A partire dal 2003 il land-grabbing, una nuova forma di colonialismo consistente nell’affitto sotto costo o nell’acquisto di terreni dell’ Africa o del Sud America, è diventata una minaccia reale per il Madagascar.
Nel 2003 infatti la legge che proibiva l’acquisto di terre da parte di aziende straniere è stata modificata, permettendo questo tipo di transazione se fatta in associazione con un’azienda locale.
Secondo Mamy Rakotondrainibe del “Collectif pour la Défense des Terres Malgaches” in un’intervista rilasciata a farmlandgrab.org, questa legge è stata cambiata sotto la pressione della Banca Mondiale dell’ IMF per facilitare le politiche di sviluppo internazionale.
Così nel 2008 la Daewoo coreana si apprestava ad affittare 1,3 milioni di ettari coltivabili per 99 anni gratuitamente. La Daewoo progettava di impiantare monoculture di mais e alberi di palma per farne agrocombustibili e materie prime da importare in Corea. Questo accordo è saltato proprio grazie alla mobilitazione dei collettivi locali.
Per la popolazione locale infatti, perdere le proprie terre, significa prima di tutto perdere il proprio primario sostentamento. Inoltre, e non secondariamente, su quelle terre i Malgasci hanno sepellito i propri antenati e lo sconvolgimento del paesaggio con monocoltivazioni intensive, farebbe loro perdere la relazione con la propria tradizione.
Sul fattoalimentare.it leggiamo che il land-grabbing in Madagascar continua ora soprattutto ad opera di aziende indiane. Nell’articolo, pubblicato il 25 luglio, viene raccontato che per l’uso dei terreni i governatori locali si sarebbero accordati con aziende indiane per un risarcimento veramente irrisorio ai malgasci che operavano in quelle zone la caccia, il pascolo e l’agricoltura. Un missionario, che nell’articolo resta anonimo, ha perciò attuato una diversa strategia per salvare qualche lembo di terra. Ha convinto i cittadini a seminare le terre di modo che, al momento del calcolo del risarcimento, l’accordo non fosse conveniente per l’azienda indiana, e così è stato.
Un’ iniziativa lodevole che ha salvato alcuni ettari dallo sfruttamento insensato e dalla nuova colonizzazione, che però solo mette in luce, e purtroppo non risolve, il problema del land-grabbing in Africaa e Sud America
Fonti: ilfattoalimentare.it
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