Siamo a rischio Madagascar, pur con il Colosseo: che
fare oggi, che fare domani? Giorni fa due giovani di ritorno da una settimana
in Madagascar con quei noti “pacchetti vacanza” mi hanno raccontato della povertà che circonda quando non assedia queste
“cattedrali” del lusso turistico,
povertà che più onestamente dovremmo chiamare miseria (che è un’altra cosa …).
La cosa mi ha impressionato, ma non sorpreso: è il “trend” del pianeta che
globalizza la miseria dei moltissimi in favore della plutocrazia, e
lo fa sotto gli occhi anche televisivi e internetticidi tutti. Un villaggio
turistico in quella come in altre zone analoghe del mondo è come un plastico,
in un deserto dove manca l’acqua: i ragazzi raccontavano, e fortunatamente
essendo di ottima pasta umana partecipavano con i fatti avendo lasciato in loco
ai miseri soldi, abiti e tutto il non strettamente necessario. Sono tornati
“leggeri”, ma insieme “pesanti”. Intendo certo eticamente pesanti.
Invece mi ha colpito il racconto che i
bambini in cerca di elemosina a colpi di sorrisi dicessero, rivolgendosi alla
stragrande maggioranza di italiani “fedeli della cattedrale” malgascia di cui
sopra, “bungabunga” e “Berlusconi”: bungabunga, Berlusconi in
Madagascar, ma dove siamo arrivati? (Tradotto per gli adepti di Arcore
che leggono degli articoli solo le righe che interessano loro: magistrati
cattivi, stampa assassina, guardate dove ci avete trascinato, nel fango
dell’Oceano Indiano …). Forse i miei giovani avevano esagerato, ho
pensato per sopravvivere. Invece in prima pagina sul “Corriere della Sera”,
ti trovo un pezzo di Dario Di Vico che trattando degli industriali del Nord che
non sopportano più questo precipizio citava virgolettata l’affermazione “ci
prendono in giro persino in Madagascar”.
Senza essere né Sherlock né Watson, ho
fatto due più due: se non cambiamo il manico, siamo finiti, e non
necessariamente per colpa esclusiva di Berlusconi, come ho scritto anche qui
mille volte. Solo che la profondità della crisi fa chiedere a molti “ci dia Lei
la ricetta”, come se fosse uno sciroppo da trangugiare con facilità il fatto di
scrivere quello che scrivo da anni, in solitudine quasi completa: perché chi dà
addosso al Caimano spesso non vede altro che lui con dei colpevoli “paraocchi”
da far invidia alla razza equina, o forse specificamente ai muli; chi lo
difende ormai solo a colpi di “ e gli altri, come sono gli altri?”, pare non
rendersi conto del baratro in cui siamo finiti. Le piazze si stanno già
riempendo, e sarà sempre peggio, per forza, con una tensione e una disperazione
che si tagliano con il coltello di una sensibilitàanche solo da bambini.
La questione della “ricetta” è mal
posta: premetto che non ne ho, e faccio già fatica a stilare diagnosi e
prognosi senza committenti alle spalle. Ma è come quando mi chiedono “perché
non fa politica Lei direttamente” (e chi mi candiderebbe, anche lo volessi,
visto che ho raccontato le magagne complementari di tutti?) oppure “perché non
fonda un Partito”, quasi non ce ne fossero già abbastanza. Ma non ne voglio
uscire così.
Per non trasformarci in un Madagascar
con il Colosseo, comincio con qualche rapido suggerimento:
1) Firmare
- e di corsa - per il referendum abrogativo del Porcellum: non risolverà tutto,
ma è sempre meglio di questa legge elettorale orrenda
2) Fare
pressione popolare perché si formi un governo d’emergenza solo - ripeto solo,
con il visto quirinalizio - per mandarci a votare il prima possibile.
3) Pretendere
nel frattempo sia a sinistra che a destra che al centro che sopra che sotto
primarie “pulite” per i candidati, nel senso che non ci sia di mezzo né la
delinquenza organizzata né la burocrazia politica, che insieme strozzano una
politica accettabile. Altrimenti non andare a votare.
4) A casa
con Berlusconi devono andare anche i protagonisti dell’ultimo ventennio
“diversamente sodali” del loro avversario caimanesco, cioè quelli che da troppo
tempo occupano il suolo pubblico con la scusa/paravento di essere stati votati.
Non votiamoli più. Sono il “vecchio” e soprattutto sono il “vecchio colpevole”
o almeno “responsabile” di tale sfascio.
5) Chiedere
ai “nuovi” soggetti politici usciti dalle primarie, da fare in fretta e sulla
spinta dell’indignazione popolare, non solo un programma per oggi, ma anche una
visione del Paese, e del Paese nel mondo, per domani. Se non ne hanno, non si
vota neppure per loro.
E’ poco? E’ troppo? E’ utopistico?
Vedete voi, da qualche parte bisognerà pur cominciare.
Fonte: notizie.tiscali.it