mercoledì 19 ottobre 2011

«Il tumore di Jobs poteva essere curato»


La denuncia di un oncologo: «Non era di quelli più pericolosi, se avesse seguito le cure giuste sarebbe vivo»



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«Steve Jobs ama seguire le proprie regole. Che si tratti di computer, azioni e persino il cancro». Così il corrispondente di Fortune, Peter Elkind, descriveva nel marzo 2008 l’approccio e la lotta del padre di Apple al male scoperto per caso cinque anni prima, durante un controllo di routine. A tre anni da quell’articolo e nove giorni dalla scomparsa di Jobs, un noto ricercatore americano avanza una tesi a dir poco sconcertante: «Steve Jobs sarebbe ancora vivo se non avesse rifiutato le cure mediche tradizionali, preferendo trattamenti medici alternativi per il cancro al pancreas».
LE CURE ALTERNATIVE - A sostenerlo è l’oncologo di Harvard, Ramzi Amri, secondo cui il co-fondatore di Apple aveva una forma leggera di tumore, che raramente porta alla morte. «Se chirurgicamente rimosso, la prognosi per questo tipo di tumore è incoraggiante», spiega lo studioso in un intervento sul forum interdisciplinare Quora, «date le circostanze sembrerebbe che la sua decisione di ricorrere a cure antitradizionali non abbia fatto altro che condurlo, senza ragione, ad un morte anticipata». Buddista e vegetariano, Jobs all’inizio era scettico sul ricorso alla chirurgia, preferendo alle cure convenzionali i metodi alternativi. E infatti soltanto il 31 luglio del 2004, cioè nove mesi dopo la diagnosi ufficiale, si era sottoposto all’operazione presso lo Stantford University Medical Center di Palo Alto, vicino casa sua. Ma a quel punto era già troppo tardi: il tumore si era ormai diffuso.
«UN TUMORE CHE SI PUO' CONTROLLARE» - «La grande confusione è nata dal fatto che i media hanno sempre attribuito a Jobs un cancro al pancreas», mette in guardia Amri, spiegando che «anche se il suo tumore avrebbe potuto avere origine nel pancreas, il suo non era il temutissimo adenocarcinoma pancreatico, che nel 95% dei casi colpisce il pancreas, senza lasciare speranze». Al contrario Jobs era affetto da tumore neuroendocrino, che, se curato in tempo e adeguatamente, non è mortale. «Il 100% dei miei pazienti affetti da questo tipo di cancro sopravvive», conclude il medico, che da circa un anno e mezzo conduce ricerche sul tipo di neoplasia che ha colpito Jobs per l’illustre università Ivy League.
POLEMICHE IN RETE - Com’era prevedibile, la tesi di Amri sta già scatenando forti polemiche sul Web. «Non era mia intenzione offendere chi piange la sua scomparsa - si difende il ricercatore -. Ho il più profondo rispetto per Jobs e la sua eredità. Agisco proprio in coerenza con il suo modo progressista di vedere il mondo, perché possiamo tutti imparare dai suoi errori».
Alessandra Farkas
Fonte Corriere.it

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