giovedì 28 luglio 2011

Madagascar nel mirino dei rapinatori di terre. Le iniziative popolari per contrastare i land grabbers

Sono diversi anni che il neocolonialismo assetato di terre a basso costo tenta di avere ragione del Madagascar. Già nel 2008 l’ex presidente malgascio Ravalomanana aveva provato a cedere in esclusiva alla sudcoreana Daewoo Logistics, per 99 anni e a titolo gratuito, 1,3 milioni di ettari di terre coltivabili.
L’accordo, meglio conosciuto come “l’affaire Daewoo”, era saltato grazie a una mobilitazione globale. Il “Collectif pour la Défense des Terres Malgaches”, movimento fondato a seguito di questo episodio, ha consentito alle popolazioni locali di ricevere (dall’estero) notizie su quanto stava accadendo (all’interno), fare circolare l’informazione e cercare il sostegno internazionale.
Ma il Madagascar continua a subire tentativi di rapina, forse meno rumorosi ma altrettanto aggressivi. Ilfattoalimentare.it ha raccolto la testimonianza di un missionario italiano in terra malgascia che ha saputo trovare, coi suoi confratelli, uno strumento utile a contrasto degli assalti dei land-grabbers, per lo più di provenienza indiana, che fin dal 2003 hanno orientato le proprie mire espansionistiche sulle terre centro occidentali del Madagascar. Lo scopo era quello di ottenere terreni da coltivare o deforestare a costo quasi zero, col benestare dei politici e dei funzionari, sempre lieti di constatare che - almeno nelle loro tasche - “l’economia si muove”.
Come contrastarli? Il missionario in questione (che preferisce restare anonimo) ha studiato una soluzione, senza l’impiego di denaro né armi, ma con l’aiuto di una buona dose di fantasia. La missione ha dapprima cercato rassicurazioni presso le autorità sul territorio, che però hanno fatto “orecchie da mercante”. Tanto più che i sindaci locali, per mascherare il danno e prevenire tumulti, avevano negoziato con gli indiani un indennizzo a favore - si noti bene - dei contadini che utilizzavano quelle terre per “caccia, agricoltura o pascolo”. Un’ulteriore beffa ai loro concittadini che, in maggioranza pescatori, non avrebbero ricevuto che pochi spiccioli, argent de poche.
Da qui l’idea di proporre alla comunità locale di iniziare a seminare le terre. Una missione nella missione, quella di convincere i cittadini a intraprendere un lavoro del tutto nuovo, fino a quando essi stessi si sono resi conto del rischio che incombeva sulla loro “sacred land” e si sono dati da fare. Quando le squadre dei tecnici indiani si sono recate sul luogo per calcolare gli indennizzi, hanno deciso di scartare la striscia di terra coltivata, poiché gli indennizzi sarebbero costati troppo rispetto alle loro voraci ambizioni di terra a costo zero.
Qualche lembo di terra si è così salvato dalla razzia silenziosa, almeno per ora. Sempre in attesa che la questione del land-grabbing venga affrontata sui tavoli di chi decide sui destini del mondo, o almeno così si presenta.

Dario Dongo, ha collaborato Paolo Patruno
foto: Photos.com
Fonte: ilfattoalimentare.it/

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