mercoledì 10 agosto 2011

Il vescovo di ritorno dal Madagascar: "Speranza e lavoro"

Un viaggio lungo, che ha portato monsignor Caprioli a visitare tutte le case della carità dell'isola

Il vescovo comunica un ospite della casa della carità di Ambositra

Subito, all’indomani del terzo viaggio missionario in Madagascar, il vescovo Adriano Caprioli ha messo per iscritto alcune riflessioni per una condivisione con i suoi preti, con la diocesi tutta.
Iniziato lunedì 11 luglio, il viaggio è stato molto intenso: monsignor Caprioli ha visitato tutte le case delle carità - tranne le due più a nord dell’isola (il
viaggio avrebbe richiesto almeno altri due giorni) - e inaugurando l’ultima aperta a Mananjari su una ridente collina con vista sull’oceano Indiano. Le case della carità sono grandi costruzioni (per accogliere almeno 20 ospiti bisognosi), ma tutte modeste nella realizzazione. Le quasi cinquanta suore, molte giovani, alla sera non si ritirano in un bel convento, ma fanno famiglia 24 ore su 24 con gli ospiti, condividendo uno stile di vita decisamente povero. Il vescovo ha anche visitato le quattro case dei volontari di Reggio Terzo Mondo e del Centro Missionario Diocesano (Tongarivo, Ambositra, Ampasimanjeva, Manakara). Le prime tre sono vicine ciascuna a una casa della carità, dove i volontari ricevono un grande aiuto spirituale, relazionale e anche logistico. L’ultima casa, a Manakara, è invece in collegamento con la comunità dei Servi della Chiesa, dove è superiore un consacrato, Luciano Lanzoni, veterano della missione (e noto proprio perché a Manakara era stato ferito meno di due anni fa da un ladruncolo scoperto in casa).
"Quella del Madagascar - scrive monsignor Caprioli nella lettera - è la quarta isola del mondo, la più grande sulle sponde dell’oceano Indiano, ampia due volte l’Italia. Visitare la nostra missione per la terza volta aveva in partenza finalità mirate. Iniziata ormai 50 anni fa con la partenza di don Pietro Ganapini, la missione è diventata parte della storia della nostra diocesi. Basta rileggere le lettere recentemente pubblicate che don Mario Prandi inviava a preti, suore e laici volontari mandati in missione per rendersi conto dell’atto di coraggio che ha portato i primi missionari ad affrontare in Madagascar la bellezza ma anche le fatiche del lavoro missionario e in diocesi la critica non troppo velata di chi sentenziava: 'C’è bisogno qui a Reggio… altro che andare in missione!'. Siamo ritornati, dunque, a distanza di anni dalla scelta missionaria, con l’intento di confermarne la attualità, riconoscerne i frutti e, nello stesso tempo, vedere come aggiornarla in alcuni suoi aspetti e modalità di presenza. Tre in particolare.

Far famiglia coi poveri
Con l’inaugurazione, domenica 24 luglio a Mananjary, della 14ª casa della carità, sono nove le diocesi del Madagascar che hanno il dono delle nostre case, richieste esplicitamente dai propri vescovi, sostenute dalle rispettive parrocchie in cui sono inserite come luoghi di culto e scuola di carità, frequentate dai cristiani, in particolare dai giovani e dalle ragazze come tappa del loro cammino vocazionale.
La visita alla casa Fanomezantsoa di Ambositra

Si vede che il Madagascar è un buon terreno per la semina delle case della carità. Per il carisma nato a Fontanaluccia, sembrano ormai maturi i tempi per uno sviluppo in terre lontane e culture diverse, ma ugualmente pronte, se preparate, a 'mettere su famiglia' con i propri poveri: bambini nati idrocefali o gemelli abbandonati secondo tabù atavici, malati disabili e anziani soli. Ritengo riduttivo interpretare la crescita delle case della carità, l’aumento delle suore e dei fratelli malgasci più che da noi, lo sviluppo promettente del carisma di don Mario Prandi in questo Paese tra i più poveri al mondo, solo alla luce della povertà materiale della sua gente. È piuttosto segno di quella diffusione della 'civiltà dell’amore', così cara a Paolo VI.

Anche i laici sono missionari
Sono in crescita i volontari laici in missione in questa isola del mondo, impegnati nei vari progetti di sicurezza alimentare, di sviluppo e formazione al lavoro agricolo, di commercio equo solidale, di prevenzione sanitaria da malattie come la lebbra, la malaria, la tubercolosi; progetti di cooperazione tra famiglie per far arrivare l’acqua nei villaggi o con la costituzione di reti comunitarie per far fronte a tempi di carestia, di calamità naturali; per la formazione scolastica e l’educazione di tutti, piccoli e grandi, al risparmio e alla progettazione del futuro. Dobbiamo riconoscere un prezioso contributo allo sviluppo del Paese a Reggio Terzo Mondo, l’associazione già dall’inizio raccomandata da don Mario e dalla diocesi come il braccio operativo del Centro Missionario Diocesano per accompagnare l’invio e la gestione sul posto dei volontari laici, giovani e meno giovani.
Insieme ai nostri volontari laici - attualmente 15 di Rtm e 2 del Cmd, oltre ai 'veterani' Luciano Lanzoni dei Servi della Chiesa e a Giorgio Predieri, direttore dell’ospedale di Ampasimanjeva - lavorano ormai un centinaio di operatori locali, operai, tecnici, professionisti, non solo come dipendenti e destinatari dei progetti ma, prima ancora, soggetti corresponsabili, protagonisti del loro lavoro e che si preparano a prendere nelle proprie mani i progetti di sviluppo: sono il nucleo della futura classe dirigente e il segno della vivacità della giovane società civile malgascia. Sono inoltre diversi gli aspetti culturali che il popolo malgascio, ancora custodisce come il capitale umano a cui attingere per un vero sviluppo del Paese. Penso all’unità linguistica: una lingua ricca, fantasiosa, musicale come i suoi canti, è la medesima in tutta l’isola; il fihavanana, termine che indica parentela, amicizia, buone relazioni fondate sulla solidarietà, è un valore molto sentito tra la gente; il culto degli antenati, la cultura dell’anziano come saggio ray-amandreny del villaggio, la fede in Dio creatore testimoniano un senso profondo della vita come il più prezioso dei beni. Anche qui le comunità cristiane, se aiutate, come abbiamo visto dove operano i nostri volontari laici, possono sentirsi parte attiva dello sviluppo del loro Paese, testimoniare l’irrinunciabile vincolo, anche se incompiuto e imperfetto, tra l’opera di evangelizzazione e quella di promozione umana.

Chiese corresponsabili della missione
Tra i vari incontri nella visita pastorale in Madagascar, significativi sono stati i colloqui con diversi vescovi. Non poteva essere diversamente, alla luce di una visione della nostra missione in Madagascar come 'scambio di doni tra chiese sorelle'. Innegabile apprezzamento mi è venuto, dai vescovi e dalle comunità, del lavoro che i nostri preti continuano a svolgere nei vari ambiti da mezzo secolo fino agli ultimi inviati, don Paolo Cattari e don Giovanni Ruozi. Ora don Paolo Cattari ha concluso il mandato ad Ampasimanjeva, caratterizzato soprattutto dalla pastorale dei malati dell’ospedale, che viene temporaneamente affidata ai preti locali della parrocchia, mentre rimane don Giovanni Ruozi per l’accompagnamento dei volontari e come aiuto alla pastorale delle piccole comunità della foresta e del carcere di Ambositra.

Ampasimanjeva: monsignor Caprioli celebra messa nella cappella dell'ospedale

Facciamo, tuttavia, fatica, con la diminuzione e l’invecchiamento del clero, a rispondere a tutte le necessità e attese, pur assicurando la scelta di inviare preti in missione, confermata dal Consiglio presbiterale del 2007 come eredità da continuare. Anche in Madagascar le diocesi hanno storie diverse: in alcune, maggiori sono le risorse di clero, di laicato, e le tradizioni, la partecipazione alla vita ecclesiale sono più consolidate; altre, invece, sono più povere di clero, in territori e ambienti ancora di prima evangelizzazione, segnate dalla presenza di altre confessioni e religioni, messe alla prova dalla competizione di nuove sette religiose. È il caso di Manakara, città in espansione verso periferie ancora di prima evangelizzazione, dove il vescovo Benjamin chiede un aiuto nel campo della missione in una zona povera di tutto: preti, chiesa, aule di catechismo, canonica. L’intento maturato recentemente nella conferenza episcopale è l’apertura delle stesse diocesi malgasce alla dimensione missionaria, andando verso diocesi più povere di clero, di referenti per distretti territorialmente estesi, di nuove figure per l’animazione della pastorale d’ambiente: scuola, ospedale, carcere, malati mentali. Si apre ora un nuovo cammino di lavoro missionario, dove anche le diocesi malgasce potrebbero diventare con noi missionarie, e per questo invito tutti a pregare. Anche in Madagascar nessun parroco può dire: 'la mia parrocchia e basta'; nessun vescovo: 'la mia diocesi e basta'. Alla fine, nessun uomo è un’isola"


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