lunedì 11 aprile 2011

Entomofagia

Andreas ebbe un sussulto come se l’avessero punta. Si era avvicinata per vedere cosa stessi facendo. Era sera, stagione delle piogge e con mia moglie mi trovavo al ristorante “La Colombe” di Tulear. Come d’abitudine. Avevo notato un grosso insetto, attratto dalla luce, andare a sbattere contro una tenda e subito mi ero alzato da tavola. Andreas mi aveva visto armeggiare con la digitale e non aveva saputo resistere alla curiosità. Le cameriere in Madagascar spesso si concedono delle pause. Le davo sempre buone mance e tra noi c’era del “feeling”. Occhiate, ammiccamenti e sorrisi. Il belostoma le era volato tra i piedi, terrorizzandola. Per fortuna, fuggendo, non l’aveva schiacciato.
Era la terza volta che in Madagascar ne incontravo uno ed è sempre emozionante avere incontri ravvicinati con grossi insetti. Come quella volta, un grillotalpa, in una pizzeria di Foulpointe, a nord di Tamatave. O a Ranomafana, quel grosso fasmide, meglio conosciuto come insetto stecco. Immobile fra l’erba e mostruosamente bello.
La prima volta che trovai un belostoma, detto anche scorpione d’acqua, fu in una pozzanghera in piena città a Fianarantsoa. La seconda a Tulear. In tutti i casi li catturo – ma non a mani nude perché pungono - e vado a liberarli lontano dalle strade, dove potrebbero essere uccisi. In Italia c’è una specie simile, la nepa cinerea , ma non raggiunge i cinque centimetri di lunghezza del belostomatide malgascio. Sapevo che in Thailandia li mangiano
e, in questi casi, mi chiedo come la gente faccia a mangiare creature così belle e a vincere quello che immagino sia, anche per i tailandesi, un naturale ribrezzo verso gli insetti. E’ un fatto di tradizione culturale: essendoci molte risaie ed essendo i belostomi comuni insetti acquatici, che però sanno anche volare alla ricerca di nuove pozze o quando il loro habitat si prosciuga, i tailandesi hanno anticamente scoperto che da essi si potevano ricavare proteine e li hanno fatti entrare nel loro menù. Solo la fame può aver portato a questo risultato.
D’altra parte, in Occidente noi mangiamo lumache, gamberi e granchi, che sono, questi ultimi due, dotati di corazza come il belostoma, benché viventi in ambiente marino. In altre parti del mondo – in Africa soprattutto - vanno alla grande larve e bruchi di tutti i tipi, per non parlare delle formiche del miele che sono vere leccornie per gli aborigeni australiani. Sono come dei dolcetti già pronti, appesi a testa in giù nelle buie gallerie del formicaio, con i loro addomi – piccoli otri – ricolmi di miele.

Ma l’insetto culinario per eccellenza, mangiato forse già dai tempi della Bibbia, è la cavalletta. Normalmente, in Madagascar vengono vendute già fritte, ma a Ranohira mi è capitato di vederle su una bancarella, ammucchiate, vive e senza zampe, che cercavano disperatamente di allontanarsi, con il risultato di far franare continuamente il mucchio a forma di cono su cui si trovavano. Davvero impressionante, se si ha abbastanza empatia per mettersi al loro posto. Per inciso, al mercato del pesce, con i granchi vivi amputati delle zampe, si ha lo stesso effetto.
Non tutte le specie di cavallette vengono mangiate in Madagascar, ma solo quelle marroni, chiamate “Valala mavo”. Le “Valalandolo”, letteralmente cavalletta dell’uomo morto, sono evitate rigorosamente. E infatti hanno una bella colorazione nera e gialla, con qualche spruzzata di rosso, tutti colori che in natura – vedasi vespe e api – sono segnali di avvertimento e pericolo. E tutti gli insetti che ne sono portatori vengono saggiamente evitati dai predatori.
Non posso, a questo punto, evitare di fare alcune considerazioni morali. Finché a mangiare insetti sono nativi non occidentali, nel loro contesto sociale, posso, o meglio devo, accettarlo, ma quando siamo noi bianchi, spinti da esibizionismo, curiosità o altri poco edificanti motivi, a scimmiottare le abitudini alimentari delle popolazioni orientali o africane, allora vi trovo comportamenti quanto meno discutibili. Eppure, in tale pratica si cimentano un po’ tutti: il politico che si reca sul posto per tranquillizzare i suoi elettori, dopo che i giornali hanno dato l’ennesima notizia di contaminazione da colibatteri nei frutti di mare, e lui va, con il codazzo di giornalisti al seguito e mangia davanti alle telecamere qualche cozza cruda, tanto per rassicurare i consumatori sulla salubrità dei molluschi, finendo magari tutti all’ospedale, lui e gli astanti che volevano essere rassicurati.
Oppure il documentarista di grido, lautamente pagato dalla BBC, e che porta un nome famoso tipo David Attemborough, che, spiegando ai telespettatori il modo in cui gli aborigeni si sfamano durante le lunghe camminate nel deserto, mangia una o due formiche del miele, come se fossero bacche di uva spina, davanti all’occhio impietoso della telecamera.
Oppure ancora il “survivor” ex berretto verde dei marines, addestrato spartanamente, che mangia grossi bruchi africani, facendo smorfie di disgusto come se si trattasse di olio di ricino, nel corso delle riprese televisive di “Wild”, in onda su Italia Uno, allo scopo precipuo di suscitare ribrezzo nei telespettatori.
Questi tre esempi, il politico preoccupato del calo delle vendite, il divulgatore scientifico disinvolto e l’avventuriero esperto di tecniche di sopravvivenza, avendo la pelle chiara, essendo di religione cristiana e venendo da contesti sociali avulsi da ogni forma di entomofagia, non hanno le carte in regola, esplicitano un comportamento disarmonico e riprovevole e creano un effetto stonato di dissonanza e abbrutimento, indegno di una persona civile. Sia chiaro, anche il consumo di rane, lumache e crostacei, specie se si pensa che nella maggior parte dei casi vengono bolliti vivi, è da condannare e da considerare come efferatezza alimentare.

Anche perché, ripresi i tre personaggi di cui sopra, dalle telecamere, producono un effetto valanga, generano emuli e, in parole povere, danno il cattivo esempio. Di cattivi maestri ne abbiamo già abbastanza. Chi non ricorda quella trasmissione Madiaset (o era RAI, ché tanto fa lo stesso), condotta da Simona Ventura, i cui partecipanti, in Africa dove si svolgevano le riprese, una delle prove che dovevano superare era quella di mangiare le grosse larve abbrustolite della Belina Imbrasia, localmente conosciuta come il bruco dell’albero Mopane? E che dire di quei turisti italiani, o europei in genere, che in Perù vogliono assaggiare il porcellino d’India, in Sudafrica il coccodrillo, in Giappone serpenti, carne di balena e in Cina magari anche cane e gatto? Per me queste sono persone abiette che hanno toccato il fondo della moralità, mentre loro credono di essere ganzi. E pensano di avere qualcosa d’interessante da raccontare agli amici. Ci sono turisti italiani che in Cina, dove si mangia un po’ di tutto, riescono a mangiare perfino gli scorpioni, quelli veri e non quelli acquatici. Si sa che all’estero ci si comporta spregiudicatamente, ma un minimo di regole morali sono indispensabili in trasferta come lo spazzolino per i denti.
In Madagascar, oltre alle immancabili cavallette, ho visto in vendita le crisalidi chiamate Zanadandy, anch’esse cucinate fritte. Non ho potuto sapere di quale farfalla si tratti, poiché nemmeno i venditori lo sapevano. Ma in fondo importa poco. A me sembra che, vendute sulla scalinata Antaninarenina di Antananarivo o al mercato di Analakely, le Zanadandy siano cibo per ricchi, data anche la difficoltà di reperirle in natura, mentre le cavallette sono cibo della “brousse”, unico sostentamento per l’arido sud quando le piogge stagionali rendono le strade impraticabili e i villaggi sono tagliati fuori dai rifornimenti.
Spesso incontro cattolici fermamente convinti della superiorità dell’uomo sulle bestie e della nostra specialità nella creazione divina. Ad essi vorrei domandare: dove va a finire tale presunta superiorità e il supposto abisso tra noi e gli animali, quando gli esseri umani mangiano insetti esattamente come le tupaie, i galagoni, i lemuri e le talpe? Non sarà anche questa, come la coda con cui a volte sono dotati, alla nascita, certi bambini, una forma ancestrale di parentela con i nostri antenati scimmieschi? La natura ci dice una cosa, in silenzio, ma i credenti cristiani e di altre religioni ci dicono il contrario e lo strombazzano ai quattro venti: chi avrà ragione?
Freeanimals

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