mercoledì 16 marzo 2011

Le contraddizioni di un Paese che compie 150 anni

L’Italia compie 150 anni. Giovane, se si confronta con altri paesi. Con l'avvicinarsi della data, però, invece di una trepidante attesa, saltano fuori nuove incertezze, se non vere e proprie ostilità.

Lo stato dell'unione: le contraddizioni di un Paese che compie 150 anni
In occasione del 150enario dell’Unità d’Italia, Michael Day analizza le divisioni culturali che impediscono al Paese di diventare, davvero, una forza globale

L’Italia compie 150 anni. Giovane, se si confronta con altri paesi. Con l'avvicinarsi della data, però, invece di una trepidante attesa, saltano fuori nuove incertezze, se non vere e proprie ostilità.
L'anziano Capo di Stato, Giorgio Napolitano, ha invitato tutti a partecipare alla festa. Ma in giro c'è apatia. O peggio.
La provincia di Bolzano, quella che confina con l'Austria e che è guidata dal Governatore dal nome teutonico Luis Durnwalder, ha già detto "nein" e ha annunciato che snobberà le celebrazioni.
Dall’altra parte, il Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, sta dando ordine ai concittadini di indossare da subito i cappellini da party.
Si parla anche di chiusura di scuole e uffici in occasione del Gran Giorno, il 17 marzo.
La Russa, un omaccione con la voce della bambina dell' “Esorcista”, faceva parte dell’ex partito neo-fascista Alleanza Nazionale e probabilmente si aspetta, su tutto il territorio nazionale, un’esibizione di patriottismo, che però non c'è. Di fronte a lui, al tavolo del Consiglio dei Ministri, siede l'alleato della Lega Nord, che piuttosto che festeggiare il giorno in cui l'Italia fu unificata, preferirebbe costruire un muro tra Nord e Sud.
Se poi vi venisse in mente di fermare la gente per strada, tanto a Nord quanto a Sud, per sapere cosa pensano, è possibile che vi sentiate rispondere "L'anniversario di che?", da qualcuno con le labbra arricciate.
O anche "Nord e Sud sono troppo diversi"; "L'Italia non è davvero un unico Paese".
Oddio, ufficialmente lo è, e dal 1861, da quando, cioè, Nord e Sud furono unificati dopo la cacciata a calci, con un aiutino da parte di Napoleone, degli avi di Durnwalder.
Alla fine del 1700, le idee liberali che serpeggiavano in Gran Bretagna e Francia avevano cominciato a farsi strada oltre le Alpi, dando una mano alla diffusione dell'attivismo rivoluzionario su tutta la Penisola, ancora alle prese con le conseguenze delle spartizioni post guerre napoleoniche.
Verso la fine degli anni ‘50 del 1800, il Regno di Sardegna - che comprendeva anche una bella fetta del Nord-Ovest - aveva convinto Napoleone a collaborare per cacciare gli austriaci.
Nel giro di pochi anni gli Asburgo, che prima dominavano gran parte del territorio che oggi conosciamo come “Italia”, si ritrovavano aggrappati con le unghie solo al Nord Est.
L'ultimo ostacolo all'unificazione del Paese rimaneva il Regno di Napoli, o "Regno delle Due Sicilie", esteso su tutta la metà meridionale della penisola. Ci volle allora un combattente per l'indipendenza di nome Garibaldi, per portare un esercito alla conquista prima della Sicilia, e poi di Napoli, nel 1860.
Con le due metà riunite, l'anno successivo, il 18 febbraio 1861, Vittorio Emanuele II del Regno di Sardegna mise insieme a Torino il primo Parlamento italiano. I membri del Parlamento ricambiarono il favore dichiarandolo Re d'Italia il 17 marzo. Dieci giorni dopo la capitale diventò Roma, nonostante fosse ancora Stato Pontificio.
Dieci anni ancora, e tanto Roma quanto Venezia entrarono a far parte dell'Italia Unita.
Mesi dopo la data di nascita del 17 marzo, Camillo Benso, Conte di Cavour e primo ministro di Emanuele II, nonché architetto principe dell'unificazione, pare abbia pronunciato, sul letto di morte, "L'Italia si è fatta. Tutto è a posto". Ma anche se gli austriaci se ne sono andati da tempo, la frase dell'illustre diplomatico ottocentesco Klemens von Metternich, ovvero che l'Italia era "poco più di un'espressione geografica", oggi risuona ancora alta.
150 anni dopo, nel 2011, con ex comunisti come Napolitano, neo fascisti come la Russa, e con una folla separatista come la Lega Nord ai posti di comando, ci si può fare un'idea di quanto ancora tribale sia questa nazione.
E’ anche vero che la persona di maggior potere in Italia non è fortissima dal punto di vista ideologico, se si escludono il denaro, la tendenza a partecipare a feste sfrenate e la scelleratezza.
Silvio Berlusconi è l'unico vero autocrate d'Occidente. La sua leadership del Popolo della Libertà è democratica come la presidenza dell'AC Milan, anch’esso di sua proprietà. Con grande disappunto di almeno metà della popolazione, il Cavaliere, come lo chiamano, fa già parte della lista delle cose prettamente italiane, pre e post unificazione, come il Colosseo, Leonardo da Vinci, la pizza Margherita e - come dimenticarla - la Mafia (con la M maiuscola nel testo. Ndt).
Per quasi due decenni ha saputo inguattare le sue magagne e addomesticare gli italiani con una dieta a base di tv spazzatura, con una spolverata di innata (ma raffinatissima) tendenza nazionale all'elusione delle tasse e al disprezzo delle responsabilità civiche. Senza però alterare il provincialismo e senza instillare spirito patriottico o collaborazione a livello nazionale. Oggi è Berlusconi che guida l'Italia, ma quanto sopra era già in giro ben prima della sua comparsa sulla scena politica.
Il rovescio della medaglia della scaltrezza e della frugalità degli italiani è una certa intraprendenza, che ha impedito al paese di cadere nella peggiore delle crisi finanziarie, nonostante un immenso debito pubblico e una crescita lenta.
A milioni riescono a rimanere a galla in tempi difficili, rimanendo a vivere in famiglia o facendo affidamento su quanto possono allungare i genitori, che sempre hanno fatto tesoro dell'arte nazionale del risparmio.
E nonostante corruzione e burocrazia, la creatività e l'estro di questo popolo sostengono l'economia con abiti, automobili, arredamento e tessuti di lusso: Ferrari, Dolce & Gabbana e Alessi sono oggetti del desiderio in tutto il mondo. Quindi, a differenza della vecchia e povera Gran Bretagna, l'Italia può sostenere di essere un'economia importante, che fabbrica cose che le persone, soprattutto quelle che vivono nei grandi mercati emergenti, vogliono davvero comprare.
Ma...c'è un ma. La corruzione diffusa a tutti i livelli è una falla aperta per l'Italia, tanto dal punto di vista finanziario che psicologico. La Mafia (scritto con la M maiuscola nel testo, ndt) ha contribuito a mantenere il Sud paralizzato e dipendente da quanto Roma poteva dare. Questo ha alimentato il risentimento, che ha visto crescere la Lega Nord separatista ad ogni elezione.
Ciò non significa che il Nord sia innocente. Banchieri e rinomati uomini d'affari milanesi fanno milioni ripulendo i milioni dei criminali, mentre le aziende settentrionali pagano i clan, perché smaltiscano per due soldi i loro rifiuti tossici giù al Sud.
Ma il male non siede solo ai piani alti. Quando mi sono trasferito in Italia la prima volta, un amico milanese mi ha spiegato che "la Mafia non è quella fatta di uomini con occhiali neri e completo scuro a Palermo. E' anche la vecchietta all'ufficio postale, che tira dritto all'inizio della fila perché conosce l'impiegato dall'altra parte dello sportello".
Gli italiani sanno di fregarsi a vicenda, e sono molti quelli che non gradiscono. Il padre fondatore dell'Italia Cavour, quello che diceva che "chi si fida del prossimo farà meno errori di chi non si fida", conosceva il valore della fiducia e dell'onestà. Ma non è chiaro a chi dovrebbero ispirarsi o chi dovrebbero votare gli italiani per cambiare le cose.
Con una sinistra che non ha messo da parte il comunismo e con un centro politico ancora contaminato dal conservatorismo sociale del Vaticano, l'ispirazione politica ha il fiato corto.
Nonostante la socievolezza e la generale mancanza di cinismo, colpisce quanto gli italiani siano pessimisti e quanto poco stimino il loro stesso Paese; e ciò si deve soprattutto ai racket e al nepotismo. Vi potrebbe anche capitare di sentire l'espressione "all'italiana", riferito a qualcosa fatto male o con approssimazione: un'espressione fraseologica che certo non esprime il concetto di un Paese contento di sé.
Molti, soprattutto giovani, si stupiscono quando scoprono che sono di Londra. "E che ci fai qui?" è l'osservazione di routine e la reazione immediata di persone che non sanno che Londra potrebbe essere sì il centro dell'Universo, ma solo per certi giovani o certi ricchi.
Io provo a spiegare loro che, a parte il cibo e il clima, è bello sapere di poter tornare a casa il venerdì sera, magari un po' sbronzo, senza subire le aggressioni di gang di ragazze che si chiamano Jade.
Certo per molti versi l'Italia resta soprattutto un posto splendido, benedetto da un clima fantastico, dalla migliore cucina del mondo, dalla più grande varietà di paesaggi - tutti belli -, senza rivali dal punto di vista del patrimonio culturale e con una società relativamente sicura e stabile.
Ci sarebbe solo che esserne felici.
Eppure, tutto quanto ho scritto finora fa dell'Italia ciò che è oggi: la destinazione ideale per le vacanze o per la vecchiaia delle classi medie europee.
Ma per i giovani che non hanno gli agganci giusti di famiglia, le prospettive sono tristi. Gli ultimi dati parlano di un giovane su cinque senza lavoro e che non studia né frequenta corsi professionali. Il Paese occupa uno degli ultimi posti nella classifica europea da questo punto di vista. Senza contare che, grazie a leggi antidiluviane che regolano la materia lavoro e che hanno prodotto molti lavoratori a tempo indeterminato, i datori di lavoro hanno reagito assumendo gente con contratti a tempo, precari e mal pagati.
Ecco perché quindi molti figli e figlie mammoni rimangono a vivere coi genitori fino a trenta o quarant'anni. Non sorprende nemmeno la florida fuga di cervelli, che vede partire i giovani più in gamba, in cerca di terreni più fertili e meritocrazia.
In Italia ci sono anche le università più vecchie e famose del mondo, come Bologna, Modena e Padova, ma nessuna è rientrata nella classifica delle 200 migliori del Times del 2010, dando l'idea che l'Italia non possa competere con gli atenei di Taiwan, Corea o Egitto, per non parlare di quelli americani o inglesi. Il perché non è un mistero: i docenti lasciano il posto a parenti e amici, invece di destinarlo a chi lo merita. Alcune facoltà, soprattutto nel Meridione, sembrano feudi familiari.
La paura è che presto l'Italia diventi solo un parco a tema, bello, pieno di turisti ma vecchio e sempre meno importante. La settimana scorsa, un preoccupato politologo della Luiss di Roma mi ha detto di temere che Venezia, la gloriosa città morente dell'Adriatico, "diventi il simbolo del Paese".
Il mese scorso, il leader dell'opposizione Pier Luigi Bersani del Pd ha detto che non celebrare il Centocinquantenario "con unità e con convinzione" sarebbe un pessimo segnale che "potrebbe indebolire il Paese".
In fondo gli italiani sono un popolo socievole e alcuni, compresi i giovani, coglieranno l'occasione del 17 marzo per fare festa comunque, anche se non sanno bene cosa stanno festeggiando.
Ma mentre almeno una parte del Paese si prepara a celebrare l'anniversario, Bersani e tutta la classe politica potrebbe iniziare a valutare se il problema non siano davvero le differenze tra Nord e Sud, o i forti legami locali che da Palemo a Bolzano danno ad ogni regione un carattere distintivo, o il fatto che questo Paese così giovane si senta stranamente già vecchio.
“The Indipendent”

1 commento:

  1. Questo ritratto dell'Italia fatto dagli occhi di uno straniero è sorprendente e drammaticamente sincero. Con amarezza spesso noi italiani ci rendiamo conto di ciò che c'è scritto qui sopra: fatichiamo però ad ammetterlo.Non smetto di sperare in una nuova generazione di gente sveglia, onesta e intelligente, che c'è, ma è invisibile a causa di un branco di chiassosi connazionali caciaroni. Che si leveranno di mezzo, prima o poi!

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