mercoledì 11 maggio 2011

Chi (e come) decide sui farmaci

Post di Marco Marcelli, professore di endocrinologia
al Baylor College of Medicine di Houston (Usa)

L’approvazione di nuovi farmaci nei vari formulari nazionali è un processo regolato da agenzie specializzate il cui scopo è di salvaguardare la salute dei cittadini dai possibili effetti collaterali causati da queste nuove molecole farmacologiche. L’agenzia americana si chiama FDA (Food and Drug Administration), quella europea EMEA (European Medicines Agency).
Voglio segnalare alcuni esempi in cui il processo di approvazione non ha avuto un percorso semplice.
Capita che alcune medicine proposte allo stesso tempo al vaglio della FDA e della EMEA non ricevano la stessa raccomandazione. Per esempio, nel 2006 l’agenzia europea approvò l’uso del Rimonobant, una medicazione da somministrare in pazienti affetti da obesità, mentre la FDA rifiutò la sua approvazione.
Questa diversità di opinioni potrebbe essere interpretata dallo scettico come una dimostrazione che queste due agenzie sono ispirate da interessi nazionalistici, dopotutto la casa farmaceutica che ha sviluppato il Rimonobant è la francese Sanofi-Aventis che nel processo ha investito capitali importantissimi. Per fortuna, nel 2008 dopo un ulteriore scrutinio dei risultati, anche l’EMEA ha negato l’approvazione al Rimonobant, dimostrando che le due agenzie usano criteri abbastanza obbiettivi nell’analisi dei dati scientifici che portano all’approvazione di un certo farmaco.
Altri farmaci vengono inizialmente approvati, ma una volta proposti allo scrutinio del pubblico non risultano sicuri. Un esempio è il Rosiglitazone, approvato nel 1999 dalla FDA e nel 2000 dalla EMEA per il trattamento del diabete di tipo 2. La vendita di questo farmaco ha portato svariati miliardi di dollari nella casse del colosso farmaceutico GSK (Glaxo Smith Kline) fino al 2007, anno in cui uscì nel New England Journal of Medicine un’analisi retrospettiva di un certo Dr. Nissen, che stabilì un’associazione fra uso del Rosiglitazone e incremento nel numero di effetti collaterali cardiovascolari.
Anche se in teoria un’analisi retrospettiva non è il miglior strumento scientifico per giudicare se una sostanza farmacologica è responsabile di un certo effetto collaterale, l’articolo di Nissen sancì la quasi completa scomparsa del Rosiglitazone dal mercato americano. Nonostante si siano riuniti più di una volta per prendere una decisione finale, quelli della FDA non sono ancora riusciti a deliberare se questo farmaco debba essere rimosso dal mercato definitivamente o no. Ciò dimostra che qualche volta i processi responsabili del funzionamento di queste agenzie sono troppo macchinosi.
Un altro aspetto interessante e preoccupante del processo di approvazione dei farmaci consiste nel fatto che in tempi remoti gli standard non erano appropriati. Mi riferisco al Propiltiouracile (PTU), che fu approvato dalla FDA nel 1947 per il trattamento dell’ipertiroidismo. Per tutti questi anni gli effetti collaterali noti di questa medicina sono stati la comparsa di una leggera forma di disfunzione epatica, e, raramente, di una pericolosa riduzione nel numero dei globuli bianchipolimorfonucleati. Questo farmaco è stato uno dei cardini per il trattamento dell’ipertirodismo per 62 anni, fino a quando nel 2009 l’FDA ha reso noto che può associarsi con il rischio di disfunzioni epatiche più severe di quanto si sapeva, e che queste possono causare la morte del paziente. Il commento di molti addetti ai lavori è stato che se i dati del 2009 fossero stati disponibili all’inizio della storia del PTU, questo farmaco molto probabilmente non avrebbe ricevuto l’imprimatur della FDA.
Il messaggio di questo post è che i farmaci devono essere somministrati e assunti con raziocinio, perché sono sempre associati ad effetti collaterali, e che qualche volta – per fortuna raramente – anche le agenzie internazionali più sofisticate si lasciano scappare dettagli importanti che possono causare danni irreparabili al consumatore.

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