattamente come
fanno le nostre cartomanti e i nostri maghi da rotocalco.
Tanto
è vero che in teoria dovrebbe sussistere l’anargirismo, cioè il “divieto per lo
sciamano di nuocere a sé e agli altri, mancare di rispetto alla Madre Terra e a
qualsiasi espressione di vita, nonché ricevere compensi in denaro” [1]
A
dispetto delle affermazioni fideistiche di Lupo nella Notte, continuo a credere
che gli sciamani che non praticavano sacrifici animali siano stati una
minoranza e che anche sugli altri punti, in particolare quello di non nuocere a
se stessi o ad altri, siano stati piuttosto elastici nell’interpretazione.
A
meno che non vogliamo credere che l’assunzione di funghi allucinogeni e altre
sostanze psicotrope non lasci tracce nell’organismo, magari in determinati
contesti culturali, la prescrizione di non recare danno a se stessi rimane pura
velleità. Quanto al recare danno ai nemici, mi sembra che sia stata una delle
prestazioni maggiormente richieste agli uomini della medicina, altro nome con
cui sono conosciuti gli sciamani.
L’unico
stregone che ho visto all’opera, Tamindrani, uno zio di mia moglie malgascia,
riceve i clienti sia a Tulear, nel sud del Madagascar, sia a Ilakaka, un po’
più a nord. Quando sono andato a casa sua per comprare una Mohara,
un corno riempito di sabbia, mescolata a sangue animale e ad erbe, aveva due
clienti, una donna e sua figlia. Tamindrani mi permise di fare un paio di foto,
stando fuori dalla capanna e io aspettai che finisse i suoi riti. Le due donne
erano andate da lui affinché chiedesse a Zanahary, Dio, il favore
di far sposare la ragazza con un vazaha, uno straniero, francese o
italiano non importa, purché benestante
Dalle
nostre parti si chiede a Dio o ai santi i numeri da giocare al lotto e in
Madagascar si chiede alla divinità di accasare le ragazze in età da marito con
stranieri ricchi: le due cose presentano molte analogie. Quando sono arrivato
io, la gallina era già stata sgozzata e fatta sparire, ma c’erano ancora tracce
di sangue fresco sul vassoio che Tamindrani teneva davanti a sé, seduto
all’interno della capanna.
L’uomo
recitò alcune litanie, di cui capii solo la parola Zanahary,
ripetuta più volte. Bruciò qualche erba aromatica e si fece lautamente pagare,
in proporzione agli standard economici del luogo. Non ho più saputo se la
ragazza sia riuscita ad accalappiare un turista o qualche straniero residente,
ma la mercede venne pagata davanti ai miei occhi e anche se la richiesta delle
clienti non dovesse essere andata a buon fine, l’autorevolezza dello stregone
resta immutata.
La
maggioranza dei malgasci si reca dagli stregoni, detti ombiasy, in
caso di malattia, specie se non possono permettersi cure costose, e la cosa
curiosa è che molte volte guariscono. Sarebbe interessante fare una ricerca
sulle percentuali di guarigione e sul tipo di malattia curata.
A me
è capitato una volta di avere mal di denti. Mia moglie andò dall’ombiasy e
tornò con una polverina, avvolta in carta da giornale. Io mi guardai bene dal
prenderla, anche perché lei non seppe dirmi di cosa era composta. Viceversa,
per un malgascio è naturale assumere le pozioni offerte dagli stregoni, perché
così fan tutti. Io, in quanto avulso da quel contesto sociale, sono tagliato
fuori e sono sicuro che non ne trarrei giovamento neanche se mi sforzassi di
credere all’efficacia di quei rimedi.
In
un’altra occasione, arrivati come ogni anno nello stesso bungalow sulla
spiaggia di Mangily, trovammo un uomo anziano seduto dirimpetto al mare, con in
testa la tipica lobbia di feltro nero della sua etnia. Mia moglie mi disse che
la padrona dell’hotel lo aveva chiamato perché chiedesse a Zanahary di
far venire molti turisti nel suo albergo e io le feci notare che, essendo gli
inizi di luglio e chiudendosi fabbriche e uffici in Occidente, i turisti
sarebbero venuti comunque e la capra sgozzata dall’ombiasy sarebbe
stata sacrificata per niente.
Purtroppo,
i malgasci non intendono rinunciare alle loro tradizioni e non vogliono sentir
ragioni, come anche noi, del resto. La padrona del bungalow era moderatamente
benestante e poté pagarsi una capra, ma se avesse voluto strafare avrebbe
comprato uno zebù da sacrificare. I più poveri comprano le galline.
Si
mormora che gli ombiasy abbiano le conoscenze erboristiche per
avvelenare le persone e nella comunità degli stranieri residenti circolano
dicerie in merito a mogli malgasce che, dopo aver sposato qualche vazaha anziano
e magari anche malaticcio, lo avvelenano grazie alla complicità degli stregoni,
per prenderne l’eredità. Storia già vista. Nulla di nuovo. E la magistratura
malgascia, di solito, non può fare nulla perché, ammesso che venga disposta
l’autopsia, il veleno degli stregoni non lascia traccia nell’organismo.
Come
nel resto del Terzo Mondo, anche in Madagascar vigono le spietate leggi della
sopravvivenza ed è considerato del tutto normale che i malgasci sfruttino gli
stranieri di razza bianca. Non posso escludere che la cosa riguardi anche me e
mia moglie. Di fatto, gli ombiasy del Madagascar mi sono
simpatici finché svolgono un servizio pubblico richiesto dalle persone per
scopi innocui, come nel caso sopra descritto; mi sono meno simpatici quando si
prestano ad assassinare la gente.
La
differenza tra stregoni malgasci e sciamani è che i primi non cadono
in trance mediante sostanze allucinogene e non si rivolgono
agli spiriti ma direttamente a Dio. Quando operano sono ben consapevoli di ciò
che stanno facendo e si limitano a suggestionare i clienti bruciando erbe
aromatiche.
Sulla
scia dello sciamanesimo si sono collocate nuove forme di superstizione e c’è un
parallelismo tra le nostrane fattucchiere, le streghe del tardo medioevo, le
medium dell’Ottocento e lo sciamano classico come ci è stato tramandato dalla
tradizione: vi sono, nei vari settori, ampi margini di ciarlataneria e
disonestà.
Lo
sciamanesimo è il ceppo da cui si sono sviluppati i vari rami dell’interpretazione
del mondo e dell’intermediazione tra l’uomo e il divino, e perciò possiamo
concludere che, a parte i sacrifici animali, lo sciamanesimo è degno di
rispetto, in quanto arcaico tentativo di mettere ordine nel caos
dell’esistenza. Da una base sana, ormai quasi estinta, sono scaturite pratiche
e mode discutibili che sfruttano la credulità della gente e svolgono una
funzione parassitaria in seno alla società. Al massimo possono dar luogo ad
interessi di tipo antropologico, ma nulla più.
Quando
si dice “Non c’è più religione!”, si sbaglia.
Ce n’è, ce n’è!
Ce n’è anche troppa!
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