VENERDÌ 29 APRILE 2011 13:53ROMA\ aise\ - A nome dei pensionati italiani in Madagascar, il segretario generale dell’Aim (Associazione Italiani in Madagascar), Aldo Sunseri, ha inviato una "lettera aperta" al Direttore Generale dell'Inps Mauro Nori per protestare contro la tempistica della verifica dell’esistenza in vita che l’Istituto di Credito delle Banche Popolari Italiane (ICBPI) ha pianificato per conto dell’Istituto di previdenza italiano.
"Facendo riferimento all’articolo pubblicato da Aise in data 28 aprile e alla Circolare INPS emanata in pari data – scrive Sunseri - si evince che la verifica per il Madagascar sarà nel mese di giugno. Non si può essere tanto disinformati da non sapere che il periodo in cui avverrà la verifica della esistenza in vita dei pensionati del Madagascar, coincide con due importanti scadenze elettorali: infatti il 15 e 16 maggio prossimi in 11 province e in 1310 comuni si svolgeranno le elezioni amministrative con un eventuale turno di ballottaggio il 29 e 30 maggio 2011 e poi il 12 e 13 giugno ci sarà il referendum".
"Gli italiani del Madagascar – ricorda Sunseri – per esercitare il diritto di voto dovranno recarsi in Italia, in quanto il Governo Italiano non ha concluso apposite intese con il Madagascar per esercitare il diritto di voto per corrispondenza. Infatti usufruiranno del rimborso da parte del Ministero degli Esteri, tramite l’Ambasciata di Pretoria, del 75% delle spese del biglietto aereo e poi ci saranno anche le agevolazioni da parte di Trenitalia, del Gruppo Tirrenia (Tirrenia, Caremar, Siremar, Toremar e Saremar e l’Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori (A.I.S.C.A.T). Quindi, nel mese di giugno, all’arrivo della pensione presso gli sportelli della Western Union in Madagascar, gli italiani saranno in Italia per esercitare il diritto di voto e saranno impossibilitati a incassare quanto dovuto dall'INPS".
"Inoltre – ricorda Sunseri – ancora non c'è alcuna possibilità di delega, essendo lo scopo teso ad evitare il pagamento di prestazioni a persone diverse dai legittimi beneficiari. Pertanto la famiglia del pensionato, che rimane in Madagascar, in giugno non mangerà e non potrà assolvere gli impegni economici in quanto la pensione sarà presso le casse della Western Union. Con la presente protesta, - conclude la lettera - i pensionati del Madagascar invitano Mauro Nori, Direttore Generale dell'INPS, a volere prendere i provvedimenti necessari per differire ad altra data questa verifica per i pensionati del Madagascar". (aise)
venerdì 29 aprile 2011
mercoledì 27 aprile 2011
In black list vettori del Mozambico e Air Madagascar
Ancora troppe le compagnie nel mondi inaffidabili
- La commissione europea ha adottato oggi il diciassettesimo aggiornamento dell’elenco delle compagnie aeree sottoposte a divieto operativo all’interno dell’Unione europea. Alcune compagnie aeree –inclusi quattro vettori aerei indonesiani destinati al trasporto-merci ed un vettore aereo ucraino– sono stati rimossi dall’elenco dato che le criticità sotto il profilo della sicurezza sono state risolte adeguatamente. Per contro, tutti i vettori aerei certificati in Mozambico sono stati soggetti a divieto operativo nell’Unione europea, così come le attività di Air Madagascar per due aeromobili specifici a causa di importanti carenze in materia di sicurezza che necessitano interventi decisivi in entrambi i casi. Tutte le decisioni sono state prese con il supporto unanime del comitato di sicurezza aerea, composto da esperti degli Stati membri.
La commissione ha adottato oggi, seguendo l’opinione unanime del comitato di sicurezza aerea, il diciassettesimo aggiornamento dell’elenco delle compagnie aeree sottoposte a divieto operativo all’interno dell’Unione europea. Il nuovo elenco sostituisce il precedente stabilito nel novembre 2010.
Il comitato di sicurezza aerea, riunitosi dal 5 al 7 aprile, ha anche esaminato vari casi di vettori aerei europei. La commissione invita urgentemente le autorità in diversi Stati membri a migliorare ulteriormente la supervisione di tali vettori aerei al fine di assicurare che tutte le compagnie aeree stabilite in Europa operino al più alto livello di sicurezza.
Il presente aggiornamento annulla il precedente divieto operativo di quattro vettori aerei indonesiani per il trasporto-merci –Cardig Air, Republic Express, Asia Link ed Air Maleo. Ciò grazie alla corretta applicazione delle norme di esecuzione da parte delle autorità indonesiane per garantire che gli aerei operino in condizioni di sicurezza. Le restrizioni alla linea ucraina UMAir sono state rimosse dopo che prove concrete hanno dimostrato il miglioramento delle sue prestazioni.
Le autorità di Angola, Cambogia, Kazakistan e Kirghizistan hanno intensificato i loro sforzi per applicare gli standard internazionali di sicurezza. Su tale base alcune compagnie che non sono più impegnate nel trasporto aereo commerciale sono state cancellate dall’elenco.
Al fine di escludere tutti i rischi per la sicurezza nell’operatività di alcuni vettori aerei, la Commissione, con il supporto unanime del comitato di sicurezza aerea, ha deciso di imporre restrizioni operative in due casi. In primo luogo ha imposto un divieto operativo a tutti i vettori aerei certificati in Mozambico a causa delle importanti carenze riscontrate dalle autorità dell’aviazione civile di questo Paese, come riportato dall’organizzazione internazionale dell’aviazione civile (Icao, International Civil Aviation Organization) nell’ambito del programma di verifiche Universal Safety Oversight Audit. La commissione ha inoltre imposto restrizioni sui due aeromobili di tipo Boeing 767 operati da Air Madagascar, a causa delle persistenti carenze nel loro funzionamento e nella supervisione.
La commissione ed i membri del comitato di sicurezza aerea hanno riconosciuto gli sforzi delle autorità dei suddetti Paesi nel riformare i loro sistemi di aviazione civile per migliorare la sicurezza al fine di garantire che gli standard internazionali di sicurezza siano effettivamente applicati. La Ce è pronta a offrire un sostegno attivo a tali riforme, intervenendo in cooperazione con l’Icao, con gli Stati membri dell’Unione europea e con l’agenzia europea per la sicurezza aerea.
Tutte le compagnie aeree della Repubblica democratica del Congo di recente costituzione sono state inserite nell’elenco perché tutti i vettori di questo Stato sono soggetti a restrizioni operative a causa dell’inadeguatezza delle loro autorità competenti nello svolgere i rispettivi compiti di supervisione in materia di sicurezza in questa fase.
Infine, dopo una lunga discussione, il comitato di sicurezza aerea ha invitato la Ce ad intensificare il dialogo relativo a problemi di sicurezza aerea con la Federazione russa al fine di assicurare che tutti gli aeromobili che volano nell’Ue si conformino agli standard internazionali.
La Ce mira ad una più stretta osservanza delle norme di sicurezza internazionali e, in questa prospettiva, ha chiesto all’agenzia europea per la sicurezza aerea di effettuare una serie di missioni di assistenza tecnica per sostenere le autorità competenti di alcuni Stati, allo scopo di migliorare gli aspetti relativi alla sicurezza e affrontare le criticità riscontrate a questo riguardo.
L’elenco Ue aggiornato comprende tutti i vettori certificati in 21 Stati, corrispondenti a 269 vettori aerei noti, le cui operazioni sono totalmente vietate nell’Unione europea: Afghanistan, Angola, Benin, Repubblica del Congo, Repubblica democratica del Congo, Gibuti, Guinea equatoriale, Gabon, (con l’eccezione di tre vettori che operano sotto determinate restrizioni e condizioni), Indonesia, (con l’eccezione di sei vettori), Kazakistan (con l’eccezione di un vettore che opera sotto determinate restrizioni e condizioni), Repubblica Kirghisa, Liberia, Mauritania, Mozambico, Filippine, Sierra Leone, São Tomé e Principe, Sudan, Swaziland e Zambia.
La lista comprende anche tre vettori individuali: Blue Wing Airlines del Suriname, Meridian Airways del Ghana e Silverback Cargo Freighters del Ruanda.
Inoltre, l’elenco comprende dieci vettori aerei che sono autorizzati ad operare nell’Ue con rigide restrizioni e soggetti a determinate condizioni: Air Astana del Kazakistan, come indicato in precedenza; Air Koryo della Repubblica democratica popolare di Corea; Airlift International del Ghana; Air Service Comores, Afrijet, Gabon Airlines e SN2AG del Gabon; Iran Air; Taag Angola Airlines; ed Air Madagascar certificato in Madagascar.
- La commissione europea ha adottato oggi il diciassettesimo aggiornamento dell’elenco delle compagnie aeree sottoposte a divieto operativo all’interno dell’Unione europea. Alcune compagnie aeree –inclusi quattro vettori aerei indonesiani destinati al trasporto-merci ed un vettore aereo ucraino– sono stati rimossi dall’elenco dato che le criticità sotto il profilo della sicurezza sono state risolte adeguatamente. Per contro, tutti i vettori aerei certificati in Mozambico sono stati soggetti a divieto operativo nell’Unione europea, così come le attività di Air Madagascar per due aeromobili specifici a causa di importanti carenze in materia di sicurezza che necessitano interventi decisivi in entrambi i casi. Tutte le decisioni sono state prese con il supporto unanime del comitato di sicurezza aerea, composto da esperti degli Stati membri.
La commissione ha adottato oggi, seguendo l’opinione unanime del comitato di sicurezza aerea, il diciassettesimo aggiornamento dell’elenco delle compagnie aeree sottoposte a divieto operativo all’interno dell’Unione europea. Il nuovo elenco sostituisce il precedente stabilito nel novembre 2010.
Il comitato di sicurezza aerea, riunitosi dal 5 al 7 aprile, ha anche esaminato vari casi di vettori aerei europei. La commissione invita urgentemente le autorità in diversi Stati membri a migliorare ulteriormente la supervisione di tali vettori aerei al fine di assicurare che tutte le compagnie aeree stabilite in Europa operino al più alto livello di sicurezza.
Il presente aggiornamento annulla il precedente divieto operativo di quattro vettori aerei indonesiani per il trasporto-merci –Cardig Air, Republic Express, Asia Link ed Air Maleo. Ciò grazie alla corretta applicazione delle norme di esecuzione da parte delle autorità indonesiane per garantire che gli aerei operino in condizioni di sicurezza. Le restrizioni alla linea ucraina UMAir sono state rimosse dopo che prove concrete hanno dimostrato il miglioramento delle sue prestazioni.
Le autorità di Angola, Cambogia, Kazakistan e Kirghizistan hanno intensificato i loro sforzi per applicare gli standard internazionali di sicurezza. Su tale base alcune compagnie che non sono più impegnate nel trasporto aereo commerciale sono state cancellate dall’elenco.
Al fine di escludere tutti i rischi per la sicurezza nell’operatività di alcuni vettori aerei, la Commissione, con il supporto unanime del comitato di sicurezza aerea, ha deciso di imporre restrizioni operative in due casi. In primo luogo ha imposto un divieto operativo a tutti i vettori aerei certificati in Mozambico a causa delle importanti carenze riscontrate dalle autorità dell’aviazione civile di questo Paese, come riportato dall’organizzazione internazionale dell’aviazione civile (Icao, International Civil Aviation Organization) nell’ambito del programma di verifiche Universal Safety Oversight Audit. La commissione ha inoltre imposto restrizioni sui due aeromobili di tipo Boeing 767 operati da Air Madagascar, a causa delle persistenti carenze nel loro funzionamento e nella supervisione.
La commissione ed i membri del comitato di sicurezza aerea hanno riconosciuto gli sforzi delle autorità dei suddetti Paesi nel riformare i loro sistemi di aviazione civile per migliorare la sicurezza al fine di garantire che gli standard internazionali di sicurezza siano effettivamente applicati. La Ce è pronta a offrire un sostegno attivo a tali riforme, intervenendo in cooperazione con l’Icao, con gli Stati membri dell’Unione europea e con l’agenzia europea per la sicurezza aerea.
Tutte le compagnie aeree della Repubblica democratica del Congo di recente costituzione sono state inserite nell’elenco perché tutti i vettori di questo Stato sono soggetti a restrizioni operative a causa dell’inadeguatezza delle loro autorità competenti nello svolgere i rispettivi compiti di supervisione in materia di sicurezza in questa fase.
Infine, dopo una lunga discussione, il comitato di sicurezza aerea ha invitato la Ce ad intensificare il dialogo relativo a problemi di sicurezza aerea con la Federazione russa al fine di assicurare che tutti gli aeromobili che volano nell’Ue si conformino agli standard internazionali.
La Ce mira ad una più stretta osservanza delle norme di sicurezza internazionali e, in questa prospettiva, ha chiesto all’agenzia europea per la sicurezza aerea di effettuare una serie di missioni di assistenza tecnica per sostenere le autorità competenti di alcuni Stati, allo scopo di migliorare gli aspetti relativi alla sicurezza e affrontare le criticità riscontrate a questo riguardo.
L’elenco Ue aggiornato comprende tutti i vettori certificati in 21 Stati, corrispondenti a 269 vettori aerei noti, le cui operazioni sono totalmente vietate nell’Unione europea: Afghanistan, Angola, Benin, Repubblica del Congo, Repubblica democratica del Congo, Gibuti, Guinea equatoriale, Gabon, (con l’eccezione di tre vettori che operano sotto determinate restrizioni e condizioni), Indonesia, (con l’eccezione di sei vettori), Kazakistan (con l’eccezione di un vettore che opera sotto determinate restrizioni e condizioni), Repubblica Kirghisa, Liberia, Mauritania, Mozambico, Filippine, Sierra Leone, São Tomé e Principe, Sudan, Swaziland e Zambia.
La lista comprende anche tre vettori individuali: Blue Wing Airlines del Suriname, Meridian Airways del Ghana e Silverback Cargo Freighters del Ruanda.
Inoltre, l’elenco comprende dieci vettori aerei che sono autorizzati ad operare nell’Ue con rigide restrizioni e soggetti a determinate condizioni: Air Astana del Kazakistan, come indicato in precedenza; Air Koryo della Repubblica democratica popolare di Corea; Airlift International del Ghana; Air Service Comores, Afrijet, Gabon Airlines e SN2AG del Gabon; Iran Air; Taag Angola Airlines; ed Air Madagascar certificato in Madagascar.
Il re è nudo
Non solo, prima d’ora, non avevo mai sentito parlare di Vittorio Arrigoni, ma non avevo mai immaginato che un occidentale potesse trasferirsi in una zona problematica come la Striscia di Gaza. Avevo un’idea precisa dei missionari e sapevo che sono spinti da un ideale spirituale. Sapevo che ve ne sono di due tipi: laici e religiosi, senza soluzione di continuità tra le due categorie. Sapevo di quella ragazza di Milano che anni fa lasciò lavoro, casa e marito per trasferirsi in Romania, quando il sindaco di Bucarest diede il via al massacro dei cani randagi, seguito a ruota da altri sindaci rumeni. Andò a vivere colà per cercare di salvare i cani, ma non avevo pensato a lei come a una missionaria, bensì come una forma estrema di volontariato, come ne fanno tante pensionate, da noi in Italia, lavorando nei canili.
Tutte le confessioni religiose cristiane, perfino i Testimoni di Geova che, prima di partire per la propria assegnazione, devono seguire la Scuola di Galaad, hanno i loro missionari e in Madagascar, per esempio, si trovano rappresentate tutte le sette protestanti. Anche gli Avventisti del Settimo Giorno. Anche i Battisti e i Pentecostali. Ciascuno con il suo peculiare messaggio da divulgare. Ma Vittorio Arrigoni, ai palestinesi, che messaggio aveva da testimoniare? La solidarietà di una parte di italiani, immagino. Una parte minoritaria.
Mi viene in mente che se si tratta di missionari cristiani, che da almeno tre secoli si sparpagliano in giro per il mondo, venendo talvolta cacciati (Cina) e talvolta uccisi sul posto (Amazzonia), non abbiamo nulla da eccepire e la loro opera ci sembra meritoria ed encomiabile. Ma se si tratta di Imam musulmani che vengono nelle nostre contrade, ecco che ci si rizzano in testa le antenne della xenofobia. Tutt’al più potremmo accettare che il venerdì, i musulmani che lavorano nelle nostre fabbriche, espletino le loro esigenze religiose e per questo gli concediamo l’ausilio di un loro sacerdote, ma che si mettano a fare proseliti, a divulgare il credo maomettano, questo no, per carità! Ché ne abbiamo già abbastanza del nostro. Però, guai a chi ci toglie il crocifisso dalle scuole! Io ci vedo un po’ di eurocentrismo, in questo modo di ragionare, se non addirittura un vero e proprio, sebbene malcelato, razzismo. Ciò che noi cristiani non accettiamo in Europa, ovvero che ci siano addetti ai lavori che ci insegnino il loro credo, gli altri popoli avrebbero tutte le ragioni a non accettarlo nelle loro terre. Eppure, di chiese cattoliche e protestanti ce ne sono in tutto il mondo, tranne forse nei paesi islamici più integralisti. E così il cerchio si chiude: se “loro” non lasciano costruire chiese, “noi” perché dovremmo lasciargli costruire le moschee? E’ una logica da guerra fredda. Ci siamo già passati a partire dal secondo dopoguerra. E non abbiamo imparato nulla, evidentemente.
Torniamo al povero Vittorio. Non era medico e non faceva parte di Emergency. Non era neppure infermiere o elettricista. Era solo un ragazzo trentaseienne morto strangolato per un ideale di giustizia: trovava ingiusta l’occupazione delle terre palestinesi da parte di Israele, un’ingiustizia ormai incancrenita, vecchia di sessantatre anni. Nel feroce dibattito che è seguito al suo assassinio, sui giornali, se ne sono sentite di tutti i colori. C’è stato persino chi ha chiesto perché non se n’è rimasto a casetta sua, a fare la vita di tutti i giovani: un lavoro in fabbrica, la discoteca e lo sballo il sabato e una ragazza. Una vita definita normale. Evidentemente, quel qualcuno non concepiva che, in fondo all’anima umana, di certi uomini, forse troppo pochi, possa albergare un impulso più forte dei piaceri, se così si possono chiamare quelli di una vita….normale. C’è stato chi ha detto che se l’è andata a cercare, cosa che molti affermano quando chiunque finisca nei guai arriva alla ribalta della cronaca. Si pensa la stessa cosa anche quando ad essere rapito è un giornalista, con la differenza che quest’ultimo è pagato dal suo giornale, per andare in zone a rischio, mentre Arrigoni non era pagato da nessuno. C’è chi, in questi casi, arriva a discriminare perfino la testata giornalistica e allora una Giuliana Sgrena, che scrive per il Manifesto, è più criticabile di un Daniele Mastrogiacomo che scrive per la Repubblica, come se certi giornali di Sinistra siano più colpevoli di andare a immischiarsi nelle faccende di Israele, che non altri, tanto più che per “colpa” della Sgrena ci ha rimesso la pelle il povero Calipari, quello sì un vero eroe, altro che Arrigoni!
Qui si vede, in questo modo di selezionare i morti in base all’appartenenza allo Stato o a formazioni extraparlamentari, tutta la faziosità ottusa che siamo soliti manifestare in osteria o nella sede di partito, tra amici che la pensano allo stesso modo. Se muore un alpino in Afghanistan o addirittura un mercenario in Iraq, si fanno funerali di Stato, con tanto di bandiera sulla bara, ma se muore un volontario disarmato, che si prefiggeva di aiutare certe popolazioni problematiche, la gente si chiede chi gliel’ha fatto fare e di funerali di Stato non se ne parla proprio. Pensano: se dovessimo fare funerali di Stato tutte le volte che muore un missionario o una suora, in Africa, staremmo freschi!
Io personalmente non farei funerali di Stato, e basta, così non si scontenta nessuno. Giacché, se si fanno funerali in pompa magna, con tanto di riprese televisive, per un militare, significa riversare sui telespettatori, già abbondantemente plagiati, l’ennesimo fiume di retorica patriottica, sdolcinata e nauseante (e in questo, i cappellani militari sanno arrivare al massimo dell’abiezione), ma se si evitano le bandiere, i picchetti d’onore, il silenzio fuori ordinanza e si dà dell’accaduto la giusta interpretazione, si permette all’opinione pubblica di capire realmente cosa stia accadendo a Gaza, ma si vedrebbe che….il re è nudo.
Ovviamente, poiché quando scoppia una guerra la prima a morire è la verità e il motto del Mossad è “Con l’inganno vincerai”, una cosa del genere non accadrà mai. Come ai giornalisti durante le guerre americane vengono passate le informazioni “dal fronte” da un apposito comitato di redazione militare, così all’opinione pubblica sapientemente imbonita vengono passate solo le informazioni politicamente corrette. Ovvero, che Israele ha diritto di esistere al pari dei palestinesi. Che Israele è baluardo di democrazia in una terra dove gli arabi non sanno neppure cosa significhi tale vocabolo. Che gli islamici vogliono conquistare il mondo, come volevano fare i comunisti tra il 1945 e il 1989, e vogliono imporre a noi occidentali la legge della Sharia. E, dulcis in fundo, che Vittorio Arrigoni è rimasto vittima del suo stesso ideale, assassinato da coloro che era andato lì per aiutare, poiché è evidente che l’autorità palestinese costituita non ha il pieno controllo del territorio e che ci sono gruppi di oppositori che intorbidano le acque e che sono ancora più fanatici di Hamas. Ergo, secondo logica, è meglio lasciare che si cuocino nel loro brodo, perché a fare il male è peccato, ma a fare il bene è sprecato. Quando muore un missionario di qualche chiesa cristiana, raramente si arriva a queste conclusioni.
Ammettiamo che anche a Gaza esistano oppositori politici, com’è fisiologico che sia, i cosiddetti Salafiti. Si rendono conto costoro che uccidendo un amico dei palestinesi hanno fatto il gioco d’Israele? Sono così stupidi da non capire che quella morte avrebbe significato darsi la zappa sui piedi? Non hanno preso in considerazione le ripercussioni psicologiche sull’opinione pubblica europea, già abbondantemente manipolata? Per chi lavorano, in realtà, questi Salafiti, che la stessa polizia di Hamas ha tanta fretta di uccidere, affinché non vengano interrogati da qualche giudice? Vuoi vedere che Arrigoni è stato, sì, ucciso da arabi al soldo degli israeliani, ma anche Hamas ha tutto l’interesse a tenere viva la fiamma della guerra, perché con la guerra si fanno affari, ma con la pace si fa la fame. I palestinesi che combattono Israele ricevono armi e finanziamenti e non vogliono far cessare le ostilità, esattamente come gli israeliani che nella militarizzazione del territorio e nelle industrie armiere hanno le basi della loro economia, ampiamente foraggiata dall’alleato americano. In pratica, i capi d’Israele e quelli di Hamas sono concordi nel proseguire la guerra all’infinito, traendo entrambi i loro vantaggi economici. E che le rispettive popolazioni vadano pure all’inferno. Soprattutto la palestinese, che è la meno protetta.
Ai gonzi occidentali lasceremo credere al mito della deportazione avvenuta nel 1948, con l’occupazione delle terre da parte di Israele, esattamente come gli ebrei lasciano che si creda al mito dell’Olocausto. Sia chiaro, la deportazione del ’48 e i forni crematori sono realtà storica accertata, ma qui c’è qualcuno che ci marcia e che trae vantaggio dal presentarsi al mondo come vittima. In questo, gli ebrei sono espertissimi, ormai. Metodo collaudato.
Il cinismo guerrafondaio, con tutte le sue astuzie propagandistiche, applicato alla lettera. I soldi e il potere, ancora una volta, alla base di una delle peggiori infamie dell’umanità. Non la peggiore, perché la peggiore è e resta l’uccisione degli animali, che fra l’altro funge da esercitazione per quella che viene dopo, la guerra fra umani.
Abolendo la guerra che gli uomini fanno alle bestie, si abolirà anche quella che gli uomini fanno tra di loro. Ne sono più che certo.
Freeanimals
Tutte le confessioni religiose cristiane, perfino i Testimoni di Geova che, prima di partire per la propria assegnazione, devono seguire la Scuola di Galaad, hanno i loro missionari e in Madagascar, per esempio, si trovano rappresentate tutte le sette protestanti. Anche gli Avventisti del Settimo Giorno. Anche i Battisti e i Pentecostali. Ciascuno con il suo peculiare messaggio da divulgare. Ma Vittorio Arrigoni, ai palestinesi, che messaggio aveva da testimoniare? La solidarietà di una parte di italiani, immagino. Una parte minoritaria.
Mi viene in mente che se si tratta di missionari cristiani, che da almeno tre secoli si sparpagliano in giro per il mondo, venendo talvolta cacciati (Cina) e talvolta uccisi sul posto (Amazzonia), non abbiamo nulla da eccepire e la loro opera ci sembra meritoria ed encomiabile. Ma se si tratta di Imam musulmani che vengono nelle nostre contrade, ecco che ci si rizzano in testa le antenne della xenofobia. Tutt’al più potremmo accettare che il venerdì, i musulmani che lavorano nelle nostre fabbriche, espletino le loro esigenze religiose e per questo gli concediamo l’ausilio di un loro sacerdote, ma che si mettano a fare proseliti, a divulgare il credo maomettano, questo no, per carità! Ché ne abbiamo già abbastanza del nostro. Però, guai a chi ci toglie il crocifisso dalle scuole! Io ci vedo un po’ di eurocentrismo, in questo modo di ragionare, se non addirittura un vero e proprio, sebbene malcelato, razzismo. Ciò che noi cristiani non accettiamo in Europa, ovvero che ci siano addetti ai lavori che ci insegnino il loro credo, gli altri popoli avrebbero tutte le ragioni a non accettarlo nelle loro terre. Eppure, di chiese cattoliche e protestanti ce ne sono in tutto il mondo, tranne forse nei paesi islamici più integralisti. E così il cerchio si chiude: se “loro” non lasciano costruire chiese, “noi” perché dovremmo lasciargli costruire le moschee? E’ una logica da guerra fredda. Ci siamo già passati a partire dal secondo dopoguerra. E non abbiamo imparato nulla, evidentemente.
Torniamo al povero Vittorio. Non era medico e non faceva parte di Emergency. Non era neppure infermiere o elettricista. Era solo un ragazzo trentaseienne morto strangolato per un ideale di giustizia: trovava ingiusta l’occupazione delle terre palestinesi da parte di Israele, un’ingiustizia ormai incancrenita, vecchia di sessantatre anni. Nel feroce dibattito che è seguito al suo assassinio, sui giornali, se ne sono sentite di tutti i colori. C’è stato persino chi ha chiesto perché non se n’è rimasto a casetta sua, a fare la vita di tutti i giovani: un lavoro in fabbrica, la discoteca e lo sballo il sabato e una ragazza. Una vita definita normale. Evidentemente, quel qualcuno non concepiva che, in fondo all’anima umana, di certi uomini, forse troppo pochi, possa albergare un impulso più forte dei piaceri, se così si possono chiamare quelli di una vita….normale. C’è stato chi ha detto che se l’è andata a cercare, cosa che molti affermano quando chiunque finisca nei guai arriva alla ribalta della cronaca. Si pensa la stessa cosa anche quando ad essere rapito è un giornalista, con la differenza che quest’ultimo è pagato dal suo giornale, per andare in zone a rischio, mentre Arrigoni non era pagato da nessuno. C’è chi, in questi casi, arriva a discriminare perfino la testata giornalistica e allora una Giuliana Sgrena, che scrive per il Manifesto, è più criticabile di un Daniele Mastrogiacomo che scrive per la Repubblica, come se certi giornali di Sinistra siano più colpevoli di andare a immischiarsi nelle faccende di Israele, che non altri, tanto più che per “colpa” della Sgrena ci ha rimesso la pelle il povero Calipari, quello sì un vero eroe, altro che Arrigoni!
Qui si vede, in questo modo di selezionare i morti in base all’appartenenza allo Stato o a formazioni extraparlamentari, tutta la faziosità ottusa che siamo soliti manifestare in osteria o nella sede di partito, tra amici che la pensano allo stesso modo. Se muore un alpino in Afghanistan o addirittura un mercenario in Iraq, si fanno funerali di Stato, con tanto di bandiera sulla bara, ma se muore un volontario disarmato, che si prefiggeva di aiutare certe popolazioni problematiche, la gente si chiede chi gliel’ha fatto fare e di funerali di Stato non se ne parla proprio. Pensano: se dovessimo fare funerali di Stato tutte le volte che muore un missionario o una suora, in Africa, staremmo freschi!
Io personalmente non farei funerali di Stato, e basta, così non si scontenta nessuno. Giacché, se si fanno funerali in pompa magna, con tanto di riprese televisive, per un militare, significa riversare sui telespettatori, già abbondantemente plagiati, l’ennesimo fiume di retorica patriottica, sdolcinata e nauseante (e in questo, i cappellani militari sanno arrivare al massimo dell’abiezione), ma se si evitano le bandiere, i picchetti d’onore, il silenzio fuori ordinanza e si dà dell’accaduto la giusta interpretazione, si permette all’opinione pubblica di capire realmente cosa stia accadendo a Gaza, ma si vedrebbe che….il re è nudo.
Ovviamente, poiché quando scoppia una guerra la prima a morire è la verità e il motto del Mossad è “Con l’inganno vincerai”, una cosa del genere non accadrà mai. Come ai giornalisti durante le guerre americane vengono passate le informazioni “dal fronte” da un apposito comitato di redazione militare, così all’opinione pubblica sapientemente imbonita vengono passate solo le informazioni politicamente corrette. Ovvero, che Israele ha diritto di esistere al pari dei palestinesi. Che Israele è baluardo di democrazia in una terra dove gli arabi non sanno neppure cosa significhi tale vocabolo. Che gli islamici vogliono conquistare il mondo, come volevano fare i comunisti tra il 1945 e il 1989, e vogliono imporre a noi occidentali la legge della Sharia. E, dulcis in fundo, che Vittorio Arrigoni è rimasto vittima del suo stesso ideale, assassinato da coloro che era andato lì per aiutare, poiché è evidente che l’autorità palestinese costituita non ha il pieno controllo del territorio e che ci sono gruppi di oppositori che intorbidano le acque e che sono ancora più fanatici di Hamas. Ergo, secondo logica, è meglio lasciare che si cuocino nel loro brodo, perché a fare il male è peccato, ma a fare il bene è sprecato. Quando muore un missionario di qualche chiesa cristiana, raramente si arriva a queste conclusioni.
Ammettiamo che anche a Gaza esistano oppositori politici, com’è fisiologico che sia, i cosiddetti Salafiti. Si rendono conto costoro che uccidendo un amico dei palestinesi hanno fatto il gioco d’Israele? Sono così stupidi da non capire che quella morte avrebbe significato darsi la zappa sui piedi? Non hanno preso in considerazione le ripercussioni psicologiche sull’opinione pubblica europea, già abbondantemente manipolata? Per chi lavorano, in realtà, questi Salafiti, che la stessa polizia di Hamas ha tanta fretta di uccidere, affinché non vengano interrogati da qualche giudice? Vuoi vedere che Arrigoni è stato, sì, ucciso da arabi al soldo degli israeliani, ma anche Hamas ha tutto l’interesse a tenere viva la fiamma della guerra, perché con la guerra si fanno affari, ma con la pace si fa la fame. I palestinesi che combattono Israele ricevono armi e finanziamenti e non vogliono far cessare le ostilità, esattamente come gli israeliani che nella militarizzazione del territorio e nelle industrie armiere hanno le basi della loro economia, ampiamente foraggiata dall’alleato americano. In pratica, i capi d’Israele e quelli di Hamas sono concordi nel proseguire la guerra all’infinito, traendo entrambi i loro vantaggi economici. E che le rispettive popolazioni vadano pure all’inferno. Soprattutto la palestinese, che è la meno protetta.
Ai gonzi occidentali lasceremo credere al mito della deportazione avvenuta nel 1948, con l’occupazione delle terre da parte di Israele, esattamente come gli ebrei lasciano che si creda al mito dell’Olocausto. Sia chiaro, la deportazione del ’48 e i forni crematori sono realtà storica accertata, ma qui c’è qualcuno che ci marcia e che trae vantaggio dal presentarsi al mondo come vittima. In questo, gli ebrei sono espertissimi, ormai. Metodo collaudato.
Il cinismo guerrafondaio, con tutte le sue astuzie propagandistiche, applicato alla lettera. I soldi e il potere, ancora una volta, alla base di una delle peggiori infamie dell’umanità. Non la peggiore, perché la peggiore è e resta l’uccisione degli animali, che fra l’altro funge da esercitazione per quella che viene dopo, la guerra fra umani.
Abolendo la guerra che gli uomini fanno alle bestie, si abolirà anche quella che gli uomini fanno tra di loro. Ne sono più che certo.
Freeanimals
Mille immigrati malgasci in Italia
Secondo l'indagine della Caritas, quasi la metà vive a Roma. Pesano l'incertezza del lavoro, il costo della vita e la scadenza ricorrente del permesso di soggiorno. In tanti pronti a rimpatriare, nonostante la povertà del Madagascar
- La maggior parte dei malgasci vive a Roma e costituisce una piccola comunità, coesa e caratterizzata da forti valori cristiani. Sono in gran parte preti, suore e giovani studenti delle università cattoliche. Secondo i dati dell'Osservatorio romano delle migrazioni della Caritas, presentati nell'ambito della Giornata dell'intercultura della Provincia di Roma, gli immigrati complessivi del Madagascar sono circa un migliaio (numero ridotto rispetto ai 15 mila migranti complessivi espatriati). Tra le difficoltà maggiori, l'incertezza del posto di lavoro, l'aumento del costo della vita e la scadenza ricorrente del permesso di soggiorno.
Dalle circa 40 testimonianze raccolte (tra maggio e giugno 2009), emerge che la maggior parte di loro (soprattutto quelli privi di permesso di soggiorno e di un'occupazione stabile) è pronta a rimpatriare (6 su 10 degli intervistati) o ad andare in Francia, principale polo di attrazione, nella convinzione che l'accoglienza in Italia sia peggiorata negli ultimi due anni. Uno su dieci degli intervistati non ha mai avuto il permesso di soggiorno, e anche chi è a posto con la normativa, spesso è costretto a lavorare in modo irregolare (un terzo dei casi). Il desiderio di rimpatriare è più diffuso tra i genitori, anche se cittadini italiani, mentre i figli sono molto più integrati.
Volontà confermata dagli ultimi dati: nel corso degli anni 2000 la popolazione malgascia in Italia è aumentata di appena un decimo: complessivamente, sono circa un migliaio (secondo i dati del gennaio 2008, 984 residenti e più di mille titolari di permesso di soggiorno), di cui la metà si concentra nel Lazio (quasi tutti a Roma), gli altri si dividono soprattutto tra Piemonte, Lombardia, Campania e Veneto, le uniche regioni che contano tra le 50 e 100 presenze.
La maggior parte è qui di passaggio, per motivi di lavoro, di studio, religiosi e ha intenzione di rimpatriare. I motivi? L'incertezza del posto di lavoro, la scarsa accoglienza, l'aumento del costo della vita. I tre quarti degli intervistati non ha una posizione adeguata al titolo di studio, spesso diploma di scuola secondaria superiore, laurea o master universitario. La maggior parte lavora come colf e badanti. Guadagnano mediamente tra i 500 e 1150 euro mensili, ma per alcuni la retribuzione è peggiorata. La spesa per l'affitto è di un appartamento 600/700 euro, per una stanza, 400. La loro priorità è mandare soldi a casa: approssimativamente, ogni anno vengono inviati al Madagascar circa 4 milioni di euro, una risorsa non indifferente per sostenere i progetti di sviluppo locali. (Maria Chiara Cugusi)
- La maggior parte dei malgasci vive a Roma e costituisce una piccola comunità, coesa e caratterizzata da forti valori cristiani. Sono in gran parte preti, suore e giovani studenti delle università cattoliche. Secondo i dati dell'Osservatorio romano delle migrazioni della Caritas, presentati nell'ambito della Giornata dell'intercultura della Provincia di Roma, gli immigrati complessivi del Madagascar sono circa un migliaio (numero ridotto rispetto ai 15 mila migranti complessivi espatriati). Tra le difficoltà maggiori, l'incertezza del posto di lavoro, l'aumento del costo della vita e la scadenza ricorrente del permesso di soggiorno.
Dalle circa 40 testimonianze raccolte (tra maggio e giugno 2009), emerge che la maggior parte di loro (soprattutto quelli privi di permesso di soggiorno e di un'occupazione stabile) è pronta a rimpatriare (6 su 10 degli intervistati) o ad andare in Francia, principale polo di attrazione, nella convinzione che l'accoglienza in Italia sia peggiorata negli ultimi due anni. Uno su dieci degli intervistati non ha mai avuto il permesso di soggiorno, e anche chi è a posto con la normativa, spesso è costretto a lavorare in modo irregolare (un terzo dei casi). Il desiderio di rimpatriare è più diffuso tra i genitori, anche se cittadini italiani, mentre i figli sono molto più integrati.
Volontà confermata dagli ultimi dati: nel corso degli anni 2000 la popolazione malgascia in Italia è aumentata di appena un decimo: complessivamente, sono circa un migliaio (secondo i dati del gennaio 2008, 984 residenti e più di mille titolari di permesso di soggiorno), di cui la metà si concentra nel Lazio (quasi tutti a Roma), gli altri si dividono soprattutto tra Piemonte, Lombardia, Campania e Veneto, le uniche regioni che contano tra le 50 e 100 presenze.
La maggior parte è qui di passaggio, per motivi di lavoro, di studio, religiosi e ha intenzione di rimpatriare. I motivi? L'incertezza del posto di lavoro, la scarsa accoglienza, l'aumento del costo della vita. I tre quarti degli intervistati non ha una posizione adeguata al titolo di studio, spesso diploma di scuola secondaria superiore, laurea o master universitario. La maggior parte lavora come colf e badanti. Guadagnano mediamente tra i 500 e 1150 euro mensili, ma per alcuni la retribuzione è peggiorata. La spesa per l'affitto è di un appartamento 600/700 euro, per una stanza, 400. La loro priorità è mandare soldi a casa: approssimativamente, ogni anno vengono inviati al Madagascar circa 4 milioni di euro, una risorsa non indifferente per sostenere i progetti di sviluppo locali. (Maria Chiara Cugusi)
Chef italiano fra gli eroi d’America
Da tre anni la Cnn stila la classifica dei 20 “eroi” moderni, che con il loro impegno cambiano il mondo aiutando le persone in difficoltà. Quest’anno c’è anche Bruno Serato, chef italiano e titolare del ristorante Anapheim White House, locale nella contea di Orange in California molto amato da personaggi come Madonna, Gwen Stefani, Jimmy Carter e George W. Bush. Serato si è aggiudicato il posto nella “Cnn Top 20 Heroes 2011″preparando ogni sera un pasto per 300 “motel-kids”, bambini disagiati che vivono nei motel, unico luogo che i loro genitori possono permettersi di vivere, spesso semplici stanze senza bagni o cucine, e che ancor più spesso consumano un unico pasto durante la giornata, quello fornito dalle mense scolastiche.
Carlos ha 10 anni, è nato in un motel di Anaheim, in California, e tuttora vive in quella stanza con la sua famiglia. E un «motel-kid», uno dei quei bambini che crescono in una camera d'albergo, a un passo da sbandati, prostitute e alcolizzati, la fauna dei motel da pochi dollari. Sono i figli dell'America che non sogna, quella che non riesce a pagare l'affitto di una casa normale e si rifugia in pochi metri quadrati senza bagno e spesso senza cucina. Carlos è uno dei 300 bambini «salvati» da Bruno Serate, 55 anni, l'italiano entrato nella «Cnn Top 20 Heroes 2011», la classifica che la Cnn stila scegliendo le 20 persone che con il loro impegno cambiano il mondo.
Insieme a Amy Stokes, Roseanna Means, Yuval Roth, Eddie Canales, Anne Hallum, Patricia Sawo e Robin Lim, nella lista degli «eroi» del 2011 c'è anche questo cuoco veneto di San Bonifacio che ha fatto fortuna oltreoceano. La sua storia, rimbalzata prima su People e poi su un documentario trasmesso dalla Cbs, ha fatto il giro del mondo e commosso l'America Ogni giorno Bruno Serate, titolare di uno dei ristoranti più in voga della California, l'Anabeim White House, nella contea di Grange, serve 20 chili di pasta a 300 «motel-kids» che altrimenti andrebbero a letto senza cena. Da sei anni, con pochi clamori, "alle cinque del pomeriggio accompagna in autobus i piccoli «ospiti» al «Boys and girls Club», un centro di solidarietà per minori in difficoltà, dove serve i suoi spaghetti al pomodoro. Prima di lui, il loro unico pasto era quello servito a scuola. Di sera, al massimo un sacchetto di patatine. «Solo ad Anaheim sono più di 1000 le famiglie che vivono in motel, dove non è possibile cucinare. Quando mia madre Caterina l'ha scoperto mi ha detto: "Non possono cenare? Bruno, preparagli tu una pastasciutta!"», racconta Serato.
Ogni sera lascia il suo ristorante amato da Gwen Stefani, Madonna, Jimmy Carter e George W. Bush per cucinare il pasto caldo più atteso da quei bambini: finora ha servito 250 mila piatti di pasta, spendendo di tasca propria duemila dollari al mese. Neanche la bolla finanziaria americana lo ha fermato. «Con la crisi i miei clienti sono diminuiti del 30-40 per cento, ma ho acceso un mutuo per tenere in piedi la White House e aiutare i bambini». Le storie che ha incrociato sono tristi. La bambina bionda e pallida, che è tornata a farsi servire un piatto di pasta per tre volte nella stessa sera. «Ho capito che era a digiuno da giorni». La bambina che ha trovato il padre fuori dal motel e le ha detto di andarsene e cavarsela da sola, perché lui non aveva più soldi neppure per una stanza miserabile. «Le abbiamo trovato un tetto». Armando, a 15 anni, si è intascato il biglietto da visita (e la promessa) di Bruno. «Voleva lavorare, io gli ho detto di tornare a 18 anni. Tre anni dopo ha bussato al mio ristorante con quel bigliettino, e io l'ho assunto in sala».
Golosi di salsa al pomodoro, capricciosi davanti ai ravioli agli spinaci, «perché i bambini sono tutti bambini, ricchi o poveri che siano amano gli spaghetti e odiano le verdure». Di loro Serato si occupa con coscienza, attento al loro sviluppo armonico, fisico e mentale. «Servo anche la pasta al salmone, quella col tacchino o con ingredienti ricchi di Omega 3: l'obesità è già un problema delle classi povere americane». Per la loro crescita spirituale, Serato ha una ricetta diversa. «Ogni tanto li porto con me al ristorante, perché capiscano che la vita non è solo un motel o un centro d'accoglienza». La squadra olimpica di pallavolo e quella di hockey, clienti abituali della White House, ogni tanto vanno a trovare i «motel-kids» all'ora di cena. «Quando vedono quegli atleti rimangono strabiliati, allora io dico: vedete ragazzi, crescete in fretta, anche voi potete diventare campioni!». Qualche «motel-kid» ce l'ha già fatta. «Uno di loro oggi è un ricercatore di fama alla Oxford University. Questo premio della Cnn lo dedico a tutti i motel-kids d'America, a mia madre e all'Italia».
* su Il Corriere della Sera Michela Proietti
Carlos ha 10 anni, è nato in un motel di Anaheim, in California, e tuttora vive in quella stanza con la sua famiglia. E un «motel-kid», uno dei quei bambini che crescono in una camera d'albergo, a un passo da sbandati, prostitute e alcolizzati, la fauna dei motel da pochi dollari. Sono i figli dell'America che non sogna, quella che non riesce a pagare l'affitto di una casa normale e si rifugia in pochi metri quadrati senza bagno e spesso senza cucina. Carlos è uno dei 300 bambini «salvati» da Bruno Serate, 55 anni, l'italiano entrato nella «Cnn Top 20 Heroes 2011», la classifica che la Cnn stila scegliendo le 20 persone che con il loro impegno cambiano il mondo.
Insieme a Amy Stokes, Roseanna Means, Yuval Roth, Eddie Canales, Anne Hallum, Patricia Sawo e Robin Lim, nella lista degli «eroi» del 2011 c'è anche questo cuoco veneto di San Bonifacio che ha fatto fortuna oltreoceano. La sua storia, rimbalzata prima su People e poi su un documentario trasmesso dalla Cbs, ha fatto il giro del mondo e commosso l'America Ogni giorno Bruno Serate, titolare di uno dei ristoranti più in voga della California, l'Anabeim White House, nella contea di Grange, serve 20 chili di pasta a 300 «motel-kids» che altrimenti andrebbero a letto senza cena. Da sei anni, con pochi clamori, "alle cinque del pomeriggio accompagna in autobus i piccoli «ospiti» al «Boys and girls Club», un centro di solidarietà per minori in difficoltà, dove serve i suoi spaghetti al pomodoro. Prima di lui, il loro unico pasto era quello servito a scuola. Di sera, al massimo un sacchetto di patatine. «Solo ad Anaheim sono più di 1000 le famiglie che vivono in motel, dove non è possibile cucinare. Quando mia madre Caterina l'ha scoperto mi ha detto: "Non possono cenare? Bruno, preparagli tu una pastasciutta!"», racconta Serato.
Ogni sera lascia il suo ristorante amato da Gwen Stefani, Madonna, Jimmy Carter e George W. Bush per cucinare il pasto caldo più atteso da quei bambini: finora ha servito 250 mila piatti di pasta, spendendo di tasca propria duemila dollari al mese. Neanche la bolla finanziaria americana lo ha fermato. «Con la crisi i miei clienti sono diminuiti del 30-40 per cento, ma ho acceso un mutuo per tenere in piedi la White House e aiutare i bambini». Le storie che ha incrociato sono tristi. La bambina bionda e pallida, che è tornata a farsi servire un piatto di pasta per tre volte nella stessa sera. «Ho capito che era a digiuno da giorni». La bambina che ha trovato il padre fuori dal motel e le ha detto di andarsene e cavarsela da sola, perché lui non aveva più soldi neppure per una stanza miserabile. «Le abbiamo trovato un tetto». Armando, a 15 anni, si è intascato il biglietto da visita (e la promessa) di Bruno. «Voleva lavorare, io gli ho detto di tornare a 18 anni. Tre anni dopo ha bussato al mio ristorante con quel bigliettino, e io l'ho assunto in sala».
Golosi di salsa al pomodoro, capricciosi davanti ai ravioli agli spinaci, «perché i bambini sono tutti bambini, ricchi o poveri che siano amano gli spaghetti e odiano le verdure». Di loro Serato si occupa con coscienza, attento al loro sviluppo armonico, fisico e mentale. «Servo anche la pasta al salmone, quella col tacchino o con ingredienti ricchi di Omega 3: l'obesità è già un problema delle classi povere americane». Per la loro crescita spirituale, Serato ha una ricetta diversa. «Ogni tanto li porto con me al ristorante, perché capiscano che la vita non è solo un motel o un centro d'accoglienza». La squadra olimpica di pallavolo e quella di hockey, clienti abituali della White House, ogni tanto vanno a trovare i «motel-kids» all'ora di cena. «Quando vedono quegli atleti rimangono strabiliati, allora io dico: vedete ragazzi, crescete in fretta, anche voi potete diventare campioni!». Qualche «motel-kid» ce l'ha già fatta. «Uno di loro oggi è un ricercatore di fama alla Oxford University. Questo premio della Cnn lo dedico a tutti i motel-kids d'America, a mia madre e all'Italia».
* su Il Corriere della Sera Michela Proietti
Madagascar: Regione da salvare
di Silene Coronese
Spesso tra i banchi di scuola si studiano i diversi ambienti del mondo sia per renderci un’idea di quale sia la varietà degli ambienti naturali terrestri, sia per sviluppare un maggiore interesse verso la natura e la sua tutela. Tra questi siamo rimasti colpiti dal paesaggio naturale del Madagascar, in Africa. Un’eredità del mondo? L’Unesco ci crede e ha ragione. Le foreste tropicali, le loro lussureggianti caratteristiche, la loro fauna e flora sono un autentico patrimonio naturale. I parchi d'Andohahela, d’Andringitra, del Marojejy, della Masoala, della Ranomafana e della Zahamena, nel Madagascar sono tutte foreste tropicali classificate “eredità del mondo”. I primi parchi nazionali e riserve del Madagascar furono istituiti nel 1927 sotto la dominazione coloniale francese per proteggere le specie animali in pericolo di estinzione. Oggi se ne contano circa 50 e coprono circa il 12% del territorio non abitato. La regione più visitata è quella che comprende il Parco Nazionale Montagne d’Ambre e la Riserva Speciale Ankàrana. Ma il Madagascar è anche un incredibile paradiso della biodiversità: il 5% delle specie animali e vegetali del mondo si trova su questa grande isola dell'Oceano Indiano. L'80% di queste si trova solo ed esclusivamente in Madagascar: specie rarissime di orchidee, Pachypodium (zampe d’elefante) e baobab, e poi camaleonti, tartarughe e gechi, come dimostra uno studio condotto dai ricercatori della Rice University di Houston (Texas). Il Madagascar è un emblema di questa ricchezza: gli esperti lo chiamano hotspot, punto caldo, perché è uno dei luoghi dove si concentra un altissimo tasso di biodiversità, con creature che non esistono in nessun altro angolo del Pianeta. L’animale “tipico” del Madagascar è il lemure, il piccolo cugino delle scimmie; vive esclusivamente nell’isola africana del Madagascar, ma nemmeno qui è più al sicuro. La flora e la fauna del Madagascar sono un tesoro e sono già minacciati dalla deforestazione e dall’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali. Adesso ci si mette anche il riscaldamento globale: infatti le piogge torrenziali abbattono gli alberi o spazzano via i frutti proprio quando i piccoli lemuri ne avrebbero più bisogno. E così verrebbero a mancare gli habitat delle specie animali incidendo sulla fecondità degli stessi. Le vastissime aree di foresta vengono viste come una risorsa da sfruttare senza pietà, per ricavarne terreno coltivabile praticando il sistema del taglio-fuoco. Dal punto di vista della popolazione, straordinaria è la fusione delle razze provenienti in passato dall'occidente e dall'oriente, dando origine a 18 tribù che si differenziano sia per quanto riguarda i tratti somatici che per lo stile di vita. Altra particolarità della cultura malgasca è l’uso di amuleti, composti da vari tipi di materiali come corna di zebù, piante, perle, pezzi di legno che servono ad allontanare il male. In pratica si tratta di popolazioni arretrate che avrebbero bisogno di aiuto da parte nostra e non di venire sfruttati solo per delle risorse che loro posseggono ma non utilizzano! Sono popolazioni che hanno bisogno di evolversi per creare anche loro una propria economia e per porre fine alla mancanza di cibo, di acqua e di medicinali. La conoscenza delle loro condizioni, del loro ambiente naturale e della loro cultura ci deve educare al rispetto di qualsiasi popolazione umana, al di là dell’enorme differenza di sviluppo!!
Spesso tra i banchi di scuola si studiano i diversi ambienti del mondo sia per renderci un’idea di quale sia la varietà degli ambienti naturali terrestri, sia per sviluppare un maggiore interesse verso la natura e la sua tutela. Tra questi siamo rimasti colpiti dal paesaggio naturale del Madagascar, in Africa. Un’eredità del mondo? L’Unesco ci crede e ha ragione. Le foreste tropicali, le loro lussureggianti caratteristiche, la loro fauna e flora sono un autentico patrimonio naturale. I parchi d'Andohahela, d’Andringitra, del Marojejy, della Masoala, della Ranomafana e della Zahamena, nel Madagascar sono tutte foreste tropicali classificate “eredità del mondo”. I primi parchi nazionali e riserve del Madagascar furono istituiti nel 1927 sotto la dominazione coloniale francese per proteggere le specie animali in pericolo di estinzione. Oggi se ne contano circa 50 e coprono circa il 12% del territorio non abitato. La regione più visitata è quella che comprende il Parco Nazionale Montagne d’Ambre e la Riserva Speciale Ankàrana. Ma il Madagascar è anche un incredibile paradiso della biodiversità: il 5% delle specie animali e vegetali del mondo si trova su questa grande isola dell'Oceano Indiano. L'80% di queste si trova solo ed esclusivamente in Madagascar: specie rarissime di orchidee, Pachypodium (zampe d’elefante) e baobab, e poi camaleonti, tartarughe e gechi, come dimostra uno studio condotto dai ricercatori della Rice University di Houston (Texas). Il Madagascar è un emblema di questa ricchezza: gli esperti lo chiamano hotspot, punto caldo, perché è uno dei luoghi dove si concentra un altissimo tasso di biodiversità, con creature che non esistono in nessun altro angolo del Pianeta. L’animale “tipico” del Madagascar è il lemure, il piccolo cugino delle scimmie; vive esclusivamente nell’isola africana del Madagascar, ma nemmeno qui è più al sicuro. La flora e la fauna del Madagascar sono un tesoro e sono già minacciati dalla deforestazione e dall’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali. Adesso ci si mette anche il riscaldamento globale: infatti le piogge torrenziali abbattono gli alberi o spazzano via i frutti proprio quando i piccoli lemuri ne avrebbero più bisogno. E così verrebbero a mancare gli habitat delle specie animali incidendo sulla fecondità degli stessi. Le vastissime aree di foresta vengono viste come una risorsa da sfruttare senza pietà, per ricavarne terreno coltivabile praticando il sistema del taglio-fuoco. Dal punto di vista della popolazione, straordinaria è la fusione delle razze provenienti in passato dall'occidente e dall'oriente, dando origine a 18 tribù che si differenziano sia per quanto riguarda i tratti somatici che per lo stile di vita. Altra particolarità della cultura malgasca è l’uso di amuleti, composti da vari tipi di materiali come corna di zebù, piante, perle, pezzi di legno che servono ad allontanare il male. In pratica si tratta di popolazioni arretrate che avrebbero bisogno di aiuto da parte nostra e non di venire sfruttati solo per delle risorse che loro posseggono ma non utilizzano! Sono popolazioni che hanno bisogno di evolversi per creare anche loro una propria economia e per porre fine alla mancanza di cibo, di acqua e di medicinali. La conoscenza delle loro condizioni, del loro ambiente naturale e della loro cultura ci deve educare al rispetto di qualsiasi popolazione umana, al di là dell’enorme differenza di sviluppo!!
Progetto TSIKY
TSIKY (sorriso in malgascio) è un progetto di solidarietà internazionale attivo nella foresta pluviale del Madagascar, nel villaggio di Andasibè.
Promosso da Andrea Pacchiarini, Teresa e AnnaMaria Plantamura, TSIKY è un programma di sostegno per i bambini più bisognosi e nel contempo di promozione e potenziamento delle loro opportunità formative.
Nel corso del tempo sono stati consegnati direttamente alimenti, medicine, vestiti e anche giocattoli; sono stati inoltre "adottati" diversi bambini garantendo loro l'accesso scolastico.
Strutturandosi, il progetto TSIKY, ha portato alla realizzazione di un ponte in legno in grado di consentire ai bambini dei villaggi più isolati nella foresta, di raggiungere agevolmente la scuola.
Per garantire un pasto al giorno ai bambini è stata poi progettata e costruita una piccola mensa e donata alla scuola pubblica.
E' in corso il progetto più ambizioso: con il contributo del rotary club di Guastalla si arriverà alla realizzazione di una biblioteca aperta a tutto il villaggio, con una ricca dotazione di libri e riviste malgascie e internazionali.
TSIKY è un progetto basato esclusivamente sul volontariato e sul libero sostegno di tanti amici che condividono le finalità e la credibilità del progetto.
Promosso da Andrea Pacchiarini, Teresa e AnnaMaria Plantamura, TSIKY è un programma di sostegno per i bambini più bisognosi e nel contempo di promozione e potenziamento delle loro opportunità formative.
Nel corso del tempo sono stati consegnati direttamente alimenti, medicine, vestiti e anche giocattoli; sono stati inoltre "adottati" diversi bambini garantendo loro l'accesso scolastico.
Strutturandosi, il progetto TSIKY, ha portato alla realizzazione di un ponte in legno in grado di consentire ai bambini dei villaggi più isolati nella foresta, di raggiungere agevolmente la scuola.
Per garantire un pasto al giorno ai bambini è stata poi progettata e costruita una piccola mensa e donata alla scuola pubblica.
E' in corso il progetto più ambizioso: con il contributo del rotary club di Guastalla si arriverà alla realizzazione di una biblioteca aperta a tutto il villaggio, con una ricca dotazione di libri e riviste malgascie e internazionali.
TSIKY è un progetto basato esclusivamente sul volontariato e sul libero sostegno di tanti amici che condividono le finalità e la credibilità del progetto.
INPS ricorsi amministrativi solo on line
A partire da martedì prossimo, 26 aprile, le domande per i ricorsi amministrativi potranno essere presentate all’Inps esclusivamente attraverso il canale telematico o per tramite degli intermediari abilitati. Il ricorso amministrativo è necessario per la procedibilità delle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie ai sensi dell’articolo 443 c.p.c.
Si tratta – sottolineano dall’Istituto di previdenza – di un ulteriore passo verso la completa telematizzazione delle domande di prestazione/servizio, nell’ambito di un processo ormai avviato di crescita di efficienza amministrativa e di aumento della qualità delle prestazioni nei confronti dei cittadini e delle imprese. Il processo di digitalizzazione delle varie domande di prestazione avviene con gradualità, dopo un periodo transitorio durante il quale le consuete modalità di presentazione continuano comunque ad essere garantite. Terminato il periodo transitorio, le domande possono essere inoltrate solo usando il canale telematico.
Concluso il periodo transitorio, quindi da martedì 26 aprile, per la domanda di ricorso amministrativo non potranno più essere presentate in modalità cartacea, ma solo attraverso uno dei seguenti canali: via Web - la richiesta telematica dei servizi è accessibile direttamente dal cittadino tramite PIN attraverso il portale dell’Istituto, www.inps.it nello spazio riservato ai “Servizi Online”; tramite i patronati e tutti gli intermediari dell’Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi. (aise)
Si tratta – sottolineano dall’Istituto di previdenza – di un ulteriore passo verso la completa telematizzazione delle domande di prestazione/servizio, nell’ambito di un processo ormai avviato di crescita di efficienza amministrativa e di aumento della qualità delle prestazioni nei confronti dei cittadini e delle imprese. Il processo di digitalizzazione delle varie domande di prestazione avviene con gradualità, dopo un periodo transitorio durante il quale le consuete modalità di presentazione continuano comunque ad essere garantite. Terminato il periodo transitorio, le domande possono essere inoltrate solo usando il canale telematico.
Concluso il periodo transitorio, quindi da martedì 26 aprile, per la domanda di ricorso amministrativo non potranno più essere presentate in modalità cartacea, ma solo attraverso uno dei seguenti canali: via Web - la richiesta telematica dei servizi è accessibile direttamente dal cittadino tramite PIN attraverso il portale dell’Istituto, www.inps.it nello spazio riservato ai “Servizi Online”; tramite i patronati e tutti gli intermediari dell’Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi. (aise)
Giornata mondiale contro la malaria: un'altra liberazione
La Federazione internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa, in occasione della giornata mondiale contro la malaria prevista per domenica 25 aprile, diffonde un rapporto che sottolinea il legame tra le campagne informative sui territori e la diffusione della malattia. "Le zanzariere proteggono chi è più a rischio, come donne e bambini"
In un rapporto pubblicato in occasione della Giornata Mondiale contro la malaria, la Federazione internazionale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (Ficr) ha evidenziato come la distribuzione di zanzariere associata alla campagna di sensibilizzazione dai volontari nelle comunità ha ridotto, in modo significativo, la diffusione della malaria.
"Nuovi dati dal Burkina Faso, Togo e dal Kenya dimostrano come le comunità impegnate possono fare una differenza significativa nel proteggere coloro che sono più a rischio come i bambini sotto i cinque anni e donne incinta", ha affermato nell'ultimo rapporto sulla malattia Jason Peat, capo del Programma Globale sulla malaria della Ficr a Ginevra. Il rapporto approfondisce i risultati di uno studio svolto nel Burkina Faso dove la Croce Rossa locale e il ministro della Salute hanno attuato, lo scorso anno, la prima distribuzione pilota di zanzariere nei distretti di Diébougou. Il resoconto finale del Ministero della Salute evidenzia che il 99.7% delle famiglie ha ricevuto una zanzariera e il 98% una visita da parte dei volontari della Croce Rossa nell'ambito di una apposita campagna di sensibilizzazione. L'uso delle zanzariere è aumentato del 70% laddove si sono combinate la distribuzione e la visita dei volontari. Anche nel Togo i risultati di uno studio compiuto sul territorio nazionale nel 2009 ha riscontrato un aumento del 23% dell'uso delle zanzariere a seguito di una sola visita da parte dei volontari della comunità, confermando un contributo significativo alla riduzione della malaria.
Il rapporto della Federazione internazionale fornisce, inoltre, dettagli sul progetto relativo alla gestione a domicilio della malaria, che coinvolge i volontari della Croce Rossa del Kenya. Il programma è finalizzato a facilitare l'accesso veloce alle medicine, così che i bambini colpiti dalla malaria possano essere curati, specialmente quelli che risiedono in zone remote. Uno studio dell'Istituto Medico del Kenya dimostra un aumento del 21% nell'approvvigionamento, entro le 24 ore, di medicine salvavita ai bambini nelle zone coperte dal progetto. "Sebbene sia necessario investire ancora di più nella ricerca operativa per poter quantificare il contributo dei programmi sulla lotta alla malaria basati sul coinvolgimento delle comunità - ha aggiunto Jason Peat - questi dati dimostrano che l'approccio basato sull'impiego dei volontari sta funzionando. Siamo impegnati nello sviluppo di questa formula vincente".
Il rapporto auspica un maggior riconoscimento, supporto e investimento nelle soluzioni ed azioni che coinvolgano le comunità per proteggere le conquiste già ottenute nella battaglia contro la malaria. Dal 2002, la distribuzione delle zanzariere della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa ha protetto 18.2 milioni di persone ed ha evitato più di 300.000 morti dovute alla malaria. Anche se l'Africa è certamente il continente maggiormente colpito, la malaria continua ad essere una malattia globale. Ad Haiti la malaria era già endemica prima del terremoto. Malgrado sia preventivata una distribuzione in loco di più di 3 milioni di zanzariere da diversi partner, il rapporto della Federazione richiede un aumento di campagne preventive da parte di volontari della Croce Rossa di Haiti, così da non perdere i risultati già raggiunti.
Nel 2010 le società nazionali di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa svolgeranno attività di prevenzione contro la malaria nei seguenti Paesi: Haiti, Indonesia, India, Senegal, Mali, Burkina Faso, Ghana, Sierra Leone, Liberia, Costa d'Avorio, Togo, Benin, Angola, Nigeria, Camerun, Guinea Equatoriale, Repubblica Democratica del Congo, Malawi, Madagascar, Tanzania, Burundi, Ruanda, Kenya, Uganda, Sudan e Zimbabwe.
Gli affari privati tra Berlusconi e Mubarak
di Elisa Ferrero
Ieri sera, mentre scorrevo le ultime notizie sul sito di al-Ahram, sono improvvisamente incappata nel nome di Berlusconi. "Anche qui!" - ho subito pensato - "Ma allora non c'è modo di sfuggire alla saga berlusconiana nemmeno in Egitto!". Quando ho capito che non si trattava della storia di Ruby - proprio non ce l'avrei fatta a sorbirmi anche la versione in arabo - ho letto l'articolo fino in fondo. L'argomento era il seguente. Fonti importanti, non precisate dal giornale, hanno rivelato che ci sarebbero forti prove dell'esistenza di una relazione commerciale privata tra l'ex rais Mubarak e il nostro primo ministro.
Mubarak avrebbe concesso a un'azienda di Berlusconi in Egitto privilegi senza precedenti. L'ex governatore del Sinai del sud, infatti, spinto da Mubarak, avrebbe concesso a tale ditta italiana il permesso straordinario di comprare vaste distese di terra nella penisola, violando la legge che vieta agli stranieri di possedere terreni nel Sinai. La terra, in totale circa 500.000 metri quadrati, sarebbe poi stata divisa in lotti e venduta a stranieri da una sede nel Lussemburgo, a prezzi esorbitanti.
Già questo basterebbe, ma non è finita qui. Le stesse fonti consultate dal giornale hanno anche avanzato l'ipotesi che, in cambio di tale favore da parte di Mubarak, il governo italiano (e sottolineo il governo italiano, non il privato Berlusconi), avrebbe esercitato il diritto di veto nell'Unione Europea per impedire il congelamento dei beni della famiglia dell'ex rais, decisione in discussione proprio in questi giorni. Lascio a voi i commenti.
Non ho sentito nulla di questo sui giornali italiani e naturalmente si dovranno aspettare ulteriori indagini e conferme. Se ci saranno sviluppi in Egitto, vi terrò al corrente. Certo, la cosa non aggiunge nulla a quanto già sappiamo sulla nostra "politica estera", tuttavia nessun dettaglio deve essere trascurato. Prometto che da domani tornerò a occuparmi degli affari più propriamente egiziani.
Ieri sera, mentre scorrevo le ultime notizie sul sito di al-Ahram, sono improvvisamente incappata nel nome di Berlusconi. "Anche qui!" - ho subito pensato - "Ma allora non c'è modo di sfuggire alla saga berlusconiana nemmeno in Egitto!". Quando ho capito che non si trattava della storia di Ruby - proprio non ce l'avrei fatta a sorbirmi anche la versione in arabo - ho letto l'articolo fino in fondo. L'argomento era il seguente. Fonti importanti, non precisate dal giornale, hanno rivelato che ci sarebbero forti prove dell'esistenza di una relazione commerciale privata tra l'ex rais Mubarak e il nostro primo ministro.
Mubarak avrebbe concesso a un'azienda di Berlusconi in Egitto privilegi senza precedenti. L'ex governatore del Sinai del sud, infatti, spinto da Mubarak, avrebbe concesso a tale ditta italiana il permesso straordinario di comprare vaste distese di terra nella penisola, violando la legge che vieta agli stranieri di possedere terreni nel Sinai. La terra, in totale circa 500.000 metri quadrati, sarebbe poi stata divisa in lotti e venduta a stranieri da una sede nel Lussemburgo, a prezzi esorbitanti.
Già questo basterebbe, ma non è finita qui. Le stesse fonti consultate dal giornale hanno anche avanzato l'ipotesi che, in cambio di tale favore da parte di Mubarak, il governo italiano (e sottolineo il governo italiano, non il privato Berlusconi), avrebbe esercitato il diritto di veto nell'Unione Europea per impedire il congelamento dei beni della famiglia dell'ex rais, decisione in discussione proprio in questi giorni. Lascio a voi i commenti.
Non ho sentito nulla di questo sui giornali italiani e naturalmente si dovranno aspettare ulteriori indagini e conferme. Se ci saranno sviluppi in Egitto, vi terrò al corrente. Certo, la cosa non aggiunge nulla a quanto già sappiamo sulla nostra "politica estera", tuttavia nessun dettaglio deve essere trascurato. Prometto che da domani tornerò a occuparmi degli affari più propriamente egiziani.
Memorie Migranti in mondovisione
La premiazione ufficiale alla presenza di Rai Internazionale e con l’auspicio del Presidente Napolitano
Cogliendo l’auspicio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che in una sua dichiarazione ha affermato “Mai dimenticare che siamo stati emigranti, mai dimenticare un capitolo essenziale della nostra storia”,il Museo dell’Emigrazione Pietro Conti di Gualdo Tadino (Perugia) si avvia verso la conclusione dellaVII edizione del Concorso Video Memorie Migranti. La premiazione ufficiale si svolgerà sabato 16 aprile (ore 10.30) a Gualdo Tadino, presso il Cinema Teatro Don Bosco. Testimonial della settima edizione sono stati i giornalisti Piero Angela e Gian Antonio Stella, insieme al regista Italo Moscati.
Durante la manifestazione verranno proiettati in anteprima nazionale i video vincitori. Per la settima edizione una scenografia rivista e rivisitata con i tempi ed i ritmi di una trasmissione televisiva; in apertura le parole e le note degli artisti Sara Marini e Paolo Ceccarelli, con il progetto “La valigia dello straniero” a cura di Claudia Fofi. “Tutti importanti documentari dedicati al tema dell'emigrazione - sottolinea il Presidente del Museo Roberto Morroni - un momento fondamentale alla luce dei festeggiamenti che riguardano l’Unità d’Italia".
Presenta la manifestazione Benedetta Rinaldi, giovane conduttrice della trasmissione di punta di Rai Internazionale Italia chiama Italia (nella foto con Catia Monacelli). Ospite d’onore Luca Conti, figlio di Pietro Conti, primo Presidente della Regione Umbria a cui è intitolato il Museo dell’Emigrazione. Interverranno inoltre Patrizia Angelini, giornalista e Presidente dell’Associazione Globo Tricolore, Mina Capussi e Tiziana Grassi, giornaliste e autrici del Dizionario dell’Emigrazione Italiana.
“Protagonisti dell’evento sono indiscutibilmente gli undici finalisti provenienti da diverse città italiane - spiega Catia Monacelli, Direttore del Museo e ideatrice del Concorso - tra le quali Genova, Perugia, Modena, Roma e Napoli. Molti inoltre i candidati da tutto il mondo, in finale anche cortometraggi provenienti da Canada e Brasile”. Durante la manifestazione la giuria, formata dagli esperti Pietro Orsatti, Alberto Sorbini e Leopoldo Rossano, svelerà i nomi dei tre vincitori di categoria e decreterà il vincitore assoluto della settima edizione del Concorso. “Tutti i video finalisti - spiegaDaniela Menichini, Responsabile didattica del Museo - verranno pubblicati nel cofanetto dvd Memorie Migranti, disponibile dal giorno della premiazione e reperibile presso il Museo dell’Emigrazione”.
L’iniziativa è promossa in collaborazione con l’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, il Patrocinio del Ministero degli Affari Esteri, della Regione Umbria, della Provincia di Perugia e di Rai Teche, con la partecipazione del Consiglio Regionale dell'Emigrazione e di Rai Internazionale.
Cogliendo l’auspicio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che in una sua dichiarazione ha affermato “Mai dimenticare che siamo stati emigranti, mai dimenticare un capitolo essenziale della nostra storia”,il Museo dell’Emigrazione Pietro Conti di Gualdo Tadino (Perugia) si avvia verso la conclusione dellaVII edizione del Concorso Video Memorie Migranti. La premiazione ufficiale si svolgerà sabato 16 aprile (ore 10.30) a Gualdo Tadino, presso il Cinema Teatro Don Bosco. Testimonial della settima edizione sono stati i giornalisti Piero Angela e Gian Antonio Stella, insieme al regista Italo Moscati.
Durante la manifestazione verranno proiettati in anteprima nazionale i video vincitori. Per la settima edizione una scenografia rivista e rivisitata con i tempi ed i ritmi di una trasmissione televisiva; in apertura le parole e le note degli artisti Sara Marini e Paolo Ceccarelli, con il progetto “La valigia dello straniero” a cura di Claudia Fofi. “Tutti importanti documentari dedicati al tema dell'emigrazione - sottolinea il Presidente del Museo Roberto Morroni - un momento fondamentale alla luce dei festeggiamenti che riguardano l’Unità d’Italia".
Presenta la manifestazione Benedetta Rinaldi, giovane conduttrice della trasmissione di punta di Rai Internazionale Italia chiama Italia (nella foto con Catia Monacelli). Ospite d’onore Luca Conti, figlio di Pietro Conti, primo Presidente della Regione Umbria a cui è intitolato il Museo dell’Emigrazione. Interverranno inoltre Patrizia Angelini, giornalista e Presidente dell’Associazione Globo Tricolore, Mina Capussi e Tiziana Grassi, giornaliste e autrici del Dizionario dell’Emigrazione Italiana.
“Protagonisti dell’evento sono indiscutibilmente gli undici finalisti provenienti da diverse città italiane - spiega Catia Monacelli, Direttore del Museo e ideatrice del Concorso - tra le quali Genova, Perugia, Modena, Roma e Napoli. Molti inoltre i candidati da tutto il mondo, in finale anche cortometraggi provenienti da Canada e Brasile”. Durante la manifestazione la giuria, formata dagli esperti Pietro Orsatti, Alberto Sorbini e Leopoldo Rossano, svelerà i nomi dei tre vincitori di categoria e decreterà il vincitore assoluto della settima edizione del Concorso. “Tutti i video finalisti - spiegaDaniela Menichini, Responsabile didattica del Museo - verranno pubblicati nel cofanetto dvd Memorie Migranti, disponibile dal giorno della premiazione e reperibile presso il Museo dell’Emigrazione”.
L’iniziativa è promossa in collaborazione con l’Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, il Patrocinio del Ministero degli Affari Esteri, della Regione Umbria, della Provincia di Perugia e di Rai Teche, con la partecipazione del Consiglio Regionale dell'Emigrazione e di Rai Internazionale.
Gli Italiani? Divorziano all’estero per risparmiare tempo
Turismo "divorzile": così l’associazione degli avvocati matrimonialisti italiani chiama il fenomeno che vede sempre più italiani scegliere il "divorzio facile" all’estero.
Mentre in Italia bisogna attendere almeno 4 anni se si procede consensualmente nelle due procedure di separazione e divorzio – ma si può arrivare a 13 anni se la separazione ed il divorzio hanno seguito un iter giudiziario – all’estero tutto questo non accade. Così secondo i dati dell’associazione, negli ultimi anni sarebbero state ben 8mila le coppie che hanno deciso di divorziare all’estero.
"L’alternativa al nostro pachidermico iter processuale è rivolgersi alle giurisdizioni straniere: quella ecclesiastica per la dichiarazione di nullità del matrimonio o quelle della maggior parte degli Stati membri dell’Europa per il divorzio lampo", dice l’avvocato Gian Ettore Gassani, Presidente nazionale dell’Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani. "In Europa – continua - soltanto in Italia, Polonia, Malta ed Irlanda del Nord esiste ancora la fase della separazione. Le "insopportabili attese" dei nostri compatrioti per ottenere lo stato libero in Italia stanno alimentando l’escamotage di chiedere giustizia in Francia, Inghilterra, Spagna o Romania ed ottenere un divorzio immediato (in media circa 6 mesi) e con spese legali ridotte all’osso".
"La scorciatoia per porre fine ad un matrimonio sbagliato – spiega Gassani – è data dal regolamento numero 44/2001 del Consiglio Europeo che disciplina il diritto commerciale ma anche quello privato europeo: esso lascia dedurre la possibilità di pronunciare una sentenza di divorzio da parte di un qualunque Tribunale dell’UE a patto che i coniugi siano stabilmente residenti in quel Paese (la prassi richiede almeno da 6 mesi ma non c’è una norma transitoria che lo specifichi in modo più chiaro). L’iter è questo: si prende in affitto un appartamento all’estero, ci si fa intestare il contratto di affitto incluse le bollette ed infine si chiede la residenza. Sei mesi dopo si fa istanza di divorzio al Tribunale straniero prescelto ed in pochi mesi si torna in Italia con una copia conforme della sentenza di divorzio che l’ufficiale di stato civile italiano dovrà semplicemente trascrivere. Tali documenti debbono essere solo apostillati, cioè tradotti in italiano con dichiarazione dell’interprete sulla fedeltà del testo all’originale. Questi divorzi – puntualizza, inoltre, Gassani – non entrano nel calderone del censimento Istat, la cui scheda dev’essere compilata soltanto presso i Tribunali italiani all’interno dei quali si celebrano le separazioni ed i divorzi".
Secondo l’associazione, "negli ultimi 5 anni almeno 8 mila coppie italiane hanno divorziato all’estero. è assolutamente evidente che molti di questi divorzi italiani in terra straniera spesso siano frutto di vere e proprie frodi processuali atteso che non sempre i certificati di residenza rispondono a verità. Al di là di tali considerazione emerge il dato incontrovertibile che il nostro diritto di famiglia, ancorato a vecchi schemi e caratterizzato da lungaggini burocratiche insopportabili non è più tollerato dagli italiani. Fin quando il Legislatore e la giustizia italiana non saranno in grado di accelerare i tempi dei divorzi, dobbiamo mettere assolutamente in preventivo nei prossimi anni un vero e proprio esodo di massa di coppie che sceglieranno i Paesi con noi confinanti per mettere la parola fine al loro matrimonio. Senza dubbio – conclude l’avvocato – quest’ultimo fenomeno rappresenta uno schiaffo ad un Paese come il nostro da sempre invidiato dal punto di vista giuridico ma da sempre condannato dalla Corte Europea per l’insopportabile attesa che i cittadini italiani devono subire prima di ottenere una sentenza". (aise)
Mentre in Italia bisogna attendere almeno 4 anni se si procede consensualmente nelle due procedure di separazione e divorzio – ma si può arrivare a 13 anni se la separazione ed il divorzio hanno seguito un iter giudiziario – all’estero tutto questo non accade. Così secondo i dati dell’associazione, negli ultimi anni sarebbero state ben 8mila le coppie che hanno deciso di divorziare all’estero.
"L’alternativa al nostro pachidermico iter processuale è rivolgersi alle giurisdizioni straniere: quella ecclesiastica per la dichiarazione di nullità del matrimonio o quelle della maggior parte degli Stati membri dell’Europa per il divorzio lampo", dice l’avvocato Gian Ettore Gassani, Presidente nazionale dell’Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani. "In Europa – continua - soltanto in Italia, Polonia, Malta ed Irlanda del Nord esiste ancora la fase della separazione. Le "insopportabili attese" dei nostri compatrioti per ottenere lo stato libero in Italia stanno alimentando l’escamotage di chiedere giustizia in Francia, Inghilterra, Spagna o Romania ed ottenere un divorzio immediato (in media circa 6 mesi) e con spese legali ridotte all’osso".
"La scorciatoia per porre fine ad un matrimonio sbagliato – spiega Gassani – è data dal regolamento numero 44/2001 del Consiglio Europeo che disciplina il diritto commerciale ma anche quello privato europeo: esso lascia dedurre la possibilità di pronunciare una sentenza di divorzio da parte di un qualunque Tribunale dell’UE a patto che i coniugi siano stabilmente residenti in quel Paese (la prassi richiede almeno da 6 mesi ma non c’è una norma transitoria che lo specifichi in modo più chiaro). L’iter è questo: si prende in affitto un appartamento all’estero, ci si fa intestare il contratto di affitto incluse le bollette ed infine si chiede la residenza. Sei mesi dopo si fa istanza di divorzio al Tribunale straniero prescelto ed in pochi mesi si torna in Italia con una copia conforme della sentenza di divorzio che l’ufficiale di stato civile italiano dovrà semplicemente trascrivere. Tali documenti debbono essere solo apostillati, cioè tradotti in italiano con dichiarazione dell’interprete sulla fedeltà del testo all’originale. Questi divorzi – puntualizza, inoltre, Gassani – non entrano nel calderone del censimento Istat, la cui scheda dev’essere compilata soltanto presso i Tribunali italiani all’interno dei quali si celebrano le separazioni ed i divorzi".
Secondo l’associazione, "negli ultimi 5 anni almeno 8 mila coppie italiane hanno divorziato all’estero. è assolutamente evidente che molti di questi divorzi italiani in terra straniera spesso siano frutto di vere e proprie frodi processuali atteso che non sempre i certificati di residenza rispondono a verità. Al di là di tali considerazione emerge il dato incontrovertibile che il nostro diritto di famiglia, ancorato a vecchi schemi e caratterizzato da lungaggini burocratiche insopportabili non è più tollerato dagli italiani. Fin quando il Legislatore e la giustizia italiana non saranno in grado di accelerare i tempi dei divorzi, dobbiamo mettere assolutamente in preventivo nei prossimi anni un vero e proprio esodo di massa di coppie che sceglieranno i Paesi con noi confinanti per mettere la parola fine al loro matrimonio. Senza dubbio – conclude l’avvocato – quest’ultimo fenomeno rappresenta uno schiaffo ad un Paese come il nostro da sempre invidiato dal punto di vista giuridico ma da sempre condannato dalla Corte Europea per l’insopportabile attesa che i cittadini italiani devono subire prima di ottenere una sentenza". (aise)
Assistenza agroclimatica per lo sviluppo della viticoltura in Madagascar
In Madagascar, l'estensione complessiva della coltivazione viticola attualmente si può stimare in circa 3000-4000 ettari, che risultano concentrati per lo più negli altopiani centrali, nella fascia delle cittadine che stanno tra la capitale Antananarivo e la città di Fianarantsoa. Molte di queste vigne sono gestite dai missionari che hanno impiantato questa coltura per loro esigenza di poter disporre del vino per la messa.
Tra le più grosse aziende sono da evidenziare la "Lazan'i Betsileo" nel territorio di Fianarantsoa con circa 300 ettari e 1560 soci che vi afferiscono, l'azienda "Soavita" di circa 30 ha nel territorio di Ambalavao e l'azienda "Cloz Malaza" di circa 400 ettari sempre a Fianarantsoa.
I vitigni coltivati sono quelli portati dai missionari francesi nel secolo scorso. Nella maggior parte delle aziende sopra citate sono coltivati "Isabella" e "Couderc 13", in minore misura "Petit bouchet".
"Isabella" è una varietà appartenente alla specie Vitis labrusca (vite americana); "Couderc 13" è un ibrido tra Vitis lincecumii e Vitis vinifera mentre "Petit bouchet" è un ibrido ottenuto dall'incrocio tra le varietà Aramon e Teinturier. Couderc 13 e altre varietà sono chiamate "ibridi produttori diretti" e furono creati alla fine dell'800, nel periodo dell'invasione della fillossera, per resistere a tale avversità.
Le varietà che discendono da Vitis labrusca presentano un gusto particolare con aroma di fragola che viene definito "foxy" (volpino). La vinificazione di questi ibridi non ha portato però all'ottenimento di vini di qualità che presentano anche un elevato contenuto di metanolo, superiore a quello dei vini prodotti da Vitis vinifera. Ciò ha portato, ad esempio in Italia già dal 1931, all'attuazione di misure atte a proibirne la coltivazione. Attualmente la legislazione italiana vieta il commercio di vini prodotti da specie diverse dalla Vitis vinifera e dal 1979 è stata varata una normativa europea che prevede l'eliminazione di tutti gli appezzamenti coltivati a ibridi produttori diretti.
La forma di allevamento della vite più diffusa in Madagascar è la controspalliera. I sistemi di conduzione aziendale risultano talora relativamente arretrati rispetto agli standard europei ed anche la difesa fitosanitaria viene effettuata senza attento monitoraggio. Tra le avversità più importanti sono da annoverare le termiti e la peronospora. Inoltre ingenti danni vengono causati dagli uccelli, e sono da sottolineare frequenti furti di prodotto ma anche delle opere di sostegno (pali).
Le pratiche di vinificazione sono artigianali per lo più. A causa del basso grado zuccherino del mosto, dato riscontrato in tutte le realtà produttive visitate, si ricorre allo zuccheraggio, con aggiunta di zucchero di canna al mosto generalmente in percentuali del 20% e talora superiori. I rimontaggi vengono effettuati generalmente una volta alla settimana, e il mosto viene lasciato nei tini di fermentazione (quindi a contatto con l'aria) per almeno 20 giorni.
Infine, un altro problema non marginale del settore vitivinicolo del Madagascar riguarda la disponibilità di bottiglie di vetro. In tutto il paese non esiste una fabbrica produttrice pertanto si attua il recupero e il riciclo delle stesse spesso senza appropriate condizioni igieniche.
In ristorante una bottiglia da 75 cl di vino prodotto dalle cantine succitate costa circa 15.000 ariary , pari a circa 5 Euro. Confrontando il PIL calcolato dalla Banca Mondiale al tra Italia e Madagascar si comprende il valore di quei 5 Euro. Il PIL pro capite in Italia è pari a 20.200 dollari rispetto agli 870 dollari del Madagascar. Questo semplice raffronto fa comprendere il vero peso dei 5 Euro della bottiglia di vino (un operaio Malgascio ha una paga giornaliera di 1 Euro al giorno). Alla luce di quanto detto il vino prodotto in Madagascar, pur con i suoi notevoli limiti qualitativi e tecnico-colturali, rappresenta un prodotto di nicchia che pochi possono acquistare, almeno in quella realtà.
Tra le più grosse aziende sono da evidenziare la "Lazan'i Betsileo" nel territorio di Fianarantsoa con circa 300 ettari e 1560 soci che vi afferiscono, l'azienda "Soavita" di circa 30 ha nel territorio di Ambalavao e l'azienda "Cloz Malaza" di circa 400 ettari sempre a Fianarantsoa.
I vitigni coltivati sono quelli portati dai missionari francesi nel secolo scorso. Nella maggior parte delle aziende sopra citate sono coltivati "Isabella" e "Couderc 13", in minore misura "Petit bouchet".
"Isabella" è una varietà appartenente alla specie Vitis labrusca (vite americana); "Couderc 13" è un ibrido tra Vitis lincecumii e Vitis vinifera mentre "Petit bouchet" è un ibrido ottenuto dall'incrocio tra le varietà Aramon e Teinturier. Couderc 13 e altre varietà sono chiamate "ibridi produttori diretti" e furono creati alla fine dell'800, nel periodo dell'invasione della fillossera, per resistere a tale avversità.
Le varietà che discendono da Vitis labrusca presentano un gusto particolare con aroma di fragola che viene definito "foxy" (volpino). La vinificazione di questi ibridi non ha portato però all'ottenimento di vini di qualità che presentano anche un elevato contenuto di metanolo, superiore a quello dei vini prodotti da Vitis vinifera. Ciò ha portato, ad esempio in Italia già dal 1931, all'attuazione di misure atte a proibirne la coltivazione. Attualmente la legislazione italiana vieta il commercio di vini prodotti da specie diverse dalla Vitis vinifera e dal 1979 è stata varata una normativa europea che prevede l'eliminazione di tutti gli appezzamenti coltivati a ibridi produttori diretti.
La forma di allevamento della vite più diffusa in Madagascar è la controspalliera. I sistemi di conduzione aziendale risultano talora relativamente arretrati rispetto agli standard europei ed anche la difesa fitosanitaria viene effettuata senza attento monitoraggio. Tra le avversità più importanti sono da annoverare le termiti e la peronospora. Inoltre ingenti danni vengono causati dagli uccelli, e sono da sottolineare frequenti furti di prodotto ma anche delle opere di sostegno (pali).
Le pratiche di vinificazione sono artigianali per lo più. A causa del basso grado zuccherino del mosto, dato riscontrato in tutte le realtà produttive visitate, si ricorre allo zuccheraggio, con aggiunta di zucchero di canna al mosto generalmente in percentuali del 20% e talora superiori. I rimontaggi vengono effettuati generalmente una volta alla settimana, e il mosto viene lasciato nei tini di fermentazione (quindi a contatto con l'aria) per almeno 20 giorni.
Infine, un altro problema non marginale del settore vitivinicolo del Madagascar riguarda la disponibilità di bottiglie di vetro. In tutto il paese non esiste una fabbrica produttrice pertanto si attua il recupero e il riciclo delle stesse spesso senza appropriate condizioni igieniche.
In ristorante una bottiglia da 75 cl di vino prodotto dalle cantine succitate costa circa 15.000 ariary , pari a circa 5 Euro. Confrontando il PIL calcolato dalla Banca Mondiale al tra Italia e Madagascar si comprende il valore di quei 5 Euro. Il PIL pro capite in Italia è pari a 20.200 dollari rispetto agli 870 dollari del Madagascar. Questo semplice raffronto fa comprendere il vero peso dei 5 Euro della bottiglia di vino (un operaio Malgascio ha una paga giornaliera di 1 Euro al giorno). Alla luce di quanto detto il vino prodotto in Madagascar, pur con i suoi notevoli limiti qualitativi e tecnico-colturali, rappresenta un prodotto di nicchia che pochi possono acquistare, almeno in quella realtà.
VIS è presente in Madagascar dal 1991
Volontariato Internazionale per lo Sviluppo
Il VIS è presente in Madagascar dal 1991 e l'ultimo intervento che sta realizzando nel Paese, dal 2008, ha come obiettivo principale di rispondere al bisogno di nuove e migliori competenze nell'ambito della formazione professionale. L'intervento mira pertanto ad aiutare i giovani di uno dei quartieri più poveri di Mahajanga, città che si trova nella parte ovest dell'isola, offrendo loro una formazione professionale più adeguata alle esigenze del mercato del lavoro locale e che possa permettergli così di aumentare le loro possibilità di trovare un impiego in tempi rapidi.
In generale la qualità dell'insegnamento nel Paese è molto bassa, gli insegnanti spesso non parlano il francese, che è la lingua d'insegnamento ufficiale, e hanno pochissime competenze pedagogiche e delle tecniche d'insegnamento partecipativo. Tale situazione ha spinto il VIS a prevedere una strategia a lungo termine che implicherà il potenziamento dell'educazione di base nelle scuole elementari e medie di diversi istituti presenti nella Diocesi, attraverso la formazione degli insegnanti, il potenziamento della partecipazione dei genitori e degli allievi nelle vita della scuola, la creazione di biblioteche, ecc.
Le attività prevista per il miglioramento e il potenziamento dei servizi offerti dal Centro di formazione Don Bosco di Mahajanga saranno prevalentemente rivolte al:
• Potenziamento della formazione tecnico-professionale e pedagogica dei formatori del Centro;
• Coinvolgimento degli artigiani e falegnami locali attraverso l'apertura del Centro e dei suoi atelier all'esterno;
• Creazione di micro-imprese che permettano l'inserimento dei giovani nel contesto produttivo locale sia nel campo agro alimentare (produzione di fois gras, di pesce affumicato, produzione di uova e di polli) che nel settore artigianale e dei servizi (taglio di pietre preziose, artigianato in legno, lavorazione dei gioielli, ecc.);
In stretta sinergia con le imprese locali e con la camera di commercio di Mahjanga, è stato avviato un processo per la revisione e l'adeguamento dei curricula didattici e tecnici alle reali esigenze non solo del mercato locale ma anche dei bisogni di promozione umana e sociale dei soggetti interessati.
La progettualità futura implicherà delle azioni volte a migliorare l'orientamento professionale dei giovani e l'avvio al lavoro, tenendoli inoltre costantemente informati sulle evoluzioni del mercato del lavoro e delle prospettive relative a mestieri quali idraulico, meccanico specializzato in motori per battelli, avicoltore, carpenteria marittima, ecc.. in futuro sarà necessario, infine, creare dei moduli di formazione continua di breve durata per dare ai giovani a rischio di droup-out scolastico una reale possibilità di reinserimento educativo e sociale.
Il VIS è presente in Madagascar dal 1991 e l'ultimo intervento che sta realizzando nel Paese, dal 2008, ha come obiettivo principale di rispondere al bisogno di nuove e migliori competenze nell'ambito della formazione professionale. L'intervento mira pertanto ad aiutare i giovani di uno dei quartieri più poveri di Mahajanga, città che si trova nella parte ovest dell'isola, offrendo loro una formazione professionale più adeguata alle esigenze del mercato del lavoro locale e che possa permettergli così di aumentare le loro possibilità di trovare un impiego in tempi rapidi.
In generale la qualità dell'insegnamento nel Paese è molto bassa, gli insegnanti spesso non parlano il francese, che è la lingua d'insegnamento ufficiale, e hanno pochissime competenze pedagogiche e delle tecniche d'insegnamento partecipativo. Tale situazione ha spinto il VIS a prevedere una strategia a lungo termine che implicherà il potenziamento dell'educazione di base nelle scuole elementari e medie di diversi istituti presenti nella Diocesi, attraverso la formazione degli insegnanti, il potenziamento della partecipazione dei genitori e degli allievi nelle vita della scuola, la creazione di biblioteche, ecc.
Le attività prevista per il miglioramento e il potenziamento dei servizi offerti dal Centro di formazione Don Bosco di Mahajanga saranno prevalentemente rivolte al:
• Potenziamento della formazione tecnico-professionale e pedagogica dei formatori del Centro;
• Coinvolgimento degli artigiani e falegnami locali attraverso l'apertura del Centro e dei suoi atelier all'esterno;
• Creazione di micro-imprese che permettano l'inserimento dei giovani nel contesto produttivo locale sia nel campo agro alimentare (produzione di fois gras, di pesce affumicato, produzione di uova e di polli) che nel settore artigianale e dei servizi (taglio di pietre preziose, artigianato in legno, lavorazione dei gioielli, ecc.);
In stretta sinergia con le imprese locali e con la camera di commercio di Mahjanga, è stato avviato un processo per la revisione e l'adeguamento dei curricula didattici e tecnici alle reali esigenze non solo del mercato locale ma anche dei bisogni di promozione umana e sociale dei soggetti interessati.
La progettualità futura implicherà delle azioni volte a migliorare l'orientamento professionale dei giovani e l'avvio al lavoro, tenendoli inoltre costantemente informati sulle evoluzioni del mercato del lavoro e delle prospettive relative a mestieri quali idraulico, meccanico specializzato in motori per battelli, avicoltore, carpenteria marittima, ecc.. in futuro sarà necessario, infine, creare dei moduli di formazione continua di breve durata per dare ai giovani a rischio di droup-out scolastico una reale possibilità di reinserimento educativo e sociale.
La guerra e gli effetti collaterali
Dalla Libia si continua a scappare senza sosta. Siamo arrivati a quota 550mila persone in fuga. Questo fiume in piena si è riversato principalmente verso la Tunisia con 257mila persone e l’Egitto con 219mila, due paesi che nonostante i problemi interni hanno lasciato le frontiere aperte, onorando gli obblighi internazionali. Ma il flusso è arrivato oltre, si è spinto anche in Niger (47mila), in Algeria (14mila), in Ciad(6200), in Sudan (2800). Ad attraversare il Mediterraneo finora invece sono stati in pochi, 4770 persone verso l’Italia e 1130 a Malta. Gran parte dell’opinione pubblica italiana però è concentrata sugli arrivi via mare dei 23mila giovani tunisini. Questo ha distolto l’attenzione dalla portata dell’esodo libico e dall’impatto del conflitto nei paesi confinanti così come dagli importanti cambiamenti in corso in alcuni paesi del Nord Africa.
I primi ad andarsene dalla Libia in preda alla violenza sono stati migliaia di cittadini di paesi come Italia, Francia, Cina, Turchia, Marocco, ed altri che hanno potuto mandare subito i mezzi per riportare i connazionali a casa. Poi è toccato a quei lavoratori migranti che invece hanno dovuto aspettare il loro turno – finora circa 100mila persone – e si sono iscritti nelle liste dell’evacuazione umanitaria organizzata da Oim, Unhcr e vari governi. Infine sono scappati verso la Tunisia e l’Egitto anche coloro che non avevano un paese dove ritornare cioè i rifugiati del Corno d’Africa e dell’Africa Subsahariana che abitavano in Libia.
Ma a poco a poco anche per i libici la situazione è diventata insostenibile e decine di migliaia di civili sono stati costretti a varcare la frontiera verso la Tunisia e l’Egitto. Si stima che almeno 130mila di loro, molte famiglie con bambini, abbiano trovato una sistemazione in questi due paesi, in attesa di tempi migliori.
Negli ultimi giorni si è aperto un nuovo varco di fuga dalla regione libica delle Montagne Occidentali, da dove oltre 10mila libici si sono riversati a Dehiba, nel sud della Tunisia. Grazie al senso di ospitalità e solidarietà dei tunisini la maggior parte di queste persone è stata ospitata presso le famiglie che hanno letteralmente aperto le proprie case.
Ma c’è anche chi non ce la fa a mettersi in salvo raggiungendo la frontiera erimane bloccato all’interno del paese: si stima che siano circa 100mila gli sfollati interni in fuga specialmente dalle zone più martoriate come Misurata e Ajdabiya. Sfollati che cercano un luogo sicuro dove ripararsi.
La fuga dei civili è il primo “effetto collaterale” della guerra. Non vi è mai stato un conflitto senza colonne di disperati che cercano un riparo lontano dalla violenza. E così sta succedendo anche in Libia.
Eppure, nonostante nella sponda nord del Mediterraneo parecchi continuino a sostenere che sia meglio aiutarli lì, evitando che arrivino a Lampedusa, mancano all’appello le risorse disponibili per continuare le operazioni di soccorso delle agenzie umanitarie sia nelle aree di frontiera che all’interno della Libia. Chi dovrebbe finanziare l’assistenza a queste persone? Non ci dovrebbe essere uno sforzo collettivo anziché far ricadere l’onere solo sugli stati confinanti – che in questo caso hanno anche i loro problemi interni? Come al solito è una questione di priorità: guerra si, aiuti di prima necessità forse.
I primi ad andarsene dalla Libia in preda alla violenza sono stati migliaia di cittadini di paesi come Italia, Francia, Cina, Turchia, Marocco, ed altri che hanno potuto mandare subito i mezzi per riportare i connazionali a casa. Poi è toccato a quei lavoratori migranti che invece hanno dovuto aspettare il loro turno – finora circa 100mila persone – e si sono iscritti nelle liste dell’evacuazione umanitaria organizzata da Oim, Unhcr e vari governi. Infine sono scappati verso la Tunisia e l’Egitto anche coloro che non avevano un paese dove ritornare cioè i rifugiati del Corno d’Africa e dell’Africa Subsahariana che abitavano in Libia.
Ma a poco a poco anche per i libici la situazione è diventata insostenibile e decine di migliaia di civili sono stati costretti a varcare la frontiera verso la Tunisia e l’Egitto. Si stima che almeno 130mila di loro, molte famiglie con bambini, abbiano trovato una sistemazione in questi due paesi, in attesa di tempi migliori.
Negli ultimi giorni si è aperto un nuovo varco di fuga dalla regione libica delle Montagne Occidentali, da dove oltre 10mila libici si sono riversati a Dehiba, nel sud della Tunisia. Grazie al senso di ospitalità e solidarietà dei tunisini la maggior parte di queste persone è stata ospitata presso le famiglie che hanno letteralmente aperto le proprie case.
Ma c’è anche chi non ce la fa a mettersi in salvo raggiungendo la frontiera erimane bloccato all’interno del paese: si stima che siano circa 100mila gli sfollati interni in fuga specialmente dalle zone più martoriate come Misurata e Ajdabiya. Sfollati che cercano un luogo sicuro dove ripararsi.
La fuga dei civili è il primo “effetto collaterale” della guerra. Non vi è mai stato un conflitto senza colonne di disperati che cercano un riparo lontano dalla violenza. E così sta succedendo anche in Libia.
Eppure, nonostante nella sponda nord del Mediterraneo parecchi continuino a sostenere che sia meglio aiutarli lì, evitando che arrivino a Lampedusa, mancano all’appello le risorse disponibili per continuare le operazioni di soccorso delle agenzie umanitarie sia nelle aree di frontiera che all’interno della Libia. Chi dovrebbe finanziare l’assistenza a queste persone? Non ci dovrebbe essere uno sforzo collettivo anziché far ricadere l’onere solo sugli stati confinanti – che in questo caso hanno anche i loro problemi interni? Come al solito è una questione di priorità: guerra si, aiuti di prima necessità forse.
Lucio Magi, l'architetto e il Madagascar
LUCIO MAGI (FABIO MARRAS)
Dipendente regionale, dal '98 ogni anno prende le ferie estive e parte per l'isola dell'Oceano Indiano con il Volontariato Internazionale per lo Sviluppo.
Ogni anno d’estate, lascia la città e lo splendido panorama di Castello, dove vive, per andare a cercare l’inverno, in Madagascar.Ma non è una questione climatica a spingere Lucio Magi, architetto sessantatreenne cagliaritano, verso l’emisfero australe. Bensì la voglia di spendersi per gli altri, per chi vive con poco e ha bisogno di tutto. Anche dell’esperienza tecnica di persone come Magi, che da luglio ad agosto, si reca nella grande isola africana per realizzare scuole, chiese e villaggi. Tutto con materiale locale, come si faceva in Sardegna un tempo. “Noi utilizzavamo i mattoni crudi fatti, il granito e la pietra. Loro possono costruire con quello che hanno: mattoni cotti al sole, granito e legna”.
Dipendente regionale, dal '98 ogni anno prende le ferie estive e parte per l'isola dell'Oceano Indiano con il Volontariato Internazionale per lo Sviluppo.
Ogni anno d’estate, lascia la città e lo splendido panorama di Castello, dove vive, per andare a cercare l’inverno, in Madagascar.Ma non è una questione climatica a spingere Lucio Magi, architetto sessantatreenne cagliaritano, verso l’emisfero australe. Bensì la voglia di spendersi per gli altri, per chi vive con poco e ha bisogno di tutto. Anche dell’esperienza tecnica di persone come Magi, che da luglio ad agosto, si reca nella grande isola africana per realizzare scuole, chiese e villaggi. Tutto con materiale locale, come si faceva in Sardegna un tempo. “Noi utilizzavamo i mattoni crudi fatti, il granito e la pietra. Loro possono costruire con quello che hanno: mattoni cotti al sole, granito e legna”.
Le istruzioni INPS per i redditi 2010
Nel rispetto della legge n.412 del dicembre 1991, che impone all’Inps di procedere ogni anno alla verifica delle situazioni reddituali che incidono sulle prestazioni pensionistiche, è stata avviata l’operazione di accertamento dei redditi dei pensionati residenti all’estero relativi all’anno 2010.
Con il messaggio dell’Inps n. 9132 di ieri, 19 aprile, vengono dettate le istruzioni necessarie per la compilazione dei modelli reddituali, la richiesta riguarda i redditi relativi all’anno 2010.
Analogamente a quanto avviene per i pensionati residenti in Italia, il modello RED/EST 2011 è inviato in un unico plico insieme al modello CUD e ai modelli da utilizzare per la richiesta di detrazioni d’imposta. Il modello, come avvenuto per la precedente operazione reddituale, contiene le istruzioni essenziali alle quali il pensionato deve riferirsi per la compilazione e la produzione della certificazione.
Il modello RED/EST 2011 è parzialmente precompilato con i dati rilevati dagli archivi dell’Istituto e prevede quattro sezioni: la prima per le avvertenze sulla compilazione del modulo; la seconda per i dati del titolare della pensione, del coniuge e dei familiari; la terza per la dichiarazione di responsabilità e l’informativa sul trattamento dei dati personali; la quarta per la delega al Patronato.
È prevista la possibilità, già presente nelle precedenti emissioni, di rinunciare a dichiarare i redditi. In caso il pensionato abbia trasferito la propria residenza in Italia, dovrà comunicare la data del suo rientro, restituire la modulistica alla sede di residenza e fornire le informazioni reddituali secondo le modalità previste per i pensionati residenti in Italia. L’interessato deve indicare l’importo di ogni trattamento pensionistico percepito nell’anno 2010, al netto di eventuali arretrati corrisposti nell’anno ma di competenza degli anni precedenti, dei trattamenti di famiglia e degli eventuali contributi previdenziali.
Gli importi delle pensioni devono essere espressi nella valuta del Paese che eroga il trattamento. Il modello prevede la possibilità di dichiarare il conseguimento di altri redditi oltre a quelli pensionistici.
Nel caso in cui il pensionato abbia conseguito altri redditi, dovrà indicare: 1) i redditi prodotti per l’anno 2010 in Paesi diversi dall'Italia, al lordo di eventuali ritenute fiscali espressi nella moneta dello Stato nel quale il pensionato risiede; 2) i redditi prodotti per l’anno 2010 in Italia, al lordo di eventuali ritenute fiscali ed espressi in euro. Per la compilazione dei mod. RED/EST 2011, i pensionati potranno avvalersi dell’assistenza degli Enti di Patronato riconosciuti dalla legge.
I modelli, compilati con le informazioni necessarie e accompagnati dalla relativa documentazione, devono essere presentati, entro il 30 giugno 2011, agli Enti di Patronato o ai Consolati d’Italia, che provvederanno ad inoltrarli telematicamente all’Istituto.
In alternativa, i pensionati possono spedire entro la stessa data i modelli compilati e sottoscritti, con allegata la documentazione richiesta e una fotocopia di un documento di riconoscimento valido, alla sede Inps che ha in carico la pensione. (d.loru\aise)
Con il messaggio dell’Inps n. 9132 di ieri, 19 aprile, vengono dettate le istruzioni necessarie per la compilazione dei modelli reddituali, la richiesta riguarda i redditi relativi all’anno 2010.
Analogamente a quanto avviene per i pensionati residenti in Italia, il modello RED/EST 2011 è inviato in un unico plico insieme al modello CUD e ai modelli da utilizzare per la richiesta di detrazioni d’imposta. Il modello, come avvenuto per la precedente operazione reddituale, contiene le istruzioni essenziali alle quali il pensionato deve riferirsi per la compilazione e la produzione della certificazione.
Il modello RED/EST 2011 è parzialmente precompilato con i dati rilevati dagli archivi dell’Istituto e prevede quattro sezioni: la prima per le avvertenze sulla compilazione del modulo; la seconda per i dati del titolare della pensione, del coniuge e dei familiari; la terza per la dichiarazione di responsabilità e l’informativa sul trattamento dei dati personali; la quarta per la delega al Patronato.
È prevista la possibilità, già presente nelle precedenti emissioni, di rinunciare a dichiarare i redditi. In caso il pensionato abbia trasferito la propria residenza in Italia, dovrà comunicare la data del suo rientro, restituire la modulistica alla sede di residenza e fornire le informazioni reddituali secondo le modalità previste per i pensionati residenti in Italia. L’interessato deve indicare l’importo di ogni trattamento pensionistico percepito nell’anno 2010, al netto di eventuali arretrati corrisposti nell’anno ma di competenza degli anni precedenti, dei trattamenti di famiglia e degli eventuali contributi previdenziali.
Gli importi delle pensioni devono essere espressi nella valuta del Paese che eroga il trattamento. Il modello prevede la possibilità di dichiarare il conseguimento di altri redditi oltre a quelli pensionistici.
Nel caso in cui il pensionato abbia conseguito altri redditi, dovrà indicare: 1) i redditi prodotti per l’anno 2010 in Paesi diversi dall'Italia, al lordo di eventuali ritenute fiscali espressi nella moneta dello Stato nel quale il pensionato risiede; 2) i redditi prodotti per l’anno 2010 in Italia, al lordo di eventuali ritenute fiscali ed espressi in euro. Per la compilazione dei mod. RED/EST 2011, i pensionati potranno avvalersi dell’assistenza degli Enti di Patronato riconosciuti dalla legge.
I modelli, compilati con le informazioni necessarie e accompagnati dalla relativa documentazione, devono essere presentati, entro il 30 giugno 2011, agli Enti di Patronato o ai Consolati d’Italia, che provvederanno ad inoltrarli telematicamente all’Istituto.
In alternativa, i pensionati possono spedire entro la stessa data i modelli compilati e sottoscritti, con allegata la documentazione richiesta e una fotocopia di un documento di riconoscimento valido, alla sede Inps che ha in carico la pensione. (d.loru\aise)
Polemiche sull'idea di Branson di portare dei lemuri su un'isola dei Caraibi
Il patron della Virgin ha deciso di rendere Mosquito island il lembo di terra «più ecologico del mondo»
Gli ambientalisti contro il progetto ecologista del patron della Virgin. Quando nel 2007 sir Richard Branson acquistò per 10 milioni di sterline l'isola caraibica di Mosquito, dichiarò che avrebbe trasformato questo lembo di terra, che fa parte dell'arcipelago delle Isole Vergini Britanniche, nella terra più ecologica del mondo. Tuttavia proprio una recente iniziativa «ecologista» del magnate è stata fortemente criticata da numerosi ambientalisti internazionali: Branson intende trasferire su questo territorio diversi esemplari di lemuri, animali che vivono in Madagascar e rischiano l'estinzione a causa della deforestazione. Gli ecologisti da parte loro bocciano il progetto affermando che questi predatori potrebbero minacciare le specie autoctone e mettere a rischio il fragile ecosistema dell'isola.
DANNI E PERICOLI - I danni che i lemuri potrebbero arrecare all'isola - lamentano gli studiosi - potrebbero essere molteplici. Come hanno dimostrato tragiche esperienze del passato introdurre nuove specie su un territorio spesso provoca gravi disastri per la flora e la fauna locale. Questi animali che vivono allo stato selvatico in Madagascar sarebbero una minaccia per le uova degli insetti e dei volatili, potrebbero distruggere le piante della foresta e far scomparire il geco Sphaerodactylus parthenopion, una delle lucertole più rare del mondo: «I lemuri sono agili, veloci, aggressivi e onnivori - dichiara James Lazell, biologo e presidente della "Conservation Agency", agenzia ambientalista americana - Essi potrebbero avere un effetto davvero devastante sull'ecosistema naturale. Mangiano tutto, dalle lucertole alla frutta, dagli insetti alle uova degli uccelli». Dello stesso avviso l'ambientalista Lianna Jarecki che ha bocciato senza mezzi termini l'iniziativa di Branson: «Introdurre i lemuri sull'isola di Moskito procura gravi problemi ecologici - ha dichiarato la studiosa - Temo che Sir Branson voglia rimpiazzare l'habitat dell'isola con un ecosistema pluviale artificiale».
I ricchi uomini d’affari hanno sempre dimostrato grande attenzione alla beneficenza e sono tanti i vip che prestano volto e nome a campagne in difesa degli animali.
Per questo Branson ha voluto dar vita al progetto, assicurando che tutti i lemuri arrivano dagli zoo, sono vaccinati e saranno seguiti da un’equipe di veterinari che li terranno sempre sotto controllo.
“I lemuri sono a rischio d’estinzione a causa della deforestazione in corso in Madagascar“, ha spiegato Branson alla Bbc. “Vogliamo creare un habitat adatto a questi animali e l’isola di Mosquito è perfetta“. Conoscendo sir Branson, possiamo azzardare che riuscirà nel suo intento.
Gli ambientalisti contro il progetto ecologista del patron della Virgin. Quando nel 2007 sir Richard Branson acquistò per 10 milioni di sterline l'isola caraibica di Mosquito, dichiarò che avrebbe trasformato questo lembo di terra, che fa parte dell'arcipelago delle Isole Vergini Britanniche, nella terra più ecologica del mondo. Tuttavia proprio una recente iniziativa «ecologista» del magnate è stata fortemente criticata da numerosi ambientalisti internazionali: Branson intende trasferire su questo territorio diversi esemplari di lemuri, animali che vivono in Madagascar e rischiano l'estinzione a causa della deforestazione. Gli ecologisti da parte loro bocciano il progetto affermando che questi predatori potrebbero minacciare le specie autoctone e mettere a rischio il fragile ecosistema dell'isola.
DANNI E PERICOLI - I danni che i lemuri potrebbero arrecare all'isola - lamentano gli studiosi - potrebbero essere molteplici. Come hanno dimostrato tragiche esperienze del passato introdurre nuove specie su un territorio spesso provoca gravi disastri per la flora e la fauna locale. Questi animali che vivono allo stato selvatico in Madagascar sarebbero una minaccia per le uova degli insetti e dei volatili, potrebbero distruggere le piante della foresta e far scomparire il geco Sphaerodactylus parthenopion, una delle lucertole più rare del mondo: «I lemuri sono agili, veloci, aggressivi e onnivori - dichiara James Lazell, biologo e presidente della "Conservation Agency", agenzia ambientalista americana - Essi potrebbero avere un effetto davvero devastante sull'ecosistema naturale. Mangiano tutto, dalle lucertole alla frutta, dagli insetti alle uova degli uccelli». Dello stesso avviso l'ambientalista Lianna Jarecki che ha bocciato senza mezzi termini l'iniziativa di Branson: «Introdurre i lemuri sull'isola di Moskito procura gravi problemi ecologici - ha dichiarato la studiosa - Temo che Sir Branson voglia rimpiazzare l'habitat dell'isola con un ecosistema pluviale artificiale».
I ricchi uomini d’affari hanno sempre dimostrato grande attenzione alla beneficenza e sono tanti i vip che prestano volto e nome a campagne in difesa degli animali.
Per questo Branson ha voluto dar vita al progetto, assicurando che tutti i lemuri arrivano dagli zoo, sono vaccinati e saranno seguiti da un’equipe di veterinari che li terranno sempre sotto controllo.
“I lemuri sono a rischio d’estinzione a causa della deforestazione in corso in Madagascar“, ha spiegato Branson alla Bbc. “Vogliamo creare un habitat adatto a questi animali e l’isola di Mosquito è perfetta“. Conoscendo sir Branson, possiamo azzardare che riuscirà nel suo intento.
Al via in Sudafrica la sperimentazione italiana del vaccino TAT contro l’AIDS
L’Istituto Superiore di Sanità e il National Department of Health del Sudafrica annunciano l’inizio in Sud Africa della Sperimentazione Clinica di Fase II del vaccino italiano basato sulla proteina Tat di HIV-1.
Lo studio, condotto dal gruppo di ricerca italiano coordinato da Barbara Ensoli del Centro Nazionale AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità e finanziato dal Ministero della Salute italiano, è in questa fase di sperimentazione, sostenuto dal Ministero degli Esteri.
Lo studio, informa una nota ministeriale, "sarà condotto in doppio cieco con gruppo di controllo (placebo) e interesserà un totale di 200 partecipanti di età compresa tra i 18 e i 45 anni.
L’immunizzazione terapeutica sperimentale sarà eseguita tramite somministrazioni del vaccino Tat a persone con infezione da HIV in terapia anti-retrovirale (HAART), secondo uno schema di trattamento mensile che prevede complessivamente 3 inoculi. Obiettivo primario dello studio è la valutazione dell’immunogenicità del candidato vaccinale somministrato; obiettivo secondario sarà la valutazione della sua sicurezza".
La sperimentazione prenderà avvio presso il Centro Clinico di Medunsa (MeCRU), Ga-Rankuwa, nella provincia di Gauteng in Sud Africa. Un nuovo sito è in preparazione presso l’Università di Walter Sisulu, Mthatha, Eastern Cape, che parteciperà alla sperimentazione ISS-T003 entro l’ultimo trimestre del 2011.
La fase di sperimentazione che avrà luogo in Sud Africa, dalla Direzione Generale di Cooperazione e Sviluppo (MAE-DGCS) del Ministero degli Affari Esteri, è implementata dal Centro Nazionale AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con il National Department of Health (NDOH) Sudafricano, e il South African AIDS Vaccine Initiative del Medical Research Council (MRC-SAAVI).
Lo studio in Sud Africa inizia dopo che il vaccino Tat ha dimostrato di essere sicuro e capace di indurre risposte immuni specifiche (anticorpali e cellulari) nei precedenti studi di Fase I già condotti sull’uomo e nello studio di Fase II in Italia. Il vaccino Tat si rivela ora, un promettente strumento per migliorare le funzioni immunitarie in soggetti HIV positivi in terapia antiretrovirale.
"È con queste incoraggianti premesse, infatti, che inizia, oggi, in Sud Africa, la Sperimentazione Clinica ISS T-003", afferma Enrico Garaci, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità. "Questa fase di studio, in particolare, è stata resa possibile da anni di ricerche frutto del finanziamento del Ministero della Salute e che oggi si avvale del contributo del Ministero degli Esteri poiché fa parte di un programma di cooperazione tra il Governo Italiano e il Governo Sudafricano".
Il protocollo ISS T-003 è stato approvato dall’Autorità Regolatoria Nazionale Sudafricana (Medicine Control Council/MCC) e dal Comitato Etico e di Ricerca di Medunsa (MREC).
Gli organismi di controllo e supporto allo studio sono rappresentati da tre commissioni indipendenti, ognuna delle quali con specifiche funzioni: il Data Safety Monitoring Board ("DSMB"), composto da esperti internazionali di ben documentata esperienza nel campo dell’ HIV/AIDS. Il DSMB monitorerà la sicurezza dei volontari valutando periodicamente tutti i dati clinici e di laboratorio raccolti durante la sperimentazione; l’International Advisory Board ("IAB"), composto da esperti internazionali in immunologia, virologia e vaccini, che fornisce consulenza indipendente allo Sponsor per decisioni e soluzioni a situazioni critiche che eventualmente dovessero scaturire dallo studio; il Community Advisory Group ("CAG") e il Community Advisory Board ("CAB") che sono composti da rappresentanti delle comunità locali coinvolte e/o colpite dalla malattia. Il loro intervento è diretto a favorire una maggiore consapevolezza generale in merito agli obiettivi della sperimentazione condotta e a svolgere funzioni di consulenza allo Sponsor con la finalità di garantire la tutela e il maggior benessere possibile dei volontari della sperimentazione.
I risultati della sperimentazione di Fase II (ISS T-002), condotta in Italia in 11 centri clinici e attualmente in fase di completamento, indicano, prosegue la nota, che la vaccinazione con Tat "è sicura e immunogenica e che il vaccino Tat è capace di migliorare la risposta immunitaria nei pazienti sieropositivi già in trattamento con HAART. Il vaccino Tat ha, infatti, dimostrato di avere un ruolo chiave nel ridurre le alterazioni del sistema immunitario riscontrate nell’infezione da HIV e che normalmente persistono anche in corso di trattamento antiretrovirale virulogicamente efficace. La sperimentazione ha inoltre evidenziato che sono proprio i pazienti con maggiore compromissione immunologica a trarre i maggiori benefici dalla vaccinazione con Tat". (aise)
Lo studio, condotto dal gruppo di ricerca italiano coordinato da Barbara Ensoli del Centro Nazionale AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità e finanziato dal Ministero della Salute italiano, è in questa fase di sperimentazione, sostenuto dal Ministero degli Esteri.
Lo studio, informa una nota ministeriale, "sarà condotto in doppio cieco con gruppo di controllo (placebo) e interesserà un totale di 200 partecipanti di età compresa tra i 18 e i 45 anni.
L’immunizzazione terapeutica sperimentale sarà eseguita tramite somministrazioni del vaccino Tat a persone con infezione da HIV in terapia anti-retrovirale (HAART), secondo uno schema di trattamento mensile che prevede complessivamente 3 inoculi. Obiettivo primario dello studio è la valutazione dell’immunogenicità del candidato vaccinale somministrato; obiettivo secondario sarà la valutazione della sua sicurezza".
La sperimentazione prenderà avvio presso il Centro Clinico di Medunsa (MeCRU), Ga-Rankuwa, nella provincia di Gauteng in Sud Africa. Un nuovo sito è in preparazione presso l’Università di Walter Sisulu, Mthatha, Eastern Cape, che parteciperà alla sperimentazione ISS-T003 entro l’ultimo trimestre del 2011.
La fase di sperimentazione che avrà luogo in Sud Africa, dalla Direzione Generale di Cooperazione e Sviluppo (MAE-DGCS) del Ministero degli Affari Esteri, è implementata dal Centro Nazionale AIDS dell’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con il National Department of Health (NDOH) Sudafricano, e il South African AIDS Vaccine Initiative del Medical Research Council (MRC-SAAVI).
Lo studio in Sud Africa inizia dopo che il vaccino Tat ha dimostrato di essere sicuro e capace di indurre risposte immuni specifiche (anticorpali e cellulari) nei precedenti studi di Fase I già condotti sull’uomo e nello studio di Fase II in Italia. Il vaccino Tat si rivela ora, un promettente strumento per migliorare le funzioni immunitarie in soggetti HIV positivi in terapia antiretrovirale.
"È con queste incoraggianti premesse, infatti, che inizia, oggi, in Sud Africa, la Sperimentazione Clinica ISS T-003", afferma Enrico Garaci, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità. "Questa fase di studio, in particolare, è stata resa possibile da anni di ricerche frutto del finanziamento del Ministero della Salute e che oggi si avvale del contributo del Ministero degli Esteri poiché fa parte di un programma di cooperazione tra il Governo Italiano e il Governo Sudafricano".
Il protocollo ISS T-003 è stato approvato dall’Autorità Regolatoria Nazionale Sudafricana (Medicine Control Council/MCC) e dal Comitato Etico e di Ricerca di Medunsa (MREC).
Gli organismi di controllo e supporto allo studio sono rappresentati da tre commissioni indipendenti, ognuna delle quali con specifiche funzioni: il Data Safety Monitoring Board ("DSMB"), composto da esperti internazionali di ben documentata esperienza nel campo dell’ HIV/AIDS. Il DSMB monitorerà la sicurezza dei volontari valutando periodicamente tutti i dati clinici e di laboratorio raccolti durante la sperimentazione; l’International Advisory Board ("IAB"), composto da esperti internazionali in immunologia, virologia e vaccini, che fornisce consulenza indipendente allo Sponsor per decisioni e soluzioni a situazioni critiche che eventualmente dovessero scaturire dallo studio; il Community Advisory Group ("CAG") e il Community Advisory Board ("CAB") che sono composti da rappresentanti delle comunità locali coinvolte e/o colpite dalla malattia. Il loro intervento è diretto a favorire una maggiore consapevolezza generale in merito agli obiettivi della sperimentazione condotta e a svolgere funzioni di consulenza allo Sponsor con la finalità di garantire la tutela e il maggior benessere possibile dei volontari della sperimentazione.
I risultati della sperimentazione di Fase II (ISS T-002), condotta in Italia in 11 centri clinici e attualmente in fase di completamento, indicano, prosegue la nota, che la vaccinazione con Tat "è sicura e immunogenica e che il vaccino Tat è capace di migliorare la risposta immunitaria nei pazienti sieropositivi già in trattamento con HAART. Il vaccino Tat ha, infatti, dimostrato di avere un ruolo chiave nel ridurre le alterazioni del sistema immunitario riscontrate nell’infezione da HIV e che normalmente persistono anche in corso di trattamento antiretrovirale virulogicamente efficace. La sperimentazione ha inoltre evidenziato che sono proprio i pazienti con maggiore compromissione immunologica a trarre i maggiori benefici dalla vaccinazione con Tat". (aise)
A Vigone c'è Vigoflor. mostra mercato florovivaistica con mostre, gastronomia e musica
VIGONE – Una cinquantina di espositori del settore floreale, mezzi militari dell’Ottocento e di inizio Novecento, spezie del Madagascar e Vespe. Sono alcuni degli ingredienti della mostra mercato regionale Vigoflor, organizzata dalla Pro loco e giunta alla sua nona edizione, che si terrà nel centro di Vigone il prossimo week-end.
La mostra aprirà entrambi i due giorni alle 10. Una cinquantina gli standisti, alcuni provenienti da fuori regione (in particolare dalla Liguria). Tra i banchi "curiosi", un importatore di spezie dal Madagascar.
Marco Bertello
La mostra aprirà entrambi i due giorni alle 10. Una cinquantina gli standisti, alcuni provenienti da fuori regione (in particolare dalla Liguria). Tra i banchi "curiosi", un importatore di spezie dal Madagascar.
Marco Bertello
"Les Prêtres", ecco i sacerdoti diventati popstar
Les Prêtres sono già stati in Madagascar e il loro concerto ha riscosso un enorme successo;
hanno tenuto fede al loro impegno avendo visitato e donato i loro incassi alle missioni malgasce.
Due preti e un seminarista
per bontà incidono dischi
e incassano milioni
ALBERTO MATTIOLI
CORRISPONDENTE DA PARIGI
Altro che frate Cionfoli. Un miracolo, piuttosto: quello di tre preti, anzi per la precisione due preti e un seminarista, che formano una band, incidono un disco, ne vendono 800 mila copie, incassano 650 mila euro, li devolvono in beneficenza, diventano delle star, frequentano gli studi televisivi, partono in tour e concedono pure il bis. Nuovo disco ma vecchio scopo: trovare soldi per la Chiesa.
Succede tutto in Francia, nella piccola diocesi di Gap, vicino all’Italia, dall’altra parte del Monviso. Non sappiamo come se la cavi come pastore d’anime il vescovo locale, Jean-Michel Di Falco-Leandri, ma come discografico è un genio. Come molti dei suoi colleghi, aveva bisogno di fondi per sostenere svariati progetti nella sua diocesi e in Madagascar. Si è ricordato del successo di un trio di preti irlandesi, The Priests, che di cd ne ha venduti un milione e mezzo. E gli è venuta un’idea. Solo che quella che doveva essere una piccola iniziativa locale è diventata un business nazionale.
I tre tenori di Dio, il cui nome d’arte è ovviamente «Les Prêtres», i preti, si chiamano Jean-Michel Bardet, 47 anni, curato della cattedrale di Gap, Charles Troesch, 28, parroco nello sperduto santuario di Notre-dame-du Laus, una Lourdes sulle Alpi, e Joseph Dinh Nguyen Nguyen, 26, seminarista e tecnico del suono in una radio cattolica. Il disco che hanno inciso, Spiritus Dei, un fritto misto di hit classiche e pop riadattate su testi religioso, ha regalato loro la celebrità. I primi a sorprendersene sono i diretti interessati. Racconta il reverendo Bardet: «Mia nipote è impazzita quando abbiamo partecipato a un talkshow televisivo accanto a Jude Law. Io non sapevo neanche chi fosse».
Intanto i loro dischi d’oro e d’argento sono esposti in vescovado. E domani esce il secondo album, Gloria. Monsignor Di Falco fa l’elenco di tutte le opere pie sostenute grazie alle voce dei suoi tre religiosi e ne approfitta per mettere un po’ di puntini sulle «i»: «Questo successo è una risposta a chi pensa che la dimensione religiosa sia da espellere dalla società». Però lady Gaga trionfa con la sua canzone Judas, che quanto a dimensione religiosa non è esattamente un modello... «Quel che trovo scandaloso è che si esibisca coperta di carne quando c’è gente che crepa di fame». Insomma, «la gente ci ringrazia perché il disco ha dato conforto, ha portato pace».
Per la verità, la lista dei pezzi di quello nuovo più che conforto provoca un sacro terrore: un adattamento dell’Inno alla gioia e Savoir aimer di Florent Pagny, Les lacs du Connemara di Michael Sardou accanto al Lago de cigni trasformato in un Glorificamus Te (mamma mia, salvate il cigno, per carità). Ma anche stavolta lo scopo è benefico, quindi magari la buona causa riscatterà il cattivo gusto. E dire che, di suo, don Troesch avrebbe dei gusti musicali alquanto diversi, diciamo pure eretici: «Preferisco i Cranberries e gli Oasis. Oppure del metal sinfonico come i Within Temptation». Ma ben venga Caikovskij in excelsiis se così sono saltati fuori 200 mila euro per rifare l’impianto elettrico del santuario alpino dove nel 1664 la Vergine apparve alla solita pastora. Lui ripartirà in tournée il 4 maggio. Ogni epoca, alla fine, canta il Signore a modo suo.
hanno tenuto fede al loro impegno avendo visitato e donato i loro incassi alle missioni malgasce.
Due preti e un seminarista
per bontà incidono dischi
e incassano milioni
ALBERTO MATTIOLI
CORRISPONDENTE DA PARIGI
Altro che frate Cionfoli. Un miracolo, piuttosto: quello di tre preti, anzi per la precisione due preti e un seminarista, che formano una band, incidono un disco, ne vendono 800 mila copie, incassano 650 mila euro, li devolvono in beneficenza, diventano delle star, frequentano gli studi televisivi, partono in tour e concedono pure il bis. Nuovo disco ma vecchio scopo: trovare soldi per la Chiesa.
Succede tutto in Francia, nella piccola diocesi di Gap, vicino all’Italia, dall’altra parte del Monviso. Non sappiamo come se la cavi come pastore d’anime il vescovo locale, Jean-Michel Di Falco-Leandri, ma come discografico è un genio. Come molti dei suoi colleghi, aveva bisogno di fondi per sostenere svariati progetti nella sua diocesi e in Madagascar. Si è ricordato del successo di un trio di preti irlandesi, The Priests, che di cd ne ha venduti un milione e mezzo. E gli è venuta un’idea. Solo che quella che doveva essere una piccola iniziativa locale è diventata un business nazionale.
I tre tenori di Dio, il cui nome d’arte è ovviamente «Les Prêtres», i preti, si chiamano Jean-Michel Bardet, 47 anni, curato della cattedrale di Gap, Charles Troesch, 28, parroco nello sperduto santuario di Notre-dame-du Laus, una Lourdes sulle Alpi, e Joseph Dinh Nguyen Nguyen, 26, seminarista e tecnico del suono in una radio cattolica. Il disco che hanno inciso, Spiritus Dei, un fritto misto di hit classiche e pop riadattate su testi religioso, ha regalato loro la celebrità. I primi a sorprendersene sono i diretti interessati. Racconta il reverendo Bardet: «Mia nipote è impazzita quando abbiamo partecipato a un talkshow televisivo accanto a Jude Law. Io non sapevo neanche chi fosse».
Intanto i loro dischi d’oro e d’argento sono esposti in vescovado. E domani esce il secondo album, Gloria. Monsignor Di Falco fa l’elenco di tutte le opere pie sostenute grazie alle voce dei suoi tre religiosi e ne approfitta per mettere un po’ di puntini sulle «i»: «Questo successo è una risposta a chi pensa che la dimensione religiosa sia da espellere dalla società». Però lady Gaga trionfa con la sua canzone Judas, che quanto a dimensione religiosa non è esattamente un modello... «Quel che trovo scandaloso è che si esibisca coperta di carne quando c’è gente che crepa di fame». Insomma, «la gente ci ringrazia perché il disco ha dato conforto, ha portato pace».
Per la verità, la lista dei pezzi di quello nuovo più che conforto provoca un sacro terrore: un adattamento dell’Inno alla gioia e Savoir aimer di Florent Pagny, Les lacs du Connemara di Michael Sardou accanto al Lago de cigni trasformato in un Glorificamus Te (mamma mia, salvate il cigno, per carità). Ma anche stavolta lo scopo è benefico, quindi magari la buona causa riscatterà il cattivo gusto. E dire che, di suo, don Troesch avrebbe dei gusti musicali alquanto diversi, diciamo pure eretici: «Preferisco i Cranberries e gli Oasis. Oppure del metal sinfonico come i Within Temptation». Ma ben venga Caikovskij in excelsiis se così sono saltati fuori 200 mila euro per rifare l’impianto elettrico del santuario alpino dove nel 1664 la Vergine apparve alla solita pastora. Lui ripartirà in tournée il 4 maggio. Ogni epoca, alla fine, canta il Signore a modo suo.
In visita in Africa Padre Adolfo Nicolás, preposito generale dei gesuiti
Dal 26 aprile all'11 maggio il Padre Generale sarà in Africa e Madagascar, accompagnato dal P. Jean Roger Ndombi, suo Assistente per questo continente, e dal P. Antoine Kerhuel, Assistente per l'Europa Occidentale. E' molto difficile fare la sintesi di un programma intenso e vario, ricco di tanti incontri. Enumeriamo qui solo alcuni dei momenti principali. Il viaggio si svolge in tre tappe distinte.
In primo luogo la visita alla Provincia dell'Africa Centrale, che quest'anno celebra i 50 anni della sua erezione (cfr. il nostro Bollettino n. 25 del 9 dicembre 2010). Data la brevità del viaggio, il Padre Generale limiterà la sua visita alla capitale Kinshasa e dintorni, dove d'altra parte la Provincia gestisce numerose opere ad ogni livello di apostolato. Comincerà con Kinshasa-Gombe: la Maison Saint Ignace, dove risiede anche il Provinciale con la sua Curia. Nello stesso complesso si trovano, a breve distanza l'uno dall'altro, il Collège Boboto con i suoi quasi 2.400 alunni e il Centro Culturale che porta lo stesso nome; la parrocchia del Sacro Cuore; il CEPAS (Centro Studi per l'Azione Sociale); la rivista di informazione e riflessione sull'attualità africana Congo-Afrique, che compie anch'essa cinquanta anni; il SERVICO, una specie di Procura per un servizio alle comunità, soprattutto a quelle più lontane dalla città; il CADICEC, centro cristiano per la formazione dei dirigenti delle imprese; la comunità dei giovani gesuiti che studiano all'università. In altre parti della città il Padre Generale visiterà il Collège Bonsomi, con oltre 1.200 alunni, e il Centre Monseigneur Munzihirwa, un centro di accoglienza per i ragazzi di strada. Un altro polo importante sarà Kimwenza, non lontano da Kinshasa. Anche qui la Compagnia gestisce numerose opere tra cui l'Istituto San Pietro Canisio con la facoltà di filosofia dove studiano giovani gesuiti anche di altre Province dell'Africa; il Centro Spirituale con la casa per gli Esercizi Spirituali; la parrocchia; l'ISAV, cioè l'istituto superiore agro-veterinario. Infine, una giornata sarà dedicata a Kisantu, con la visita al noviziato e al Collège Kubama.
La seconda tappa della visita è la partecipazione all'Assemblea annuale del JESAM, la Conferenza dei Superiori maggiori dei gesuiti dell'Africa e del Madagascar, che si terrà dal 2 al 6 maggio ad Anatananarivo, in Madagascar. Il presidente del JESAM, il P. Michael Lewis, ci ha così sintetizzato i temi all'ordine del giorno. "Ci sarà, come al solito, uno scambio di informazioni su ciò che è accaduto nelle Province e nelle Regioni durante l'anno trascorso. Quest'anno i Provinciali e i Superiori prenderanno in considerazione i rapporti delle commissioni sui noviziati dell'Africa, l'apostolato sociale, l'educazione secondaria, l'apostolato della preghiera, la formazione e anche i rapporti sulle case di formazione comuni di Harare, Nairobi e Abidjan. Ma nell'agenda ci sono anche il nuovo progetto di stabilire una rete di Centri Sociali in Africa e l'AJAN, la rete dei gesuiti africani contro l'AIDS. Il nostro teologato di Abidjan sarà anche al centro della nostra attenzione in un momento in cui la situazione della Costa d'Avorio è particolarmente instabile. L'Africa e il Madagascar costituiscono un'area enorme con milioni e milioni di abitanti, perciò, per utilizzare al meglio le limitate risorse della Compagnia, i superiori maggiori del continente si serviranno dell'esperienza del Padre Fernando Franco, già responsabile del Segretariato per la Giustizia Sociale e l'Ecologia presso la Curia Generalizia di Roma, per dare nuovo slancio alla loro pianificazione apostolica strategica per i prossimi anni. L'accento sarà posto sulla condivisione delle risorse e delle esperienze comuni disponibili nell'Assistenza".
Infine, la terza tappa, la visita alla Provincia del Madagascar, dal 7 all'11 maggio. Anche in questo caso, come già per la Provincia dell'Africa Centrale, il Padre Generale limiterà la sua visita alla capitale e dintorni, incontrando i gesuiti e la famiglia ignaziana, i collaboratori laici, il vescovo della città, i tre vescovi gesuiti. Visiterà le varie opere apostoliche come il noviziato, il filosofato, il Collège Saint Michel con i suoi quasi 2.500 alunni, il Centro di Spiritualità, la parrocchia e la casa editrice (Éditions Ambozontany), la più importante tra le editrici cattoliche del Paese, che pubblica anche libri per le scuole. Due i momenti particolarmente significativi: la visita a Bevalala, un importante centro di formazione agricola alla periferia della capitale; e quella ad Ambiatibe, il punto di riferimento del Vicariato Nord della diocesi di Antananarivo e il luogo dedicato alla memoria del beato Jacques Berthieu, il gesuita francese martirizzato qui nel 1896. Ad Antananarivo, come del resto a Kinshasa, il Padre Generale si incontrerà e parlerà con l'arcivescovo e il Nunzio Apostolico.
In primo luogo la visita alla Provincia dell'Africa Centrale, che quest'anno celebra i 50 anni della sua erezione (cfr. il nostro Bollettino n. 25 del 9 dicembre 2010). Data la brevità del viaggio, il Padre Generale limiterà la sua visita alla capitale Kinshasa e dintorni, dove d'altra parte la Provincia gestisce numerose opere ad ogni livello di apostolato. Comincerà con Kinshasa-Gombe: la Maison Saint Ignace, dove risiede anche il Provinciale con la sua Curia. Nello stesso complesso si trovano, a breve distanza l'uno dall'altro, il Collège Boboto con i suoi quasi 2.400 alunni e il Centro Culturale che porta lo stesso nome; la parrocchia del Sacro Cuore; il CEPAS (Centro Studi per l'Azione Sociale); la rivista di informazione e riflessione sull'attualità africana Congo-Afrique, che compie anch'essa cinquanta anni; il SERVICO, una specie di Procura per un servizio alle comunità, soprattutto a quelle più lontane dalla città; il CADICEC, centro cristiano per la formazione dei dirigenti delle imprese; la comunità dei giovani gesuiti che studiano all'università. In altre parti della città il Padre Generale visiterà il Collège Bonsomi, con oltre 1.200 alunni, e il Centre Monseigneur Munzihirwa, un centro di accoglienza per i ragazzi di strada. Un altro polo importante sarà Kimwenza, non lontano da Kinshasa. Anche qui la Compagnia gestisce numerose opere tra cui l'Istituto San Pietro Canisio con la facoltà di filosofia dove studiano giovani gesuiti anche di altre Province dell'Africa; il Centro Spirituale con la casa per gli Esercizi Spirituali; la parrocchia; l'ISAV, cioè l'istituto superiore agro-veterinario. Infine, una giornata sarà dedicata a Kisantu, con la visita al noviziato e al Collège Kubama.
La seconda tappa della visita è la partecipazione all'Assemblea annuale del JESAM, la Conferenza dei Superiori maggiori dei gesuiti dell'Africa e del Madagascar, che si terrà dal 2 al 6 maggio ad Anatananarivo, in Madagascar. Il presidente del JESAM, il P. Michael Lewis, ci ha così sintetizzato i temi all'ordine del giorno. "Ci sarà, come al solito, uno scambio di informazioni su ciò che è accaduto nelle Province e nelle Regioni durante l'anno trascorso. Quest'anno i Provinciali e i Superiori prenderanno in considerazione i rapporti delle commissioni sui noviziati dell'Africa, l'apostolato sociale, l'educazione secondaria, l'apostolato della preghiera, la formazione e anche i rapporti sulle case di formazione comuni di Harare, Nairobi e Abidjan. Ma nell'agenda ci sono anche il nuovo progetto di stabilire una rete di Centri Sociali in Africa e l'AJAN, la rete dei gesuiti africani contro l'AIDS. Il nostro teologato di Abidjan sarà anche al centro della nostra attenzione in un momento in cui la situazione della Costa d'Avorio è particolarmente instabile. L'Africa e il Madagascar costituiscono un'area enorme con milioni e milioni di abitanti, perciò, per utilizzare al meglio le limitate risorse della Compagnia, i superiori maggiori del continente si serviranno dell'esperienza del Padre Fernando Franco, già responsabile del Segretariato per la Giustizia Sociale e l'Ecologia presso la Curia Generalizia di Roma, per dare nuovo slancio alla loro pianificazione apostolica strategica per i prossimi anni. L'accento sarà posto sulla condivisione delle risorse e delle esperienze comuni disponibili nell'Assistenza".
Infine, la terza tappa, la visita alla Provincia del Madagascar, dal 7 all'11 maggio. Anche in questo caso, come già per la Provincia dell'Africa Centrale, il Padre Generale limiterà la sua visita alla capitale e dintorni, incontrando i gesuiti e la famiglia ignaziana, i collaboratori laici, il vescovo della città, i tre vescovi gesuiti. Visiterà le varie opere apostoliche come il noviziato, il filosofato, il Collège Saint Michel con i suoi quasi 2.500 alunni, il Centro di Spiritualità, la parrocchia e la casa editrice (Éditions Ambozontany), la più importante tra le editrici cattoliche del Paese, che pubblica anche libri per le scuole. Due i momenti particolarmente significativi: la visita a Bevalala, un importante centro di formazione agricola alla periferia della capitale; e quella ad Ambiatibe, il punto di riferimento del Vicariato Nord della diocesi di Antananarivo e il luogo dedicato alla memoria del beato Jacques Berthieu, il gesuita francese martirizzato qui nel 1896. Ad Antananarivo, come del resto a Kinshasa, il Padre Generale si incontrerà e parlerà con l'arcivescovo e il Nunzio Apostolico.
mercoledì 20 aprile 2011
Buona Pasqua di Padre Noè
Mi chiamo padre Noè e sono un vecchio Missionario
CAMPANE che SUONANO a FESTA
TRIPUDIO di FIORI e di CUORI
CAMPANE che SUONANO a FESTA
TRIPUDIO di FIORI e di CUORI
BUONA PASQUA e TANTA FELICITA'
PASQUA FESTA di PACE
La pace è un sogno
da sognare in tanti,
è un desiderio
di quelli importanti.La pace è un dono
per il mondo intero
ci fa trovare
un amore vero.La pace è un premio
che si vince in tanti,
ci fa vicini
anche se distanti.La pace è un seme
nelle nostre mani,
da coltivare
per un nuovo domani.Speriamo che la Pasqua possa essere un momento di grande serenità e di Pace.
Un momento anche di sobrietà e di riflessione.
AUGURI a TUTTI.
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