Studente, unico italiano di ‘Dentisti
senza frontiere': "Un viaggio tra carie e balli"
UNA DOMENICA prende
la parola durante la messa nel suo paese, per raccontare il suo viaggio in
Africa. Quando finisce, tutti applaudono, qualcuno si commuove. Ovviamente non
parla di turismo, anche se la meta è il Madagascar. E neanche di semplice
volontariato. Simone Bagattoni, 23enne di Roncadello, studia per diventare
dentista. Laureando in odontoiatria all’università di Bologna. E ci vuole
coraggio per partire in agosto a curare per un mese la bocca (e il cuore)
dell’Africa.
SIMONE, ma che cosa le è venuto in mente?
«Si chiamano Dentistas sin Limites, dentisti senza frontiere, è una organizzazione non governativa. Me ne hanno parlato due studentesse Erasmus. L’idea mi è piaciuta subito: unico italiano insieme a dieci spagnoli».
Lingua che lei parlerà benissimo.
«No, per niente, avevo sempre il dizionarietto sotto mano. E parlo poco anche il francese, che è la lingua del Madagascar».
Posto bellissimo.
«Molto. Ma il mare l’abbiamo visto una volta sola. A volte però guardavi un paesaggio e ti trovavi a piangere, così, all’improvviso».
E forse c’entra il motivo del suo viaggio. Equipaggiamento?
«Valigione, bagaglio a mano, zanzariera».
Zanzariera?
«Certo. Dormivamo avvolti in una specie di bozzolo. Nonostante avessimo tutti il vaccino per la malaria».
Insomma un impatto non facile.
«Il lunedì partiamo dalla capitale Antananarivo verso l’entroterra. Ogni villaggio rimanevamo lì una settimana. Quattro ore di viaggio stesi nel cassone di un camion».
La ‘sua’ Africa.
«Quasi tutti erano scalzi, non c’era una casa in muratura, tutto paglia e fango. Un solo bagno in tutto il paese».
La prima immagine?
«I bambini che scappavano: non avevano mai visto uomini bianchi».
Insomma, voi dentisti senza frontiere partite proprio male.
«No, anzi. Poi tornavano subito. Erano incuriositi da noi e dalle nostre macchine fotografiche. E sorridevano».
E lei ne approfitta per dare subito un’occhiata clinica, da dentista.
«In effetti la situazione era disastrosa: il massimo dell’igiene dentale è sciacquarsi con l’acqua. Un giorno ho tolto tredici denti cariati».
Annalena Tonelli diceva che l’Africa ha mille problemi ma lei partiva da quelli che sapeva risolvere. Lei, studente di odontoiatria, sente di essere stato utile?
«Partendo ho pensato: beh, non sono certo uno di quei medici che va e salvano la vita. Invece c’è mancato poco... Però non è solo questo. Chiedi: dove senti dolore? E ti rispondono: dappertutto. Provi un forte senso di impotenza».
Com’era la vostra giornata tipo?
«Sveglia alle 7, la clinica apriva alle 8.15... ovvero, ci sistemavamo fuori, ognuno con uno sgabello. In un giorno avevamo dai 6 ai 15 pazienti. Impossibile quantificare il numero di ore: spesso andavamo avanti anche col buio, con la luce sulla fronte. Non potevamo deluderli: c’era chi aveva camminato anche cinque ore per venire da noi. E proprio per questo pensi: ho fatto tanto ma non basta».
Ci tornerebbe?
«Sì. Immediatamente».
Perché?
«Perché comunque trovi una felicità che provoca stupore, perché sanno essere contenti con poco. E anche serenità, generosità. Non abbiamo visto pregiudizio: con gli africani abbiamo ballato, mangiato, vissuto come loro».
SIMONE, ma che cosa le è venuto in mente?
«Si chiamano Dentistas sin Limites, dentisti senza frontiere, è una organizzazione non governativa. Me ne hanno parlato due studentesse Erasmus. L’idea mi è piaciuta subito: unico italiano insieme a dieci spagnoli».
Lingua che lei parlerà benissimo.
«No, per niente, avevo sempre il dizionarietto sotto mano. E parlo poco anche il francese, che è la lingua del Madagascar».
Posto bellissimo.
«Molto. Ma il mare l’abbiamo visto una volta sola. A volte però guardavi un paesaggio e ti trovavi a piangere, così, all’improvviso».
E forse c’entra il motivo del suo viaggio. Equipaggiamento?
«Valigione, bagaglio a mano, zanzariera».
Zanzariera?
«Certo. Dormivamo avvolti in una specie di bozzolo. Nonostante avessimo tutti il vaccino per la malaria».
Insomma un impatto non facile.
«Il lunedì partiamo dalla capitale Antananarivo verso l’entroterra. Ogni villaggio rimanevamo lì una settimana. Quattro ore di viaggio stesi nel cassone di un camion».
La ‘sua’ Africa.
«Quasi tutti erano scalzi, non c’era una casa in muratura, tutto paglia e fango. Un solo bagno in tutto il paese».
La prima immagine?
«I bambini che scappavano: non avevano mai visto uomini bianchi».
Insomma, voi dentisti senza frontiere partite proprio male.
«No, anzi. Poi tornavano subito. Erano incuriositi da noi e dalle nostre macchine fotografiche. E sorridevano».
E lei ne approfitta per dare subito un’occhiata clinica, da dentista.
«In effetti la situazione era disastrosa: il massimo dell’igiene dentale è sciacquarsi con l’acqua. Un giorno ho tolto tredici denti cariati».
Annalena Tonelli diceva che l’Africa ha mille problemi ma lei partiva da quelli che sapeva risolvere. Lei, studente di odontoiatria, sente di essere stato utile?
«Partendo ho pensato: beh, non sono certo uno di quei medici che va e salvano la vita. Invece c’è mancato poco... Però non è solo questo. Chiedi: dove senti dolore? E ti rispondono: dappertutto. Provi un forte senso di impotenza».
Com’era la vostra giornata tipo?
«Sveglia alle 7, la clinica apriva alle 8.15... ovvero, ci sistemavamo fuori, ognuno con uno sgabello. In un giorno avevamo dai 6 ai 15 pazienti. Impossibile quantificare il numero di ore: spesso andavamo avanti anche col buio, con la luce sulla fronte. Non potevamo deluderli: c’era chi aveva camminato anche cinque ore per venire da noi. E proprio per questo pensi: ho fatto tanto ma non basta».
Ci tornerebbe?
«Sì. Immediatamente».
Perché?
«Perché comunque trovi una felicità che provoca stupore, perché sanno essere contenti con poco. E anche serenità, generosità. Non abbiamo visto pregiudizio: con gli africani abbiamo ballato, mangiato, vissuto come loro».
di MARCO BILANCIONI
Fonte:
Il Resto del Carlino
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