La denuncia di
un oncologo: «Non era di quelli più pericolosi, se avesse seguito le cure
giuste sarebbe vivo»
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«Steve
Jobs ama seguire le proprie regole. Che si tratti di computer, azioni e persino
il cancro». Così il corrispondente di Fortune, Peter Elkind, descriveva nel marzo 2008 l’approccio e la lotta del padre di
Apple al male scoperto per caso cinque anni prima, durante un controllo di
routine. A tre anni da quell’articolo e
nove giorni dalla scomparsa di Jobs, un noto ricercatore americano avanza una
tesi a dir poco sconcertante: «Steve Jobs sarebbe ancora vivo se non avesse
rifiutato le cure mediche tradizionali, preferendo trattamenti medici
alternativi per il cancro al pancreas».
LE CURE
ALTERNATIVE - A sostenerlo è l’oncologo
di Harvard, Ramzi Amri, secondo cui il co-fondatore di Apple aveva una forma
leggera di tumore, che raramente porta alla morte. «Se chirurgicamente rimosso,
la prognosi per questo tipo di tumore è incoraggiante», spiega lo studioso in
un intervento sul forum interdisciplinare Quora, «date le circostanze
sembrerebbe che la sua decisione di ricorrere a cure antitradizionali non abbia
fatto altro che condurlo, senza ragione, ad un morte anticipata». Buddista e
vegetariano, Jobs all’inizio era scettico sul ricorso alla chirurgia,
preferendo alle cure convenzionali i metodi alternativi. E infatti soltanto il
31 luglio del 2004, cioè nove mesi dopo la diagnosi ufficiale, si era
sottoposto all’operazione presso lo Stantford University Medical Center di Palo
Alto, vicino casa sua. Ma a quel punto era già troppo tardi: il tumore si era
ormai diffuso.
«UN TUMORE CHE SI PUO' CONTROLLARE» - «La grande confusione è nata dal fatto che i media hanno sempre
attribuito a Jobs un cancro al pancreas», mette in guardia Amri, spiegando che
«anche se il suo tumore avrebbe potuto avere origine nel pancreas, il suo non
era il temutissimo adenocarcinoma pancreatico, che nel 95% dei casi colpisce il
pancreas, senza lasciare speranze». Al contrario Jobs era affetto da tumore
neuroendocrino, che, se curato in tempo e adeguatamente, non è mortale. «Il
100% dei miei pazienti affetti da questo tipo di cancro sopravvive», conclude
il medico, che da circa un anno e mezzo conduce ricerche sul tipo di neoplasia
che ha colpito Jobs per l’illustre università Ivy League.
POLEMICHE IN RETE - Com’era prevedibile, la tesi di Amri sta già scatenando forti
polemiche sul Web. «Non era mia intenzione offendere chi piange la sua
scomparsa - si difende il ricercatore -. Ho il più profondo rispetto per Jobs e
la sua eredità. Agisco proprio in coerenza con il suo modo progressista di
vedere il mondo, perché possiamo tutti imparare dai suoi errori».
Alessandra
Farkas
Fonte Corriere.it
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