Sempre
più spose straniere (dalle spagnole alle orientali) scelgono Roma, la capitale
mondiale dell’arte e della cultura, come location del loro matrimonio o
soltanto dell’album fotografico nuziale. Sempre più spesso, infatti, è
possibile incontrare neo-coniugi in giro per Via del Corso o Via Condotti
vestiti come nel giorno del fatidico sì, contravvenendo evidentemente a due
“miti” o consuetudine tradizionali: il fatto che ci si ammogli nel paese della
sposa e che il vestito si indossi una sola volta, lo si porti in lavanderia e
poi non lo si rimetta più per tutta la vita. Il tutto, ovviamente, in segno di
fedeltà.
E invece a Roma te le vedi apparire all’improvviso nelle metro queste spose alla ricerca della cornice più romantica o sfarzosa per una foto mozzafiato insieme al loro marito. Sono pronte a raggiungere tappe tipicamente turistiche e fermate metro super affollate come “Spagna”, “Flaminio-Piazza del popolo”, “Barberini-Fontana di Trevi” o “Colosseo”. Ma proprio quando arrivano alla prova del vero amore - il tornello d’ingresso - scattano i primi problemi matrimoniali: lui passa mentre lei - col vestitone bianco - resta fuori o, peggio, impigliata nelle porte automatiche…
Questa è la loro prima “separazione”: lui è dentro e non può riuscire, lei è fuori e non riesce ad entrare. Lei inizia a imprecare, i passanti si divertono alle sue spalle. Così, senza conoscere una parola di italiano, la festeggiata inizia a sbuffare davanti al gabbiotto, cercando di far capire a gesti che i tornelli sono troppo stretti per far passare il “cerchione” del vestito bianco. Alla fine, mentre quel “pinguino” del marito - vestito con la famosa giacca a coda - inizia a distrarsi con le fanciulle che oltrepassano le “barricate”, la sposa viene portata “di peso” nell’aldilà metropolitano.
Dunque, primo ostacolo matrimoniale superato. Ma non finisce qui. Dentro il vagone è un continuo “mi calpesti il vestito” e spintoni da ogni parte. Così lui inizia a spazientirsi e a sfidare chiunque dia fastidio alla sua lei. Alla fine scendono: secondo ostacolo superato.
Dulcis in fundo, le sperate foto, causa di tutto questo sconcerto, nelle quali vengono tutti sudati e con un sorriso sbiadito.
Allora viene spontaneo chiedersi: ma non sarebbe stato meglio fare le foto il “vero” giorno in cui gli “innnammorati” (come si dice a Napoli) si sono sposati? Si sarebbero evitati litigi e soprattutto sarebbe stato tutto più spontaneo.
E invece no. Va di moda che quel giorno tutto sia perfetto così che possa essere indimenticabilmente diverso da tutti gli altri giorni della vita! Così si ricorre al wedding planner, ci si sposa in una chiesa che non si è mai frequentata, si mangia in una antica villa romana (magari con un catering eccezionale), si fanno le foto in una città d’arte straniera… e alla fine ci si accorge che era tutto perfettamente finto e che non era il “loro” giorno ma quello dei protagonisti di un film mai guardato. Così il matrimonio dei sogni diventa un sogno perché di reale non ha nulla.
E allora perché non tornare a fare i matrimoni “in casa”, nella parrocchia di sempre e con lo stretto indispensabile? Sarebbe meno perfetto, ma di gran lunga più vero. E di sicuro gli sposi non inciamperebbero in nessun tornello d’ingresso, neanche entrando nella loro nuova vita nuziale.
E invece a Roma te le vedi apparire all’improvviso nelle metro queste spose alla ricerca della cornice più romantica o sfarzosa per una foto mozzafiato insieme al loro marito. Sono pronte a raggiungere tappe tipicamente turistiche e fermate metro super affollate come “Spagna”, “Flaminio-Piazza del popolo”, “Barberini-Fontana di Trevi” o “Colosseo”. Ma proprio quando arrivano alla prova del vero amore - il tornello d’ingresso - scattano i primi problemi matrimoniali: lui passa mentre lei - col vestitone bianco - resta fuori o, peggio, impigliata nelle porte automatiche…
Questa è la loro prima “separazione”: lui è dentro e non può riuscire, lei è fuori e non riesce ad entrare. Lei inizia a imprecare, i passanti si divertono alle sue spalle. Così, senza conoscere una parola di italiano, la festeggiata inizia a sbuffare davanti al gabbiotto, cercando di far capire a gesti che i tornelli sono troppo stretti per far passare il “cerchione” del vestito bianco. Alla fine, mentre quel “pinguino” del marito - vestito con la famosa giacca a coda - inizia a distrarsi con le fanciulle che oltrepassano le “barricate”, la sposa viene portata “di peso” nell’aldilà metropolitano.
Dunque, primo ostacolo matrimoniale superato. Ma non finisce qui. Dentro il vagone è un continuo “mi calpesti il vestito” e spintoni da ogni parte. Così lui inizia a spazientirsi e a sfidare chiunque dia fastidio alla sua lei. Alla fine scendono: secondo ostacolo superato.
Dulcis in fundo, le sperate foto, causa di tutto questo sconcerto, nelle quali vengono tutti sudati e con un sorriso sbiadito.
Allora viene spontaneo chiedersi: ma non sarebbe stato meglio fare le foto il “vero” giorno in cui gli “innnammorati” (come si dice a Napoli) si sono sposati? Si sarebbero evitati litigi e soprattutto sarebbe stato tutto più spontaneo.
E invece no. Va di moda che quel giorno tutto sia perfetto così che possa essere indimenticabilmente diverso da tutti gli altri giorni della vita! Così si ricorre al wedding planner, ci si sposa in una chiesa che non si è mai frequentata, si mangia in una antica villa romana (magari con un catering eccezionale), si fanno le foto in una città d’arte straniera… e alla fine ci si accorge che era tutto perfettamente finto e che non era il “loro” giorno ma quello dei protagonisti di un film mai guardato. Così il matrimonio dei sogni diventa un sogno perché di reale non ha nulla.
E allora perché non tornare a fare i matrimoni “in casa”, nella parrocchia di sempre e con lo stretto indispensabile? Sarebbe meno perfetto, ma di gran lunga più vero. E di sicuro gli sposi non inciamperebbero in nessun tornello d’ingresso, neanche entrando nella loro nuova vita nuziale.
di Olga Sanese, da L'Ottimista
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