venerdì 17 febbraio 2012

Madagascar: dalle dimissioni del presidente Ravalomanana alla proclamazione della IV Repubblica


(17 marzo 2009 - 11 dicembre 2010)

Liliana Mosca
Le dimissioni del presidente Ravalomanana e i primi tentativi di mediazione
internazionale (17 marzo 2009 - 16 giugno 2009)
Il 6 dicembre 2010 il presidente della Corte Costituzionale del Madagascar ha ufficialmente
annunziato i risultati definitivi del referendum costituzionale del 17 novembre.
Il “sì” ha riportato il 74,19% e il “no” il 25,81%. Alle elezioni ha partecipato il 52,61%
dei 7.151.223 milioni di malgasci aventi diritto di voto.
Con l’approvazione della nuova Carta fondamentale, entrata in vigore l’11 dicembre,
il popolo malgascio si è detto favorevole all’avvento della IV Repubblica. Qualcuno,
però, non nasconde i suoi timori e pensa che la crisi politico-istituzionale, apertasi il 17
marzo 2009, con il trasferimento da parte di Marc Ravalomanana dei pieni poteri a un
direttorio militare, formato dagli ufficiali superiori di esercito, gendarmeria e polizia,
possa continuare. A favorire il protrarsi della crisi ci sarebbero le rivalità non risolte, lo
scontento manifestato da una parte della popolazione durante la campagna referendaria
per la scelta unilaterale adottata dall’Alta Autorità di Transizione (Haute Autorité de
la Transition - HAT) e infine le modifiche al testo costituzionale preparato dal Comitato
Consultivo Costituzionale apportate in Consiglio dei ministri.
Con l’avvenuta riscrittura della carta fondamentale, alcuni elementi innovativi sono
stati, infatti, rimossi, come nel caso dell’iper-presidenzialismo. Ridimensionato nel testo
originario, esso è stato sostanzialmente reintrodotto, secondo quanto, ad esempio,
si legge nel Chapitre Premier. Du Président de la République.
I problemi della Grande Isola dell’oceano Indiano, «vera terra promessa per i naturalisti
», sono iniziati il 17 marzo 2009 con la decisione del direttorio militare, legittimata
dalla Corte Costituzionale, di conferire il potere, loro trasmesso da Ravalomanana, ad
Andry Rajoelina, sindaco di Antananarivo.
Questi, dall’inizio di gennaio 2009, era alla guida di grandi manifestazioni di protesta
contro il presidente Ravalomanana, nel corso delle quali aveva ripetutamente accusato
il capo dello Stato di pratiche autoritarie fino ad arrivare a chiederne le dimissioni.
Il 21 marzo 2009 Rajoelina prestava giuramento, diventando il presidente dell’Alta Autorità
di Transizione, istituita due giorni prima, alfine di dare vita alla IV Repubblica.
Lo stesso giorno del giuramento del giovane presidente, molti sostenitori del partito
di Ravalomanana: Tiako I Madagasikara (TIM) scendevano nelle strade, avviando un
lungo braccio di ferro con la neoautorità. Il TIM, proseguendo nella sua azione di protesta,
che non è più rientrata, disertava, infatti, le Assisi Nazionali, convocate per il
2 e il 3 aprile, con all’ordine del giorno la stesura della nuova carta costituzionale e il
calendario elettorale. L’HAT sperava, con l’attuazione delle Assisi nazionali, di evitare
le sanzioni internazionali, poiché quasi tutti i bailleurs de fonds, fatto salvo la Francia,
avevano deciso di sospendere gli aiuti finanziari al Paese per il cambiamento
 anticostituzionale del Governo nel Paese.
Nelle raccomandazioni finali i delegati che avevano partecipato alle Assisi auspicarono
l’attuazione di una conferenza nazionale da tenersi prima del 26 giugno, la tenuta di un
referendum costituzionale nel mese di settembre e lo svolgimento delle elezioni presidenziali
nell’ottobre 2010. I delegati indicarono anche la data delle elezioni legislative:
marzo 2010, resesi indispensabili dopo che Rajoelina, il 19 marzo 2009, aveva sciolto il
Parlamento e il Senato.
La crisi malgascia, nel frattempo, mostrava, giorno dopo giorno, tutta la sua complessità
sia sul piano interno sia sul piano internazionale.
Sul piano interno, il Governo di Rajoelina adoperava ogni mezzo per fare tacere l’opposizione,
 ricorrendo sia all’intimidazione sia alla repressione, finendo però per essere
oggetto delle stesse critiche, che i suoi sostenitori avevano lanciato contro i Governi
precedenti, in particolare contro quello di Ravalomanana.
Sul piano internazionale, l’HAT non riusciva, nonostante i diversi tentativi, a ottenere
il riconoscimento internazionale per la sua decisa opposizione alla partecipazione della
parte politica di Ravalomanana nella gestione della transizione.
Di fronte al fermo diniego della comunità internazionale, alcuni esponenti dell’HAT, in
più di un’occasione, dichiaravano che il Governo sarebbe stato in grado di fare investimenti
senza il concorso di finanziamenti esterni.
La comunità internazionale, seppure determinata nel suo atteggiamento, decise comunque
di andare in soccorso del Madagascar per aiutarlo a superare l’impasse, sopratutto
politica, in cui era caduto.
Le Nazioni Unite, l’Unione Africana, l’Organizzazione internazionale della francofonia
e più tardi la Comunità di Sviluppo dell’Africa Meridionale inviarono, pertanto, dei loro
rappresentanti ad Antananarivo per avviare un dialogo tra i due contendenti: Rajoelina
e Ravalomanana, invitando ai colloqui anche gli ex presidenti Didier Ratsiraka e Albert
Zafy. Decisione che, però, non è stata esente da critiche, ma che aveva per i mediatori
internazionali la sua ragione nella necessità di trovare una soluzione consensuale la più
larga possibile.
La prima fase dei negoziati iniziò l’8 aprile nella sede dell’Ambasciata del Senegal a
Madagascar e terminò il 12 aprile con un nulla di fatto.
L’insuccesso evidenziò alcune mancanze, di cui la più importante era l’assenza di una
direzione unitaria. Per porvi rimedio fu istituito il 30 aprile il Gruppo di contatto internazionale
 (Groupe international de contact - GIC), al cui interno vi erano rappresentanti
delle Nazioni Unite, della Comunità di Sviluppo dell’Africa Meridionale, dell’Organizzazione
internazionale della francofonia, della Commissione dell’oceano Indiano,
della Mercato Comune dell’Africa Orientale e Meridionale e dell’Unione Europea. Ne
facevano inoltre parte i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite e i Paesi africani che al momento erano presenti: Libia, Uganda e Burkina Faso.
Il Gruppo di contatto qualche tempo dopo formò l’Equipe conjointe de médiation pour
Madagascar (ECMM) con identica rappresentanza del GIC ed alla quale fu demandato
il compito di trattare.
Il GIC avviò la sua attività di mediazione con una riunione dal 20 al 23 maggio presso
l’Hotel Carlton ad Antananarivo. Tutte e quattro i movimenti politici furono presenti
alla trattativa con il risultato che furono tracciate delle linee guida per la transizione
riguardo l’organizzazione delle elezioni e alla struttura delle istituzioni della transizione
(Alta Autorità della Transizione, Consiglio nazionale di riconciliazione, Consiglio economico
e sociale, Governo diretto da un Primo ministro, Congresso della Transizione, Comitato
di riflessione sulla difesa e la sicurezza, Alta Corte di Transizione, Commissione
elettorale nazionale indipendente, ecc.).
I colloqui ripresero il 25 maggio e si protrassero fino al 16 giugno ma senza risultato. Gli
inviati poterono notare, infatti, che in questa tornata dei colloqui si era determinato un
irrigidimento delle parti su alcuni punti, quale, ad esempio, quello dell’amnistia ed ancor
più essi poterono verificare una totale mancanza di volontà politica nel continuare
il negoziato. I mediatori decisero, quindi, di sospendere le trattative per consentire alle
parti di riflettere e nel porre fine alla trattativa avvertirono i malgasci che la comunità
internazionale sarebbe stata fermamente contraria a una soluzione della crisi che avesse
avuto il carattere dell’unilateralità.
Dagli Accordi di Maputo all’Atto Addizionale di Addis Abeba
(9 agosto 2009 - 9 novembre 2009)
Il 21 giugno 2009, la Comunità di Sviluppo dell’Africa Meridionale nominò Joaquim
Chissano suo rappresentante in seno all’ECMM e l’ex-presidente del Mozambico ben
presto ne prese la direzione. Il 22 luglio il GIC convocò una riunione ad Addis Abeba,
alla quale non fu presente la parte politica di Rajoelina. Nella riunione fu, quindi, deciso
di fare incontrare, sotto l’egida dell’Unione Africana, i quattro movimenti a Maputo.
Il 1° agosto alcuni partiti minori e la mouvance di Rajoelina firmarono un documento,
noto come Convention du Panorama, dal nome dell’albergo, dove i promotori si erano
riuniti. Il documento, che predisponeva la struttura del Governo per il periodo della
transizione, fu però criticato, perché non consensuale, non avendo preso parte alla sua
stesura le altre tre parti politiche.
La condizione della “non inclusività” convinse le quattro parti politiche a recarsi a Maputo
per elaborare un accordo consensuale, che fu sottoscritto, dopo quattro giorni di
accese discussioni, il 9 agosto.
I documenti firmati da Andry Rajoelina, Marc Ravalomanana e gli ex-capi di Stato
Didier Ratsiraka e Albert Zafy furono due carte22 e quattro accordi. Con questi atti
le parti si misero d’accordo sulla durata della transizione, che non avrebbe dovuto
superare i quindici mesi, sullo svolgimento delle elezioni legislative e presidenziali, che
avrebbero dovuto essere trasparenti e sotto la tutela internazionale, sul Governo della
transizione che doveva comprendere un presidente, un vice-presidente, un Primo ministro
e tre vice-Primi ministri. Fu stabilita, inoltre, l’istituzione di un Consiglio superiore
della transizione e di un Congresso della transizione, 
che avrebbero funzionato rispettivamente come Camera alta e Camera bassa. Fu decisa, poi, la creazione di una Corte
di transizione e ancora di un Consiglio nazionale della riconciliazione, di un Consiglio
economico e sociale, di un Comitato di riflessione sulla difesa e la sicurezza nazionale e
infine di una Commissione elettorale nazionale indipendente. L’ultima parte della trattativa
riguardò l’amnistia, di cui avrebbero potuto godere tutti i membri del Governo o
dell’opposizione per crimini commessi tra l’1 gennaio 2002 e la firma della carta della
transizione.
La firma di questi documenti segnò un passo avanti nella soluzione della crisi, ma fu
subito chiaro che la loro attuazione avrebbe provocato nuove tensioni, sia per le molte
questioni insolute, sia perché l’esecutivo ne usciva grandemente rafforzato. Ciò però
non fu sufficiente. Proprio dall’esecutivo cioè dai partigiani dell’HAT partirono le prime
contestazioni agli accordi di Maputo. La protesta poi fu fatta propria dai ventidue capi
di regione e dai militari. Rajoelina, nel timore di vedere crescere lo scontento tra le sue
fila, con l’ovvia perdita di consensi, dichiarò che egli sarebbe stato il presidente del
nuovo Governo di transizione e che l’HAT sarebbe diventata il Consiglio superiore della
transizione.
La reazione dei mediatori internazionali fu immediata e invitarono i leader dei quattro
movimenti politici a recarsi di nuovo a Maputo per il 25 agosto. Al termine di tre giorni
di roventi discussioni fu impossibile per le parti trovare una soluzione consensuale per
l’assegnazione dei posti di presidente della transizione, di primo ministro e di vice-presidente.
La posta in gioco era davvero alta, tenuto conto che la Carta della transizione,
firmata l’8 agosto, dava di tempo trenta giorni per mettere in piedi le istituzioni. Nelle
more Rajoelina tentò di formare un Governo unilaterale, ma alla fine tutte le parti si
dichiararono pronte ad accettare la formazione di un Governo consensuale diretto da
un nuovo primo ministro.
In quest’ottica esse si recarono ad Addis Abeba il 3 novembre. Alla fine dei colloqui, il
9 novembre fu firmato un accordo per l’istituzione di un consiglio presidenziale, di cui
avrebbero fatto parte anche due co-presidenti, con il compito di affiancare Rajoelina,
che divenne ufficialmente il presidente della transizione. Quest’accordo divenne l’Atto
Addizionale di Addis Abeba alla Carta della transizione.
La svolta unilaterale dell’HAT e la fallita mediazione di Francia e Sudafrica
(20 dicembre 2009 - 29 aprile 2010)
L’Atto Addizionale finì, però, per essere un’occasione di dissenso e non di consenso.
Le parti davano, infatti, un’interpretazione divergente dei ruoli di presidente e di copresidente.
La rottura fu inevitabile quando insorsero contrasti anche per l’attribuzione
dei posti ministeriali.
Un’ennesima riunione a Maputo, agli inizi di dicembre, non riuscì a sbloccare la situazione,
resa ancora più difficile dal netto rifiuto del movimento politico di Rajoelina di
parteciparvi, dal momento che l’HAT aveva deciso di portare avanti il suo progetto
politico. Il 20 dicembre, unilateralmente, Rajoelina nominò, infatti, un nuovo primo
ministro, il colonnello Camillo Vital, in sostituzione di quello consensuale Eugéne Mangalaza.
 La nomina di Vital fu, immediatamente, oggetto di critiche dalle altre parti,
perché contraria agli accordi di Maputo e all’Atto Addizionale. Il Governo di Rajoelina,
da parte, sua continuò a prendere decisioni unilaterali, come il procedere alla formazione
di un calendario elettorale con l’annuncio che il 20 marzo 2010 si sarebbero tenute
le elezioni legislative.
La notizia suscitò reazioni e proteste sia nel Paese sia fuori. Il 6 gennaio 2010 la comunità
internazionale si accordò per inviare il presidente della Commissione dell’Unione
Africana, Jean Ping, nel Madagascar con un piano per risolvere la crisi. Il piano prevedeva
la tenuta di un referendum costituzionale e di elezioni legislative non più tardi
dell’ottobre 2010. La proposta fu respinta, obiettando che il superamento della crisi
malgascia era oramai una questione interna. Allo scopo di accreditare questa tesi,
l’HAT organizzò per il 4 e il 5 marzo un “Congresso nazionale delle forze vive della Nazione”.
Il documento approvato dai congressisti il 5 marzo confermò Rajoelina presidente
e Camille Vital primo ministro. I partecipanti inoltre si accordarono sull’istituzione di
una conferenza nazionale, la quale avrebbe dovuto occuparsi del testo costituzionale,
della legge di amnistia, del codice della comunicazione, della legge sui partiti politici,
dello status dell’opposizione e degli ex capi di Stato, della gestione consensuale della
transizione, della Commissione elettorale nazionale indipendente, del codice elettorale
e dell’assemblea costituente.
Per il Gruppo di contatto internazionale quest’accordo fu l’ennesima prova del rifiuto di
Rajoelina d’uscire consensualmente dalla crisi e fu colta l’occasione per ricordare che
la sua parte politica aveva tempo fino al 16 marzo per conformarsi agli Accordi di Maputo.
Trascorso, inutilmente, tale termine, l’Unione Africana avrebbe imposto sanzioni
al Madagascar.
Di fronte al persistere dell’HAT sulla sua posizione, l’Unione Africana decretò l’applicazione
di sanzioni a 109 persone legate al regime in carica.
Da parte sua l’Unione Europea di lì a poco sospese per un altro anno gli aiuti finanziari
al Paese.
La situazione, soprattutto dopo la dissoluzione dell’ECMM (febbraio 2010) e la conseguente
inattività del GIC, visse un profondo stallo, cui Francia e Sudafrica tentarono di
porre rimedio. I due Paesi organizzarono, infatti, a Pretoria un summit per il 29 e il 30
aprile, al quale furono invitati Rajoelina e i tre ex-Presidenti. In realtà anche il piano
franco-sudafricano si rivelò inadeguato per la risoluzione della crisi,
 sia perché la coordinazione tra i due Paesi organizzatori fu lacunosa sia perché il disaccordo tra le parti si creò sul “quid”. Rajoelina, infatti, aveva acconsentito a recarsi a Pretoria nella convinzione che le parti avrebbero approvato il piano in precedenza concordato tra Francia e
Sudafrica, di tutt’altra idea fu Ravalomanana. Per l’ex-presidente il documento franco
sudafricano era, invece, il testo base per avviare la trattativa nell’ambito degli Accordi
di Maputo.
Nel tentativo di ridurre il contrasto tra i due leader, fu proposto un nuovo summit sempre
a Pretoria di lì a quindici giorni, ma, Rajoelina, una volta rientrato nel Madagascar,
dichiarò di non essere più disponibile a trattare.
La crisi: “une affaire malgacho-malgache”
Da quel momento, anche se il Paese stava patendo una crisi socio-economica sempre
più grave, alla quale non erano estranei casi di nepotismo, di malaffare e di crescente
insicurezza sia nella vita pubblica che privata, tanto da colpire gli stessi governanti,
si andò facendo avanti l’idea che il ritorno alla legittimità costituzionale sarebbe
stato possibile solo con un impegno di cui dovevano farsi carico i malgasci, come già
accaduto nel passato, non rifiutando, ove se ne presentasse la necessità, il sostegno
internazionale.
Agli inizi di maggio, infatti, l’HAT prese delle iniziative, che, se all’apparenza sembrarono
motivate dal desiderio di aprirsi al mondo politico e civile malgascio, in realtà in
seguito rivelarono tutte l’imprinting dell’unilateralità, o quanto meno
Il 12 maggio Rajoelina fissò, infatti, un nuovo calendario, che avrebbe dovuto favorire il
passaggio dal regime costituzionale provvisorio all’ordinamento della IV Repubblica. Il
nuovo feuille de route stabilì: un dialogo nazionale da tenersi dal 27 al 29 maggio allo
scopo di elaborare il nuovo testo costituzionale, alla cui preparazione era consentita
la partecipazione di tutte le forze vive delle ventidue regioni e dei centodiciannove
distretti; la tenuta del referendum costituzionale il 12 agosto; la tenuta delle elezioni
legislative il 30 settembre e delle presidenziali il 26 novembre. Altro fatto importante: il
presidente dell’HAT annunziò che non si sarebbe candidato alle elezioni presidenziali.36
Dall’accordo d’Ivato alle Conferenza Nazionale
(13 agosto 2010 - 13 settembre 2010)
Della preparazione del dialogo nazionale, a più riprese posposto, fu incaricata l’Alleanza
delle Organizzazioni delle Società Civile (Alliance des organisations de la société civile
- AOSC), alla quale fu però ben presto associato un Comitato Consultivo Costituzionale,
con il compito di presentare un progetto costituzionale da sottoporre a referendum. Il
Comitato poteva accogliere, come previsto, le proposte inviate dai cittadini. L’Alleanza,
nella sua ricerca di neutralità e d’indipendenza dal potere, allargò la sua composizione
e finì per costituire una Coordinazione nazionale delle organizzazioni della
società civile (Coordination Nationale des Organisations de la Société Civile - CNOSC).
I partiti politici da parte loro costituirono uno spazio di concertazione politica (Espace
de concertation des partis politiques - ESCOPOL), nel quale confluirono inizialmente
circa ottanta partiti politici, tutti, però, in parte legati all’HAT.
Su input proprio delle forze politiche, riunite nell’ESCOPOL, alle quali si aggregarono i
Raiamandreny mijoro, comitato dei saggi, i capi tradizionali e la società civile, fu sottoscritto
un accordo detto di Ivato il 13 agosto con l’HAT. Le parti firmatarie dell’accordo
furono centodue sulle centocinquantuno presenti. Esso disegnò un nuovo feuille de
route, che, a detta del presidente, rispondeva alle richieste dell’opposizione e della comunità
internazionale. L’accordo stabilì che sarebbe stata organizzata una conferenza
nazionale il 30 agosto, che, di fatto, fu rinviata al 13 settembre, che il referendum costituzionale si sarebbe svolto il 17 novembre, mentre le elezioni legislative il 16 marzo
2011 e quelle presidenziali il 4 maggio 2011.
In merito alla difficile questione dell’impunità e dell’amnistia, l’accordo d’Ivato decise
che essa sarebbe stata trattata nel corso della Conferenza Nazionale.
Nella conferenza stampa che seguì alla firma dell’accordo, il presidente Rajoelina
dichiarò che il documento era il segno tangibile della comune volontà dei malgasci
d’uscire dalla crisi, il loro desiderio di dimostrare «al mondo intero che il popolo malgascio
del Madagascar [era] patriota e [era] capace di superare [insieme] le difficoltà».
In realtà l’Accordo non fu risolutivo, anzi Ratsiraka, Ravalomanana e Zafy firmarono il
14 agosto un contro accordo, nel quale si richiamarono allo spirito di Maputo.
Su iniziativa del CNOSC fu fatto un nuovo tentativo di riunire tutte le parti, formazioni
politiche e non. Il 25 agosto ebbe luogo una conferenza, detta Vontovorona dalla località,
dove si tenne, alla quale parteciparono tutte le parti firmatarie dell’Accordo d’Ivato
ed anche i mediatori della comunità internazionale.
L’HAT percepì, però, questa conferenza come un’iniziativa finalizzata a smentire il contenuto
dell’Accordo d’Ivato, mentre per Rajoelina invece l’Accordo era un fatto oramai
acquisito. Egli, infatti, stabilì che la Conferenza Nazionale si sarebbe svolta dal 13 al 18
settembre. L’organizzazione fu affidata al CNOSC, poi ritiratosi, e ai Raiamandreny mijoro,
mentre fu boicottata dai partiti degli ex-presidenti oltre che dalla stessa CNOSC.
La Conferenza, articolata in quattro commissioni: 1) costituzione, 2) politica e governo,
3) vita economica e sociale, 4) riconciliazione nazionale, doveva tenere conto delle risoluzioni
adottate nelle riunioni preparatorie, svoltesi in tutto il Madagascar tra il 29 e
31 luglio. Pur alla presenza di alcune discordanze e irregolarità, i delegati approvarono
i lavori delle quattro commissioni.
Le risoluzioni adottate furono: Andry Rajoelina fu confermato presidente della transizione,
a lui spettava, su designazione dei partiti politici, la nomina del primo ministro,
che doveva essere originario delle regioni costiere. Fu deliberata inoltre l’istituzione
di due camere legislative, che i sindaci e i capi di regione sarebbero stati sostituiti dai
presidenti di delegazione speciale, che sarebbe stata scritta una Carta dell’opposizione
e dei partiti politici, che l’età per presentarsi alle Presidenziali passava da 40 a 35 anni,
che la IV Repubblica avrebbe avuto la forma di Stato unitario, laico e decentralizzato
con una divisione in provincie, regioni e comuni, che il regime sarebbe stato 
semi-parlamentare, che il mandato presidenziale era di cinque anni, rinnovabile una sola volta,
che l’indipendenza del potere giudiziario sarebbe stata rafforzata.
Dal referendum costituzionale alla nascita della IV Repubblica
(17 novembre 2010 - 11 dicembre 2010)
I risultati della Conferenza nazionale furono prontamente adottati dall’HAT e non poteva
essere diversamente, tenuto conto che il CNOSC, nonostante le accuse di volere
dividere il Paese, si apprestava a preparare una sua conferenza, con l’appoggio della comunità
internazionale, dopo che la stessa aveva disapprovato la Conferenza nazionale,
del 13 settembre, giudicata unilaterale.
Il Governo transitorio decideva, quindi, di mettere in atto le risoluzioni approvate dalla
Conferenza nazionale, anche perché il 24 settembre il Comitato Consultivo Costituzionale
aveva consegnato il progetto della nuova costituzione, per cui la campagna
referendaria poteva iniziare. La campagna cominciava il 2 ottobre, con un progetto di
Costituzione, come detto, modificato rispetto all’originario, e sul quale i cittadini sono
stati chiamati a esprimersi il 17 novembre.
Il 4 ottobre il Governo di transizione istituiva il Parlamento e cioè il Congresso della
transizione o Camera bassa con duecentocinquantasei membri e il Consiglio superiore
della transizione o Camera alta, composta di novanta membri. Nella spartizione dei
seggi, la parte politica di Rajoelina si attribuiva complessivamente centoquaranta seggi
su un totale di trecentoquarantasei cioè il 40%.
Gli eventi che sono seguiti fino al giorno del referendum hanno messo a dura prova i
malgasci, che si sono trovati a fare i conti con un Governo transitorio deciso a non fare
marcia indietro, sebbene consapevole che il perseverare in una decisione unilaterale,
sarebbe stato ancora un ostacolo sulla via del riconoscimento internazionale, del quale
non può ovviamente prescindere.
Da parte loro i movimenti dei tre ex-Presidenti, dopo essersi dichiarati contro lo svolgimento
del referendum, ancora una volta hanno chiesto al presidente Rajoelina di
dimettersi e di procedere a dei negoziati con la mediazione della comunità internazionale.
La società civile, infine, ha il grave torto di non presentarsi come un unicum come la
situazione richiederebbe. Ciò le proibisce, infatti, di esercitare quella pressione morale
e politica che la situazione richiede e ciò che è peggio viene messa in dubbio la sua
credibilità.
Il clima del pre-referendum, pur se trascorso in un clima complessivo di calma, è stato,
comunque, segnato da alcuni eventi, sui quali l’opinione pubblica si è divisa. Ad
esempio sono stati eseguiti degli arresti, com’è avvenuto l’11 novembre, quando sono
stati messi in prigione Fetison Rakoto Andrianirina, capo del gruppo politico di Marc
Ravalomanana, il deputato Zafilahy Stanislas, capo del gruppo parlamentare TIM ed il
Pastore Édouard Tsarahame appartenente al gruppo politico di Albert Zafy; come sono
state prese misure di emergenza, ecc. Tutto ciò in un quadro Paese, come detto, molto
fragile sia sotto il profilo politico che economico e di cui potrebbero rivendicare la
guida, dopo avere più volte richiamato i politici alle loro responsabilità, i militari. Le
forze armate diverrebbero quindi arbitre della situazione, come il 17 marzo 2009, e
potrebbero mettere fine a loro modo allo stallo del Paese.
Conclusione
Si è detto che l’11 dicembre con la promulgazione della nuova carta fondamentale, il
Madagascar è entrato nella IV Repubblica. Si è anche accennato alle perplessità che
gravano sul Paese, perché la nuova Costituzione da sola non può essere la panacea di
tutti i problemi, che nel corso del tempo hanno messo a dura prova il popolo.
Il Madagascar ha oggi bisogno di una concertazione politica che sia veramente consensuale,
seguita dalla stipulazione di un nuovo contratto sociale, che tenga conto
dei bisogni delle persone. Se la soluzione della crisi del Paese è, come i recenti eventi
lasciano pensare, malgascia-malgascia, con il sostegno, tuttavia, 
della comunità internazionale nella fase elettorale, perché essa possa svolgersi in maniera trasparente
e libera, è essenziale che i malgasci riescano a porre in essere un consenso politico, le
cui prerogative inderogabili - a mio avviso - sono quelle della riconciliazione e della
coesione nazionale, le uniche grazie alle quali sarà loro possibile gettare le basi della
futura nazione malgascia.

Liliana Mosca è Professore ordinario di Storia e Istituzioni dei Paesi Afro Asiatici presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche dell’Università degli Studi di Napoli Federico II

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